3.4 Identità territoriale e distretti: determinanti del vantaggio competitivo per le piccole e medie imprese familiari.
3.4.1. Il radicamento territoriale.
Le aziende familiari sono caratterizzate da un forte radicamento sul territorio e quindi da uno stretto e indissolubile legame con le comunità locali. La sensibilità dell’imprenditore nei confronti della strategia sociale diventa un fattore molto importante di sviluppo.
Le aziende familiari instaurano un legame particolarmente intenso con la comunità locale; legame che, spesso, si fonda su fatti che riguardano la famiglia proprietaria nella quale sono nate e si sono sviluppate. In quel territorio sono nati o vivono i membri della famiglia e in quel territorio hanno legami forti con molte persone.
Questo radicamento è custodito anche nel momento in cui l’azienda diventa un grande gruppo con sedi dislocate in varie aree del mondo e i familiari iniziano a ricoprire ruoli in zone non più così vicine, anche se meno evidente rispetto alle minori dimensioni.
Quel territorio rappresenta comunque una parte importante dell’azienda per la sede della sua direzione oppure per la presenza dello stabilimento storico.
I policy makers locali e i collaboratori, consapevoli di questa fonte di grande vantaggio competitivo o del rilievo che tali aziende hanno nei confronti del territorio in cui operano, tendono ad agevolare lo sviluppo di queste ultime.
Il radicamento territoriale favorisce l’associazione del brand a una particolare location oppure la creazione di reti di fornitori di prodotti o servizi di primissima qualità, che a seguito della particolare localizzazione non sono facilmente imitabili dai concorrenti.193 Le interazioni e i rapporti tra imprese familiari e caratteristiche del territorio possono rivelarsi fondamentali e cruciali per la competizione a livello internazionale. La globalizzazione ha indotto le imprese ad assumere dimensioni maggiori, ad ampliare i propri orizzonti. Quindi, conseguentemente all’inserimento in questo contesto globale e nelle reti internazionali di produzione e conoscenze, risulta amplificato l’insieme dei fattori caratteristici e distintivi di un dato territorio determinandone il suo grado di competitività. Ovviamente concorrono a influenzare la capacità competitiva e il valore aggiunto delle imprese sui mercati internazionali anche l’interazione con i fornitori locali,
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il sistema di infrastrutture fisiche e immateriali, l’apparato burocratico/amministrativo delle istituzioni bancarie e dei centri di ricerca.
Questa relazione tra impresa e territorio può avvenire anche in senso inverso, attraverso il contributo imprenditoriale allo sviluppo economico locale, ad esempio, in termini di aumento dell’occupazione.
Una precisazione circa l’attenzione all’ambiente che oggi viene considerato un’opportunità di sviluppo e settore strategico per la costituzione di nuove imprese chiave di investimento utile per l’accrescimento della propria competitività.
La sensibilità socio-ambientale ha favorito l’impegno verso lo sviluppo sostenibile e sono molte le imprese familiari che hanno fatto di questo un tratto caratteristico della propria cultura e una fonte di vantaggio competitivo, in particolare un vantaggio di differenziazione
In questo contesto competitivo così riformato le performance ambientali vengono ritenute allo stesso livello di fattori quali il prezzo e la qualità.
Il rapporto tra impresa e ambiente si è trasformato dando vita ad un rapporto di collaborazione e di scambio reciproco da cui l’ambiente ha beneficiato, grazie ai criteri di produzione promossi e sviluppati con l’obiettivo di preservarlo, e l’impresa ha ottenuto, a sua volta, dei vantaggi economici e fiscali derivanti dalle certificazioni della qualità dei prodotti e processi (ISO 9000), dei requisiti della salute e della sicurezza (OHSAS 18001) e della gestione ambientale (ISO 14001 ed EMAS).
L’attenzione all’ambiente non è una moda passeggera e non è prerogativa delle grandi imprese, ma identifica una dimensione strutturale della strategia aziendale, dalla quale il top management non può prescindere non solo per ragioni morali, ma anche nell’intento di assicurare all’impresa sopravvivenza e sviluppo.
