4.3 Il caso aziendale: l’Azienda Agricola Fabbrica di San Martino 1 Introduzione Conosciamo da vicino i vignaioli.
4.3.2 Il percorso evolutivo e le specificità distintive 1 Storia e percorso evolutivo
Fabbrica di San Martino sorge nella splendida zona collinare che definisce l’ambito geografico della Piana di Lucca, precisamente a San Martino in Vignale. La Lucchesia, con le sue colline, accoglie, infatti, importanti testimonianze di ville strettamente radicate alla realtà agricola del territorio. Questi palazzi in villa sono le storiche dimore di campagna che i mercanti lucchesi hanno costruito dal XV fino al XIX secolo, investendo il frutto dei loro commerci e delle attività bancarie nel centro Europa. Sono più di trecento tra maggiori e minori.
L´insediamento della villa per la sua diffusione e per l´alta qualità degli ingredienti architettonici che la compongono disegna, nei secoli, un vero e proprio sistema paesistico di grande raffinatezza e significato.
Il palazzo in villa, in campagna, è la residenza estiva. La città si vive d’inverno. In campagna, la vita all´aria aperta della buona stagione si integrava con la conduzione agraria.
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Dalla fine dell´autunno, la vita quotidiana si spostava nel complesso cittadino tra impegni di affari, ma anche del tempo libero, dei concerti, del teatro.
Tornando alle ville, i complessi delle tenute più grandi erano suddivisi in due elementi autonomi: la chiusa che racchiudeva la villa padronale con il giardino, l’orto, il frutteto, gli annessi di servizio e la chiusa formata dal nucleo produttivo, definito ‘tenuta’, articolata in poderi con case e fabbriche.
Nasce come opera di una borghesia urbana che investiva il frutto dei propri guadagni in terre. Ma questo paesaggio, oggi così apprezzato, non è solo conseguenza di un’operazione di investimento fondiario. Nell´organizzazione strutturale di questo territorio tutto era tenuto presente: la giacitura dei terreni, la regimazione delle acque, l´ordine delle colture, la collocazione degli edifici, la disposizione degli alberi; con grande semplicità, modestia, funzionalità, ordine, compostezza, rigore. Una matrice comune per la sua definizione e organizzazione è data dalla sistemazione a terrazze o a poggi dei terreni. Con questa tecnica si trasformarono i terreni acclivi della collina in parti piane, evitando l´erosione dei suoli e imbrigliando le acque che, regimate, si convogliarono dove l´uomo voleva. E il grande affresco della collina toscana: tratti paralleli, curvilinei che tratteggiano i confini del territorio su cui sorge la villa e ne costituiscono il fondale.
La Fabbrica di San Martino è una splendida testimonianza di questo passato: la proprietà consiste in una tenuta di venti ettari totali. Due ettari destinati a vigneti che producono vino DOC da vigne giovani e anche vecchie, sette ettari di oliveti e poi boschi e giardini tra i quali sorge silenziosa una Villa settecentesca con annesse case coloniche. La Villa del complesso di Fabbrica di San Martino è in stile barocco, è una delle più importanti del diciottesimo secolo a Lucca; fu costruita nel 1735, per volontà del Conte Lorenzo Sardi, mercante di seta, utilizzando in parte le strutture di una Villa agreste cinquecentesca.
Ci ha accompagnato nella visita aziendale Giuseppe Ferrua vignaiolo e gestore dell’attività dell’azienda agricola insieme a Giovanna Tronci sua compagna, la quale è la effettiva proprietaria della Villa alla terza generazione.
La famiglia proprietaria ha sempre cercato di preservare la vocazione agricola della tenuta affinché di padre in figlio tramandasse la realtà e le peculiarità del nostro territorio.
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Il progetto Fabbrica di San Martino così come lo conosciamo oggi, incomincia a muovere i primi passi nel 1995. In questi anni Giuseppe e Giovanna decidono di recuperare e rimettere a nuovo la splendida Villa settecentesca e le tenute annesse ricavandone un agriturismo con servizio di pernottamento e colazione.
Nei terreni della tenuta si coltivavano vino e olio e gli stessi prodotti fornivano il ristorante che Giovanni aveva nella città di Lucca. Ristorante che è stato definitivamente chiuso nel 2002 anno di svolta per il futuro di Fabbrica di San Martino.
