• Non ci sono risultati.

La nascita della grande fabbrica: i primi anni della Cucirini Cantoni tra paternalismo e dissens

I.II. I primi, embrionali, contrasti in fabbrica

Far convivere due mondi così diversi non risulta affatto semplice: il tradizionalismo del gruppo Cantoni va a cozzare spesso con la dinamicità del gruppo scozzese, ma dopo un iniziale processo di assestamento la fabbrica riesce a voltare pagina, apprestandosi a vivere una nuova fase crescente7; ad agevolare lo sviluppo contribuiscono vari fattori, non ultima la presenza tra gli azionisti di alcune banche locali minori (rimaste fuori dalla crisi bancaria di fine Ottocento) e il basso costo delle maestranze. L’isolamento e l’immobilismo del governo cittadino, inoltre, avevano favorito il formarsi di una società in cui “pensare ed agire in funzione del mantenimento di tutto ciò che proviene dal passato diventa un modo di essere, un fattore autonomo”8 e al cui consolidamento era andato a contribuire lo straordinario peso delle organizzazioni cattoliche: il timore di sviluppi rivendicativi promossi dalla forza lavoro, anche per questi motivi, appariva sostanzialmente infondato, considerando pure che lo statico ambiente del capoluogo si era fino a quel momento rivelato impermeabile ad ogni infiltrazione di idee anche moderatamente progressiste, schiacciato tra un atteggiamento di chiusura verso il nuovo e gli stringenti condizionamenti delle forze conservatrici.

Contrariamente a certe affermazioni, alcuni contrasti rimarchevoli, seppur sporadici, si erano viceversa già verificati. Tra il 1907 e il 1908, infatti, una classe operaia che restava “fortemente integrata con la campagna

6

Come scrive ancora Alberigi, “nonostante la funzione considerevole che andava assumendo, l’industria lucchese avrebbe mantenuto le sue caratteristiche originarie: la scarsa modernità delle poche grandi industrie operanti in settori tradizionali come quello tessile, e la mancanza di un adeguato tessuto industriale che potesse favorire l’acquisizione di innovazioni tecnologiche. Al contrario, le imprese minori continuavano ad essere caratterizzate da dimensioni eccessivamente limitate, da un basso contenuto tecnologico e da una produzione diretta quasi esclusivamente a soddisfare le esigenze di consumo del mercato locale”, in Enrico Alberigi, Partito Popolare e movimento sindacale cattolico a Lucca, op.cit.

7

Si trattava comunque di un processo di sviluppo disomogeneo, tardivo e marginale, nel quale la Cantoni costituiva sostanzialmente un’eccezione alla regola in un panorama denso, come già annotato, di piccole e medie imprese.

8

Cfr. Pier Giorgio Camaiani, Dallo Stato cittadino alla città bianca, op. cit., p.XV. A tal riguardo si veda anche: cfr. Lenzo Lenzi,

11

e con scarse possibilità, quindi, di emanciparsi dai rapporti sociali dominanti”9

, iniziava a muovere decisa contro lo sfruttamento dei ragazzi - assunti fin dall’età di 12 anni- e in favore di migliori condizioni lavorative: problemi, questi, che l’avvento dell’organizzazione industriale nel settore tessile aveva contribuito a radicalizzare tanto a Lucca quanto nell’intera penisola. Nonostante tutto, il primo sciopero si era però rivelato un fallimento annunciato, dettato in particolar modo dalla totale mancanza di una coscienza operaia collettiva, dal mal coordinamento e dalle minacce padronali, propense a sfoggiare la scure del licenziamento per riportare ordine e disciplina.

Gli scontri più gravi si hanno nel 1908, quando uno sciopero indetto dai socialisti finisce addirittura nel sangue: l’esasperazione maturata dagli operai porta infatti alcuni dipendenti ad accoltellare un dirigente inglese dell’Azienda, dopo che questi, nel tentativo di difendersi, aveva ferito uno di loro tramite arma da fuoco. L’episodio scatena un forte risentimento tra le maestranze che, colpite nel vivo, inveiscono ancor più animatamente, inducendo l’Azienda ad attuare la serrata il 27 giugno 1908: una decisione drastica, che i Coats già avevano utilizzato nei loro stabilimenti inglesi per stroncare agitazioni sempre più dirompenti, optando in certe circostanze addirittura per il licenziamento di tutti gli operai.