La continuità aziendale, infatti, comporta la consapevolezza dell’influenza delle proprie attività sulle condizioni e il benessere generale della comunità e del territorio volta al mantenimento e allo sviluppo della buona reputazione sotto ogni aspetto.
Questo radicamento territoriale, se ben gestito, può divenire una prerogativa vincente nella vita delle imprese familiari.
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Esiste anche un rovescio della medaglia del radicamento territoriale quando i membri appartenenti alla famiglia non sono in grado di utilizzare il territorio come supporto per la propria crescita personale e professionale con la ricerca di nuove competenze e relazioni in altre aree geografiche. Ciò comporta un adagiamento sulle competenze e sulle relazioni già esistenti o l’esclusione da quanto si sviluppa altrove. E’ in questo caso che il territorio diventa un limite.194
Basta quanto pronunciato da Gianni Agnelli al convegno mondiale delle aziende familiari che si tenne a Roma nel 2001, per guardare di nuovo il bicchiere mezzo pieno.
“Il radicamento in una comunità, nella sua cultura, nei suoi valori, è parte integrante dell’identità aziendale. E conduce a incorporare nei comportamenti e nelle scelte imprenditoriali attenzione e senso di responsabilità verso la collettività, i suoi problemi, le sue aspettative di sviluppo. Si tratta di un’attenzione e di un senso di responsabilità che non possono andare disgiunti dal dovere prioritario della competitività. Perché la competitività è premessa e condizione di qualsiasi funzione sociale dell’impresa. Ma è proprio la costante ricerca del punto di equilibrio tra la più alta competitività e l’integrazione con il territorio locale e nazionale un’altra delle dimensioni costitutive dell’impresa familiare”.
Parlando di identità territoriale non possiamo non soffermarci sul concetto di prodotto tipico che origina dalle specializzazioni produttive che caratterizzano territori delimitati, come i distretti di cui parleremo in seguito.
Analizzando il comparto vitivinicolo, andiamo a definire il prodotto tipico agroalimentare che può essere descritto come un prodotto che «presenta alcuni attributi
di qualità unici che sono espressione delle specificità di un particolare contesto territoriale».195 Il prodotto tipico deve la propria unicità al suo essere intimamente e strettamente legato al territorio, complessivamente inteso nei suoi connotati tanto fisici quanto antropici. Quindi la qualità di un prodotto è stabilita sulla base di alcuni attributi, materiali e/o immateriali, da considerarsi non concepibili al di fuori del contesto economico, ambientale, sociale e culturale in cui il prodotto è realizzato che può essere indicato, come vedremo anche nel prossimo capitolo, con il termine francese di terroir.
194 Ibidem
195 Belletti G., Brunori G., Marescotti A., Pacciani A., Rossi A., “Il processo di valorizzazione delle
produzioni agroalimentari tipiche”, in: Rocchi B, Romano D. (a cura di), Tipicamente buono. Concezioni di qualità lungo la filiera dei prodotti agro-alimentari in Toscana, Franco Angeli, Milano, pp.175-198, 2006.
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Detto ancora in altri termini, la tipicità viene intesa come strumento atto a differenziare i prodotti e permette di identificare la loro immagine con le caratteristiche del territorio d’origine.
Ecco che si crea il rapporto indissolubile tra territorio - inteso geograficamente, ma anche come miniera di tecniche produttive, cultura e tradizioni – e prodotto. La chiave del vantaggio competitivo risiede proprio nella capacità che il territorio ha far confluire sul prodotto le proprie peculiari caratteristiche in modo che il risultato che il consumatore potrà apprezzare sarà un “pezzo unico”, difficilmente riproducibile.
E se il mondo sta evolvendo verso una globalizzazione delle filiere e delle reti, lo sviluppo di territori legati ai prodotti alimentari si rivela in controtendenza con esso. Cultura locale ed enogastronomia contribuiscono a costruire il profilo del consumatore consapevole del legame esistente tra la qualità del cibo e delle bevande e il sapore dell’ecosistema in cui ha origine.