È nel 2002 che Giuseppe e Giovanna decideranno di dedicarsi esclusivamente all’attività dell’agriturismo e soprattutto alla coltivazione delle vigne che contornano la Villa, oltre a produrre olio e miele su scala familiare. Nello stesso anno Fabbrica di San Martino si convertirà all’agricoltura biodinamica perché la coltivazione secondo i soli parametri dettati per ottenere la certificazione biologica, applicata dal 1998 al 2002, non ha apportato risultati soddisfacenti secondo il vignaiolo.
Nel 2008 l’azienda ottiene anche la certificazione a marchio biodinamico Demeter. La biodinamica, a differenza del biologico, non ha un sistema di certificazione regolamentato e riconosciuto dalla Commissione Ue ma è fondata comunque su concetti empirici. Grazie all’applicazione di questa tecnica il contadino diventa il primo responsabile del terreno e la terra diventa la vera protagonista, libera di esprimersi in tutte le sue evoluzioni.
Dall’ottobre 2013 Fabbrica di San Martino è entrata a far parte del distretto lucchese della biodinamica. Questo è un’entità non riconosciuta come può essere il Biodistretto nato nella zona del Chianti, ma è frutto della sinergia che si è creata tra i produttori di vino della Lucchesia. Territorio quest’ultimo che, come già accennato, è piuttosto marginale per la produzione di vino, ma proprio per questa ragione molto probabilmente per i vignaioli è stato possibile sperimentare. Così resisi conto che la biodinamica era diventata una pratica molto diffusa nella zona della DOC di Lucca, Giuseppe Ferrua di Fabbrica di San Martino, Gabriele Da Prato di Podere Concori e Saverio Petrilli, enologo della Tenuta di Valgiano, si sono incontrati proprio a San Martino in Vignale dando vita al nucleo iniziale del gruppo di vignaioli del distretto biodinamico lucchese, unico del suo genere in Italia. Ad oggi, su 18 etichette 13 sono rappresentative di prodotti biodinamici. Il Distretto, nel 2016, anno in corso, si appresta ad affrontare una fase importante della sua esistenza con il riconoscimento a livello giuridico in qualità di Rete di Imprese. Mancano ormai soltanto le firme per la stipulazione di un vero e proprio contratto tra le
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imprese dei vignaioli biodinamici, che consentirà loro di mettere in comune le attività e le risorse nell’ottica sia della creazione di sinergie e di miglioramento del funzionamento di quelle attività, sia del rafforzamento della competitività dell'attività imprenditoriale. Il problema attuale è infatti la mancanza di standard qualitativi e un accordo di questo tipo, formalizzato, ha come obiettivo quello di rendere omogenee le tecniche e il livello di produzione in modo che tutti gli appartenenti alla Rete possano registrare uno stesso tasso di crescita e si presentino con un’immagine unica che sia espressione del territorio e delle persone che lo abitano e lo curano.
Concentrandoci nuovamente sul caso studio Fabbrica di San Martino, continuiamo aggiungendo che nel 2002 ha inizio la fase di etichettatura delle prime bottiglie da esportare sul mercato americano, canadese del Québec, ma anche giapponese e in Europa, principalmente inglesi e olandesi.
La comunicazione e il marketing diventano funzioni a poco a poco d’importanza fondamentale per l’azienda, che deve confrontarsi con un numero di competitors notevolmente maggiore rispetto al passato, anche in virtù del crescente interesse della popolazione per le attività enogastronomiche.
L’azienda con il passare del tempo accresce le sue relazioni con l’esterno seguendo un percorso fatto di passione per il prodotto e rispetto per le radici. Ed è proprio il valore del rispetto per la tradizione, che rappresenta l’importante elemento di differenziazione in un mercato molto affollato, come quello vitivinicolo e l’etichetta, per una piccola e nascosta realtà della DOC lucchese, assolve proprio il compito di presentare e valorizzare un prodotto nuovo, espressione territoriale che in maniera veritiera racconta la storia di un luogo e di una famiglia passata e presente.
Nel 1998 il mercato americano rispose positivamente all’offerta di servizi forniti dal territorio lucchese e quindi anche per Fabbrica i risultati furono positivi e soddisfacenti. Un rallentamento dei consumi da parte del mercato americano si è registrato all’indomani del terribile attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, ripercuotendosi inevitabilmente anche sul livello di prenotazioni dell’azienda in questione. «In questi primi anni del 2000 la richiesta maggiore si ebbe - ci spiega Giuseppe - dal Nord Europa: Germania e Olanda in primis».
