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La nascita della grande fabbrica: i primi anni della Cucirini Cantoni tra paternalismo e dissens

I.VI. Cresta, il “filobolscevico”

La Chiesa, chiamata in causa, deve però continuare ad esercitare la sua funzione di organo sostanzialmente

super partes, evitando di fuoriuscire più di tanto dall’orbita imprenditoriale48: così, il 26 ottobre, l’Unione

del Lavoro sceglie di ingaggiare Celestino Cresta, con il compito di mobilitare e guidare le manifestazioni di protesta.

Cresta non è affatto uno sprovveduto. Proveniente dalla Camera del Lavoro di Genova, da guida esperta si dimostra subito capace di condurre audacemente la classe operaia nelle sue rivendicazioni ed Henderson, come riporta Bottai, gli attribuisce immediatamente i connotati di “filobolscevico che non vuole mai nascondere le sue <<origini>> politiche, facendo sempre sfoggio delle sue cravatte rosse”. I primi giorni del sindacalista si rivelano un inaspettato successo: seppur faticando, riesce infatti a far rispettare agli imprenditori tessili il concordato stipulato il 29 maggio, lasciando i lavoratori così entusiasti del suo operato da costringerlo a trasferirsi a Lucca per tutelare gli interessi del proletariato locale.

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Paolo Bottari, All’ombra della grande ciminiera, op.cit.,p.302. Mancavano regolamenti interni –anche per gli impiegati- che stabilissero relativi diritti e doveri, nonché possibilità di carriera e di crescita dello stipendio.

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“L’Esare”, 30/5/1919, in Ibidem, p.303.

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Scrive, ancora Alderigi: “nonostante che negli ambienti vicini all’arcivescovo Marchi si evitasse di prendere posizioni nette, una qualche forma di assenso doveva pur essere giunta all’operato di Don Tocchini. In realtà questa impressione è completamente capovolta se si tiene di conto della vicinanza esistente tra la Curia e il giornale <<Il Serchio>>, e dell’atteggiamento tenuto da quest’ultimo nei confronti dell’organismo sindacale. Esso infatti ignorò quasi completamente nascita, sviluppo ed azioni sindacali delle leghe bianche in Lucchesia a dimostrazione non solo di come il dissenso tra le due anime del partito popolare, di cui rappresentava la destra, fosse difficilmente sanabile, ma anche di come la Curia propendesse piuttosto per gli uomini d’ordine, fossero essi della destra del PPI o di altri movimenti moderati”, in Enrico Alberigi, Partito Popolare e movimento sindacale cattolico

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I contrasti interni sono comunque tutt’altro che conclusi, e la Direzione, sfruttando un disagio ancora piuttosto diffuso, torna a temporeggiare. La mattina del 24 novembre 1919 -alle otto- gli operai dei sette stabilimenti Cantoni incrociano allora le braccia in segno di protesta, indicendo uno sciopero tanto ordinato e silenzioso quanto esplicativo: l’oltranzismo non viene fermato neanche dall’intervento delle forze dell’ordine ed Henderson si trova così costretto a scendere a patti con la forza lavoro, accettando di applicare per intero il concordato; il salario delle operaie, di conseguenza, conosce un aumento –da 2,50 lire a 4,50- che risulta ancora più sostanzioso nel caso degli uomini – da 4 a 8 lire49. Ma il risultato più importante non è materialmente afferrabile, ed a molti sembra essere sfuggito: la forza lavoro della Cucirini, difatti, inizia a maturare una coscienza unitaria che spaventava non poco la parte padronale, riuscendo, sotto la guida del sindacato cattolico (che ampliava così la propria base), ad imporre la propria posizione anche di fronte a quella che era considerata la più importante industria della provincia; ciononostante, sarebbe stata solo questione di tempo prima che la reazione del direttivo tornasse a seminare il panico all’interno dello stabilimento, frantumando quegli stessi primordiali processi di collettivismo.

Gli operai che più si sono distinti per impegno sindacale, infatti, vengono immediatamente allontanati e, quando non possono essere licenziati, sono collocati in settori isolati, così da ridurne il contatto con gli altri dipendenti al fine di impedire il “contagio” di idee insurrezionaliste. Emblematico è il caso di Giacomelli, braccio destro di Cresta all’interno dello stabilimento: protetto dal sindacato e in costante contatto con le operaie, non si presta certo come soggetto facile da licenziare. L’occasione per agire, però, non tarda ad arrivare: intrattenutosi a lungo con Cresta durante la pausa pranzo e rientrato tardi a lavoro, giunto ai cancelli della Cantoni, Giacomelli è immediatamente condotto in Direzione, dove seduta stante riceve il benservito. Cresta, infuriato, proclama uno sciopero, chiedendo ad Henderson di riassumerlo, ma il padrone non desiste, e la protesta imbastita si dissolve rapidamente in un misero fallimento.