Facciamo nostre e condividiamo le parole del giornalista Jonathan Nossiter196 secondo cui «ormai ci siamo rassegnati ad accettare il fatto che il valore monetario è l’unico
parametro di valutazione che conta, e di conseguenza ogni cosa viene trattata come un bene di consumo. […] Il vino, da sempre specchio del mondo, non sfugge a questa regola demoralizzante. Ormai è una bene di consumo, con marchi in competizione tra loro e analizzati in base al loro valore di indicatori finanziari e sociali. […] Ma la verità è che il vino resta un prodotto agricolo. Che sia francese, italiano, americano o brasiliano, il vino è forse l’indicatore più preciso di ciò che una terra è in grado di esprimere in termini di caratteristiche e tradizioni.»
3.4.2 I distretti
L’economia mondiale, caratterizzata da profonde trasformazioni, induce gli studiosi delle scienze sociali, i pubblici amministratori, i manager a saggiare nuove prospettive di
196 È un regista brasiliano-americano. Tra i suoi film Sunday (Gran premio al
Sundance), Mondovino (candidato alla Palma d’oro a Cannes) e Resistenza Naturale (Festival di Berlino). Il suo libro Insurrezione culturale (Éditions Stock) sarà pubblicato in Italia in primavera da Derive Approdi. Frammento di un articolo consultabile a questo indirizzo:
http://www.internazionale.it/opinione/jonathan-nossiter/2013/10/25/il-vino-e-un-bene-culturale-o-di- consumo
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osservazione al fine di interpretare le logiche emergenti su cui poggiano i vantaggi competitivi delle imprese.
Come abbiamo avuto modo di osservare, la dimensione territoriale non perde rilevanza in un contesto di globalizzazione e internazionalizzazione grazie al fatto di essere legata al concetto di distretto che continua ad essere un ambito in cui creare sinergie positive tra le conoscenze del territorio, locali quindi prevalentemente tacite, e quelle formatesi all’esterno, magari in istituti di ricerca.
L’artefice di tale sintesi non può che essere l’imprenditore, determinante non solo del successo della singola impresa di cui è fondatore, ma anche della competitività del distretto e quindi della prosperità del territorio in cui opera.
I distretti per molte aziende hanno svolto la funzione di hub, aiutando le piccole dimensioni nei loro processi di crescita e sviluppo, pur dandoli la possibilità di reperire risorse critiche nel distretto aumentando, in alcuni casi, il radicamento nel territorio distrettuale
La globalizzazione e la presenza delle grandi e grandissime aziende sembrano aver indotto le imprese distrettuali a definire in modo chiaro e preciso le proprie strategie competitive: alcune hanno optato per la una decisa verticalizzazione e altre, soprattutto le PMI familiari, hanno optato per una maggiore focalizzazione in nicchie di settore.
Come evidenziato dagli studiosi, in realtà l’interesse scientifico per il modello del distretto industriale, come network di imprese che cooperano all’interno di un’area ben localizzata, si è evoluto verso tre filoni di ricerca.197
Il primo contributo definisce il distretto industriale come un sistema sociale ed economico “auto-organizzato” e complesso derivante dalla catena di interazioni ricorsive tra i suoi componenti e, al tempo stesso, autonomo rispetto all’ambiente esterno.198 Il secondo filone propone l’applicazione degli strumenti analitici derivanti dalla
competence based theory dell’impresa al distretto industriale, pensato come learning system e come una miniera di competenze e conoscenze tacite. 199 Questa prospettiva
197 Pironti M., Pisano P., Natoli C., Il legame impresa-territorio, cit.
198 Biggiero L., “Markets, hierarchies, networks, districts: A cybernetic approach”, Human Systems Management, 18, pp. 71-86, 1999.
199 Belussi F., Pilotti, L., The development of an explorative analytical model of knowledge creation, learning and innovation within the Italian industrial districts, Geografiska Annaler, 84, pp. 19-33, 2002
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cognitiva assunta pone in risalto sia l’apprendimento sia lo sviluppo della conoscenza200. Terzo e più recente filone, accosta la teoria ecologica esposta da Hannah e Freeman 201 all’analisi del distretto industriale come elaborata in Lazzaretti e Storai202.