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Nel 2009 un nuovo rallentamento, in seguito alla grande recessione del 2008, che ha servito un duro colpo al settore accoglienza, mentre il valore delle esportazioni del vino italiano è sempre stato positivo nonostante la crisi economica internazionale, anzi è addirittura aumentato rispetto a quello del 2007. L’unico anno che ha riportato un decremento nel fatturato è stato il 2009, tant’ è vero che si è concluso con una flessione del 5,4% rispetto all’anno precedente e la diminuzione del valore medio ha fatto sì che questo peggioramento non si traducesse anche in una riduzione delle quantità esportate. Fabbrica di San Martino è la conferma della tendenza nazionale, in quanto, come ci racconta Ferrua, c’è stata un ritorno ciclico di richiesta del prodotto da parte dell’America.
Attualmente l’azienda produce dalle 12.000 alle 13.000 bottiglie all’anno. Il suo guadagno maggiore deriva dalla vendita del prodotto all’estero dove il vino raggiunge i più importanti e anche lussuosi ristoranti ed enoteche da New York a Londra.
La collocazione del prodotto è affidata a pochi distributori fidati: in Italia il rosso e il bianco di San Martino arrivano in poche enoteche o locali scelti di Milano e della vicina Versilia grazie a due rappresentanti. Nel resto del mondo altri distributori forniscono un massimo di dieci clienti totali tra America, Canada, Giappone, Inghilterra e Olanda. Altro canale utilizzato è quello della vendita diretta in cantina, dove i visitatori, accompagnati dallo stesso vignaiolo, degustano il prodotto nel territorio stesso d’origine.
Il prodotto si presenta al pubblico anche in occasione delle numerose fiere di settore che dedicano, sempre in misura maggiore, esclusivi spazi ai prodotti cosiddetti “naturali” ovvero biologici o biodinamici, come in questo caso. Ferrua è, tra l’altro, tra i promotori di ViVit – Vigne Vignaioli Terroir, padiglione all’interno della manifestazione Vinitaly che riunisce i vignaioli di tutto il mondo che vogliono esprimersi nella trasparenza, nell'autenticità e nell'individualità.
È il luogo dove le piccole aziende vitivinicole si mostrano in tutta la loro forza ed espressione territoriale e si presentano nella loro naturale diversità, o meglio, biodiversità, loro punto di forza, ciò che le rende uniche e diverse, permettendo loro di sopravvivere narrando l’autenticità del territorio di provenienza racchiuso nel vino. Oltre a ViVit Fabbrica di San Martino ha partecipato anche al Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti organizzato per il quinto anno consecutivo dalla Fivi – Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti.
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Il canale e-commerce invece non è utilizzato dall’azienda di San Martino, ma questo è coerente con la filosofia stessa della piccola e media impresa che ha bisogno di raccontare il prodotto, di mostrarlo da vicino in tutta la sua autenticità, nella particolarità della sua unica e immutabile etichetta espressione di quella azienda, di quel territorio, di quelle mani.
Oggi l’azienda è dimora di Giuseppe Ferrua, Giovanna Tronci e dei due figli di Giovanna, Maria e Giovanni. Azienda, quindi luogo di lavoro, ma anche, come molto spesso accade nelle realtà familiari vitivinicole, casa con tutte le accezioni del caso.
Maria, la primogenita, e Giovanni vivendo in azienda sono inevitabilmente partecipi ai problemi e alle iniziative intraprese. Maria, laureata in Cooperazione Internazionale, accompagna Giuseppe Ferrua in occasione della presentazione del prodotto alle diverse fiere, occupandosi in qualche modo dell’attività di marketing. Giovanni invece, biotecnologo, sta conducendo studi autonomi con l’obiettivo di sperimentare tecniche per l’ottenimento di liquori o cosmetici da inserire come prodotti innovativi per l’azienda.
Ad aiutare Giuseppe nel mantenimento della vigna e dei restanti ettari coltivati c’è un solo operaio esterno alla famiglia. Saltuariamente ed in maniera informale giungono in cantina enologi per lasciare un giudizio più tecnico sul vino prodotto, ma, come afferma Giuseppe, la visita si conclude con una chiacchierata in cantina sorseggiando e discutendo tra amici intorno ad un prodotto che non può mentire essendo frutto della terra nuda e cruda, non contaminata da fertilizzanti.