Seguono altri scioperi, come quelli del giugno e del novembre 1920 - durato ben15 giorni - per l’adesione ad un nuovo concordato nazionale e per l’aumento degli stipendi50

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49 Ibidem, pp.302-303. 50

Lo sciopero aveva preso le sue mosse da un nuovo memoriale preparato dal Sindacato Italiano Tessili, quando, nel novembre del 1920, il precedente Concordato Nazionale (firmato di maggio) era stato disdetto dalle organizzazioni sindacali. Anche in questa occasione, se non era stata possibile la formazione di una piattaforma unitaria tra sindacati cattolici e socialisti, le proposte avanzate dai primi (che avevano scalzato gli stessi membri del PSI che volevano ergersi ad unici rappresentanti dei lavoratori) furono duramente osteggiate dagli industriali. Queste riguardavano: la fissazione di minimi di paga (con media stabilita sulle zone della Penisola a forte industria cotoniera); le 48 ore settimanali; aumenti del 50% per le paghe giornaliere; per i cottimi un aumento che superasse almeno del 30% i minimi di paga stabiliti; infine, per il lavoro notturno e straordinario una remunerazione con percentuali oscillanti tra il 25% e il 100% in più rispetto alla paga ordinaria. Se la risposta a livello nazionale era stata negativa, a Lucca passava proprio dalla C.C.C., fabbrica da 2.400 operai a fronte dei circa 600 delle altre aziende: questa si era dichiarata fin da subito disponibile alla sua applicazione integrale, rassicurata dall’Unione del Lavoro riguardo una rapida ed analoga applicazione da parte delle aziende concorrenti, che, pressate dalla proprie maestranze, sarebbero state obbligatoriamente costrette ad aderire. Ciononostante sorse uno scontro, nato da un congelamento degli aumenti promessi dall’Azienda, che si risolse solo il 22 novembre, grazie anche all’interessamento del Prefetto Bodo e dell’onorevole Brancoli Busdraghi, consegnando agli operai alcuni importanti

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Raggiunta un’intesa di massima, le aziende decidono così di iniziare a tutelarsi, costituendo nel 1920 l’Associazione Generale degli Industriali, Commercianti ed Esercenti. La C.C.C. sceglie in principio di non farne parte, preferendo ancora una volta proseguire sulla strada dell’oltranzismo anti-sindacale che ben presto porta alla formazione dell’Associazione Industriali Lucchesi.

Lo spazio per le speranze operaie, anche in balia degli eventi che nel frattempo hanno portato il fascismo a radicarsi in ogni cellula dello Stato, va così inevitabilmente riducendosi. Ciò è chiaro quando, a seguito di uno sciopero per indurre Henderson a partecipare ad un incontro alla presenza del Prefetto, di 5 parlamentari del PPI e di una delegazione di 12 lavoratori, questi si dimostra irremovibile in materia di aumenti salariali, soprassedendo alle minacce di Cresta. L’insuccesso è constatato: gli operai tornano nuovamente al lavoro, delegittimando per la prima volta, seppur indirettamente, il capo sindacale.

Il Concordato Sindacale Regionale per il salario minimo rimane in vigore fino al 28 ottobre 1921, quando, al protrarsi delle proteste, il padronato impone nuovamente una serrata che tronca sul nascere il movimento di dissenso. Vengono introdotti i doppi turni, mentre i fallimenti del sindacato diventano sempre più numerosi: il clima politico oppressivo sfiducia anche i più battaglieri e le maestranze, oramai stanche, decidono di accettare le condizioni imposte pur di non perdere denaro e lavoro.

Henderson, nel frattempo, si muove sottobanco, ottenendo rapidamente pieno sostegno e collaborazione dal segretario provinciale del Partito Nazionale Fascista: ad accomunarli è soprattutto una profonda avversione verso Cresta, autentica spina nel fianco dell’Azienda, il quale, nel 1923, proclama un ulteriore sciopero per protestare contro l’entrata in vigore delle 48 ore settimanali; il genovese, riscontrando il consenso operaio, ne chiede prontamente una riduzione a 43. La proposta sbatte contro il muro direttivo e viene respinta senza troppi complimenti dalla Cantoni: stanca della retorica incalzante del sindacalista, dopo aver chiesto l’intervento delle forze di sicurezza fasciste decide per la sua espulsione dalla città, aggravando la pena con l’obbligo di restare ad almeno 50 Km di distanza dal complesso cittadino. Impaurito, il genovese accetta le condizioni, mentre altri operai e sindacalisti vengono violentemente percossi e costretti ad ingerire olio di ricino: tra gli allontanati, c’è anche Don Tocchini.

Le prime lotte operaie della Cantoni venivano così combattute in un clima di incertezza, prive di una guida solida e collocate in un contesto rimasto sostanzialmente isolato dai moti di carattere rivoluzionario. Le maestranze, nonostante alcuni importanti momenti di lotta, restavano ancora lontane dal considerarsi parte di una classe unitaria, schiacciate dalla miseria incombente e da una componente padronale autoritaria che, con l’emergere del movimento fascista, tornava ad avere una solida spalla anche nelle istituzioni. In questo

successi. Oltre agli aumenti provvisori, infatti, le maestranze ottennero come compenso per le giornate lavorative perse : £ 26 per le paghe fino a 4£; £ 30 per quelle fino a 4,50£; £ 35 per quelle fino a 5£; £ 37 fino a 6£; £ 41 fino a 6,5£; £ 47,5 a quelli di 7£ e, infine, £ 50 per stipendi fino a £ 7,5. Alle donne che avevano diritto fino al massimo indennizzo per il caroviveri venivano concesse £ 52,5, mentre agli uomini con £4,5 di caroviveri spettavano £ 67,5. Gli operai si impegnarono così a riprendere il lavoro il giorno seguente - 23 novembre 1920- promettendo nei mesi successivi 60 ore in più all’orario normale. “Il Mondo del Lavoro”, Come nacquero, n.8-9, anno 1957, in Ibidem, p.305.

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clima, era proprio l’avvento fascista a spegnere gli ultimi, flebili, barlumi di speranza, soprattutto in Lucchesia, dove il PNF conobbe rapidamente una sostanziale adesione di massa.