I distretti nel nostro territorio rappresentano un elemento importante che favorisce la nascita soprattutto delle piccole realtà: non sono solo le caratteristiche del sistema competitivo a favorire la nascita e lo sviluppo delle PMI, ma anche gli aspetti legati alla localizzazione aziendale, ovvero lo spazio strategico ed economico di molte piccole realtà è definito anche e soprattutto dalle relazioni che si instaurano nel confine distrettuale, efficaci sul piano strategico ed efficienti a livello operativo.
La piccola impresa ha trovato e tutt’ora trova nei contesti settoriali e territoriali delineati uno spazio di azione privilegiato, ma l’interrogativo che ci poniamo è il seguente: le caratteristiche dei sistemi produttivi delle piccole e medie imprese sono funzionali ad affrontare le sfide competitive attuali e quelle che si presenteranno in futuro? D’altronde la longevità di un’azienda non è che un delicato equilibro tra tradizione e innovazione, paradigma delle imprese multi-generazionali ormai. L’intento e la strategia da seguire dovrebbe comportare il mantenimento delle caratteristiche artigianali che conferiscono il valore aggiunto al prodotto.
L’innovazione dovrebbe inserirsi e amalgamarsi con le pratiche degli antichi maestri in modo che il territorio venga percepito come matrice del prodotto che ne ha rubato l’essenza.
Così come l’artigiano con le sue mani, il territorio crea ogni volta qualcosa di unico e inimitabile. Il territorio o meglio il sentimento di appartenenza allo stesso può essere eletto fonte di vantaggio competitivo.
La riscoperta dei valori legati all’identità territoriale «definita dall’unione dei suoi
caratteri, quali le caratteristiche morfologiche, climatiche, paesaggistiche, storico – monumentali, economico-produttive, infrastrutturali, […] (dipendente) dal contesto in cui è inserito il territorio, rappresentato dal quadro geografico, sociale, istituzionale all’interno del quale è calato il sistema stesso»203 diviene oggi elemento indispensabile
200 Nonaka I., Takeuchi H., The Knowledge Creating Company, Oxford Univ. Press, Oxford, 1995. 201 Hannah M., Freeman J., Organizational Ecology, Harvard University Press, Cambridge, 1989 202 Lazzaretti L., Storai D., Il distretto come comunità di popolazioni organizzative. Il caso Prato, Iris,
Prato, 1999
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per comprendere le dinamiche seguendo le quali si realizzano nuove formule organizzative e produttive, basate sulla valorizzazione degli aspetti legati al locale, per poter competere sullo scenario globale.
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CAPITOLO IV
Il vino in Toscana è una questione di famiglia. Il caso del distretto biodinamico lucchese e di una sua azienda: Fabbrica di San Martino
4.1 Introduzione
In questo capitolo approfondiremo lo studio di una particolare tipologia di piccole e medie imprese familiari ovvero quelle operanti nel settore vitivinicolo.
Focalizzeremo la nostra attenzione sulla regione Toscana e, nello specifico, sulla provincia di Lucca, territorio in cui è nato e si sviluppa il distretto biodinamico cui dedicheremo particolare attenzione nel paragrafo successivo.
In ultimo, per calarci nella realtà analizzeremo il caso dell’Azienda Agricola Fabbrica di San Martino, presente nel distretto lucchese, che può essere emblema delle piccole realtà familiari vitivinicole presenti nella provincia di Lucca, ma anche, per estensione, in Toscana e in l’Italia.
Quello che vorremmo emergesse è la misura del valore in termini competitivi che il territorio può apportare alle piccole e medie imprese.
A dire il vero le imprese del vino, per la natura stessa del prodotto, sono il caso più emblematico in questi termini ovvero unità produttive del nostro Paese che riescono a trarre vantaggio e soddisfazione economiche dalle risorse uniche e distintive che il territorio e la comunità di appartenenza trasmettono loro.