La speranza è che la passione tangibile di Ferrua che profonde dalle sue parole e dalle sue mani callose, caratteristiche dell’artigiano del vino, possa essere colta dalle nuove generazioni, che piano piano si accingono a comprendere cosa significhi lavorare la terra, tramandare una ricchezza inestimabile come quella dei filari dell’azienda e raccontarla al resto del mondo in tutta la sua preziosità.
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4.3.2.2. Specificità distintive e familismo economico
Il legame famiglia-impresa rappresenta, com’è noto, una risorsa critica per il business, poiché può divenire fonte di un reale vantaggio competitivo o configurarsi, al contrario, quale causa di criticità.
Solo una piccola percentuale di aziende famigliari intraprende brillanti percorsi di crescita e sviluppo e recenti studi affermano che solo il 30% sopravvive al primo passaggio generazionale, percentuale che si riduce fino al 10-15% al secondo passaggio. L’azienda in analisi si trova oggi ad affrontare il terzo passaggio generazionale grazie alla decisione e alla volontà di Giuseppe e Giovanna di tramandare un patrimonio familiare inestimabile e di non disperdere la storia di una famiglia racchiusa all’interno delle mura della splendida Villa e nelle radice delle vecchie piante di vite. Gli attuali proprietari dell’azienda mantengono saldi i valori aziendali tradizionali cercando di rinvigorirli.
Il buon risultato di un’azienda familiare è decretato in gran parte dal fatto che i membri di una medesima famiglia siano accomunati da uno stesso sistema di valori e da una mentalità comune, che rappresenta la fonte di un vantaggio competitivo non replicabile. Inoltre, in aziende familiari inserite e radicate in aree a forte vocazione produttiva, il territorio si configura come espressione di valori intangibili che l’azienda acquisisce come propri. Avviene in questo modo una specie di fusione tra quelle che sono le radici familiari e le radici territoriali dell’azienda.
Le aziende che beneficiano dell’inserimento in un ambiente territoriale di questo tipo, acquisiscono una riconoscibilità ultra-aziendale.
I passaggi generazionali che avvengono all’interno delle imprese sono considerati solidi indicatori della continuità aziendale, ma per comprendere a fondo il concetto di continuità bisogna andare oltre. In realtà quello che si verifica quando un’azienda passa dalle mani dell’imprenditore fondatore agli eredi/successori è soltanto un presupposto per la sua continuità: nel momento in cui avviene il passaggio della proprietà dell’azienda, è importante che allo stesso modo vengano trasmessi i valori propri della famiglia, la capacità gestionale e l’essenza imprenditoriale.
Quest’ultima è data dai valori e dalle competenze proprie dell’imprenditore, che sono geneticamente presenti nella sua azienda e nella sua famiglia; è l'elemento distintivo
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rispetto ai concorrenti. L'essenza non è acquistabile sul mercato è elemento incommensurabile.
La continuità delle imprese familiari passa attraverso il costante accumulo e l’accrescimento di risorse e capitali, necessari per sostenere la crescita, la stabilità ed il raggiungimento di un posizionamento competitivo duraturo.
La longevità non è sinonimo di grandezza di un’azienda familiare. Essa rappresenta un importante presupposto per il successo ma ciò che rende grande un’azienda sono le decisioni e i suoi valori.
L’orientamento al lungo termine è garantito in parte anche dal profondo coinvolgimento affettivo dei proprietari e dei dipendenti. Il forte entusiasmo di coloro che lavorano all’interno dell’azienda si traduce spesso in un elevato grado di coesione e senso di appartenenza, che determina una effettiva condivisione degli obiettivi aziendali, ma anche della cultura stessa della famiglia imprenditoriale.
Da un’analisi approfondita dell’azienda oggetto di studio è emerso un vero e proprio familismo economico. Il senso di appartenenza e la condivisione di valori rappresentano per l’azienda un insieme di risorse uniche e difficilmente imitabili derivanti dal suo capitale umano, che esprime il complesso di conoscenze, competenze e capacità degli individui all’interno dell’organizzazione.
La “cultura dell’identificazione” nell’azienda determina conseguenze positive anche in termini di minore ricambio dei dipendenti, e favorisce il perseguimento di obiettivi di stabilità.