A Lucca, la Cantoni non si comporta troppo diversamente: dopo aver sospeso in tronco circa 1.000 dipendenti, salvo poi riassumerli successivamente quasi per intero, opta per alcuni mesi di chiusura, spingendo la città verso una recessione economica così grave da mandare in miseria numerose famiglie di operai, rimaste senza lavoro e senza soldi. Ancora una volta il dominio padronale sembra non lasciare spazio a rivendicazioni, mentre molti, oramai alla fame, scelgono la via dell’emigrazione o di un ritorno alla campagna10.

La decisione della riapertura che segue, appurato ciò, non viene quindi presa per avvenuto pentimento, bensì risulta dettata da motivazioni esclusivamente economiche: non vi sono concessioni, anzi, gli individui

9

Cfr. Consolani, Dozza, Gilardenghi e Gozzini, La formazione del Partito Comunista in Toscana, 1919-1923: elementi di una

ricerca, con introduzione di Tommaso Detti, Istituto Gramsci, sezione toscana, 1981, p.65. Si veda anche Cfr. G.Mori, Materiali, temi e ipotesi per una storia dell’industria nella regione, in AA.VV., La Toscana nel regime fascista, vol. I, Firenze, pp.109-309.

10 A Lucca (così come a Massa) la proporzione tra addetti all’industria e all’agricoltura era nettamente sbilanciata a favore dei

secondi (e lo resterà fino almeno alla metà del secolo), senza per questo discostarsi troppo dai valori medi regionali, specie se riferiti al censimento del 1921: in base ad esso in provincia di Lucca gli addetti al settore primario erano pari al 34% circa, contro un 17% di operai. Se, tuttavia, ci poniamo di analizzare l’articolazione interna delle stesse classi agricole, è inevitabile cogliere alcune specificità: infatti, mentre l’incidenza dell’elemento mezzadrile sul totale dei lavoratori agricoli risultava a Lucca assai meno accentuato, sempre in rapporto con i dati regionali, la ristretta dimensione proprietaria ingenerava un rapporto assai diversificato rispetto alla forma più diffusa in Toscana dell’organizzazione a fattoria; come annotato da Gasparri e Martinelli, “la direzione del podere restava di fatto nella mani del colono che, come figura giuridica, finiva per assomigliare piuttosto a quella di un affittuario, con canone pagato in natura, che quella di un mezzadro”. Si veda Cfr. T.Gasparri, R.Martinelli, Il Partito Comunista Italiano,

appunti per una ricerca, in I partiti politici, vol. VI, tomo II della ricerca su Il sistema delle autonomie: rapporti tra Stato e società civile, promossa dal Consiglio regionale della Toscana, Bologna, 1981; ma anche Consolani, Dozza, Gilardenghi, Gozzini, La formazione del partito comunista in Toscana, op.cit. Per un approfondimento sul tema, invece Cfr. A. Pasquali, L’emigrazione ed i suoi rapporti con l’agricoltura in provincia di Lucca, Cooperativa Tipografica Ed., 1922 e Cfr. T.Fanfani, I 70 anni, a cura

12

più facinorosi vengono allontanati e sostituiti con nuovi assunti ritenuti più “docili”; alla dura risposta della Direzione, diretta ed esemplare, fa eco allora una breve tregua indotta più dalla paura che dalla volontà di resa, agevolata da un movimento operaio rivelatosi incapace di organizzarsi, quasi del tutto assente, nonostante Lucca godesse comunque di una posizione regionalmente privilegiata dal punto di vista industriale (precedeva Arezzo, Firenze, Grosseto e Siena).

In ogni caso, il malessere torna ben presto a farsi sentire: è la mattina del 16 novembre 1908, allorché gli operai proclamano un nuovo sciopero per rivendicare un aumento sulla busta paga. La risposta, nuovamente negativa, non abbatte i lavoratori, i quali, dopo “due mesi di lotte e scioperi”, riescono così ad ottenere “un primo successo con il riconoscimento degli aumenti richiesti”: si tratta però di una vittoria di Pirro, e lo si scopre presto quando la Direzione, impegnandosi a far quadrare esclusivamente il proprio tornaconto, sceglie di riaprire la fabbrica solo una volta smaltite le scorte di merci, così da poter recuperare l’intero capitale finanziario.

È ad ogni modo di una prima, significativa, esperienza che vede protagonista la forza lavoro della Cantoni, convinta di aver raggiunto, grazie alle proprie forze, almeno un accordo di massima: anche per questo motivo si dischiude una sostanziale fase di convivenza pacifica, destinata a procrastinarsi alcuni anni.