In tal senso, la continuità della leadership, sia nella proprietà sia in generale alla guida dell’impresa, rappresenta un’importante garanzia di resistenza tanto alle difficoltà esterne (come i cicli economici negativi) quanto alle difficoltà interne nel rapporto famiglia- impresa. E’ opinione ormai consolidata ritenere che la sovrapposizione tra i ruoli proprietari e di vertice, se da un lato genera qualche ambiguità, dall’altro rappresenti anche la migliore garanzia di solidarietà e comunione d’intenti tra i familiari nei confronti dell’impresa in periodi di difficoltà.
Come già accennato, la forte identificazione della famiglia nell’impresa può rappresentare anche un potenziale limite e far emergere alcuni “rischi” collegati alla natura familiare dell’impresa.
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Fra questi, il rischio più comune è associato alla tendenza ad anteporre la gestione degli equilibri familiari agli obiettivi dell’impresa; ciò fa sì che si possa incorrere in un certo “immobilismo” nei vertici aziendali.
Senza alcun dubbio l’azienda Fabbrica di San Martino adotta nel mercato una logica di tipo “family first”.
La diretta conseguenza di questa impostazione sono scelte strategiche guidate non unicamente da obiettivi di carattere economico-finanziario, ma anche da considerazioni di carattere “emotivo” o “emozionale”. In altri termini, l’identificazione dell’impresa con la famiglia fa sì che le finalità di fondo della famiglia vengano in qualche modo trasferite all’impresa stessa, ponendo in primo piano obiettivi non strettamente economici quali il mantenimento della coesione tra i componenti familiari, il radicamento territoriale, l’importanza data ai valori, la reputazione della famiglia e le relazioni con i collaboratori. La longevità di Fabbrica è plausibile immaginarla soprattutto grazie ad una ampia visione dei proprietari che emerge dalle parole di Giuseppe Ferrua. Egli considera come priorità non soltanto il trasferimento delle competenze originarie dell’impresa di padre in figlio, ma anche e soprattutto l’integrazione tra le competenze accumulate negli anni e lo sviluppo di nuove, in rapporto alle mutevoli condizioni ambientali. In altre parole, le aziende che crescono insieme alle famiglie, come in questo caso, hanno necessità di essere guidate da mentalità di volta in volta diverse, perché l’ambiente in cui si collocano cambia molto velocemente ed in questa prospettiva il ricambio generazionale costituisce un vantaggio poiché consente di riadattare l’impresa.
Una leadership di lungo periodo, infatti, può dare origine a un’eccessiva focalizzazione sui fattori “storici” del successo aziendale, compromettendo le opportunità di innovazione e creando premesse per intensi conflitti intergenerazionali. Si può definire, dunque, “di successo” il passaggio imprenditoriale in grado di assicurare il rafforzamento delle competenze distintive aziendali, mediante un equilibrato dosaggio tra processo di trasferimento dello stock di conoscenze esistenti e sviluppo di competenze e capacità innovative.
I limiti di condotta dell’azienda in esame sono riconducibili, in primo luogo, all’idea che le competenze manageriali di cui si avvale siano unicamente riferite ai componenti familiari. Non sono presenti amministratori o soggetti preposti alla direzione che non siano interni alla famiglia. Questi soggetti potrebbero rappresentare possibili fonti di
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opportunità, in una prospettiva di sviluppo/rafforzamento di un vantaggio competitivo sostenibile.
L’esistenza di una tradizione e di una storia comune, riconosciuta e condivisa, dai componenti della famiglia, la fiducia e la schiettezza dei rapporti, che favorisce la collaborazione e la cooperazione, l’attitudine e il desiderio di trasmettere e acquisire le competenze sono fra i più importanti fattori che hanno favorito in questi anni la crescita e la sopravvivenza dell’azienda.
In sintesi, l’integrazione tra conoscenze tradizionali e innovative è presente in corrispondenza dei passaggi tra generazioni d’imprenditori, lungo il percorso evolutivo che l’impresa studiata ha fino ad ora attraversato.
Questo ci induce a pensare che essa costituisca un carattere distintivo delle piccole imprese familiari longeve. Il caso in esame suggerisce l’idea di “innovazione intorno alla tradizione”: il carattere di longevità e il mantenimento nel tempo di condizioni di elevata competitività ed equilibrio economico-finanziario, anche attraverso vicende di segno diverso, sembrano, infatti, associati a comportamenti innovativi che tuttavia non compromettono mai conoscenze e abilità che hanno permesso l’iniziale successo aziendale.
Una vision familiare coerente e le possibilità di crescita individuale e professionale