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Il lungo e difficile dopoguerra: dalla ricostruzione alle lotte negli anni Cinquanta

II.VIII. Oltre l’ovvietà della tradizione: un problema di radicamento

Al termine degli anni Cinquanta qualcosa sembra essere davvero cambiato nel contesto di fabbrica lucchese. All’interno della Cantoni, nello specifico, operaie e operai legati a livello ideologico-politico alle componenti democristiane e cisline sembrano sposare sempre più frequentemente le decise proposte rivendicative avanzate dalla Camera del Lavoro: pur senza impennate nei tesseramenti e pur senza conseguire risultati esorbitanti, infatti, le battaglie imbastite nel 1954 e nel 1955 riscuotono un seguito importante tra le maestranze anche dopo l’abbandono della lotta da parte della CISL, portando l’allora segretario della CGIL, Giorgio Colzi, a definire quella della C.C.C. come “la vertenza più grande e più importante che si è avuta in quel periodo”114

.

Si tratta di un punto di capillare importanza, poiché ci consente di muovere l’analisi della questione su due perni fondamentali. Il primo, riferibile alla sfera sindacale, vede prevalere -nel momento di massima difficoltà per i cucirini- la politica aggressiva promulgata dai sindacalisti socialcomunisti, pur in uno stabilimento storicamente connotato da una maggioranza bianca (strettamente legata ai richiami ecclesiastici)e da un patronage solido, guidato da un “grande capitalista”115, Henderson. Si comprende, allora, come anche a Lucca la lotta per i diritti della classe operaia muova -pur in un periodo fortemente condizionato dallo sconto ideologico e acutizzato dai picchi di tensione della Guerra Fredda- un significativo passo verso lo smarcamento dalle imputazioni di passività, maturando quantomeno una primordiale consapevolezza delle proprie possibilità e della propria forza all’interno dello stabilimento.

La seconda concerne invece il radicamento della lotta cucirinaria sul territorio. Seguendo il filo delle memorie di Giorgio Colzi, quella della Cantoni contro i licenziamenti era stata, nei fatti, “una lotta che aveva

113 Guido Crainz, Storia del miracolo italiano, op.cit., p.182. 114

Giovanni Lencioni, Luciano Franchi, 40 anni di storia della CGIL, op.cit., p.18. Intervista a Giorgio Colzi. Come abbiamo visto, un prospettiva dalla quale sia Malfatti che Guido Galeotti differivano; a questi è possibile aggiungere anche il cislino Fenili. C’è da considerare, tuttavia, che è spesso abitudine comune dei sindacalisti quella di esaltare le battaglie del proprio tempo, esulandole dalla reale dimensione e portata storica.

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La definizione, in riferimento alla ferma ideologia liberista del soggetto e al grande patrimonio posseduto, è data da Francesco Petrini.

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coinvolto tutta la città”. Da quale punto di vista, però? Certamente, alla metà degli anni Cinquanta, non vi è ancora il sentire comune di una “lotta di Lucca”, come risulterà in maniera più nitida durante le vertenze del 1969 e del decennio successivo; l’appoggio che commercianti, manifatture e cittadinanza forniscono risulta infatti totalmente disinteressato, se non laddove ad essere messo in ballo è un tornaconto personale: ovvero, la sinergia che lega un futuro più prospero delle loro attività alla maggiore capacità di circolazione monetaria cittadina, conseguenza plausibile in caso di migliori retribuzioni.

Risulta importante individuare, proseguendo, per quali linee d’azione i due maggiori gruppi sindacali provinciali si mossero in seguito alla scissione. Alla indubbia rivalità -legata all’opposta appartenenza di sfera politica in un momento particolarmente delicato anche a livello nazionale e rintracciabile in una serie di reciproche accuse sui vari volantini che iniziano a circolare (anticipando, per questa via, le strategie comunicative di fine anni Sessanta)116-, si allaccia anche una questione di metodo: mentre la CISL alla Cantoni sceglie la via “del sindacato più misurato, più disposto al negoziato rispetto alla CGIL, non ricorrendo allo sciopero in ogni circostanza […] ma solo quando e nella misura in cui lo ritiene inevitabile”, allontanandosi così dalle agitazioni durante il primo approccio di trattativa (“quando si tratta non si sciopera”, recitava un volantino del 1955), la Camera del Lavoro si presenta più decisa, aggressiva, sospinta da un PCI che, attraverso il lavoro dei delegati e nella continua stigmatizzazione dell’operato comunale e governativo, tentava di accrescere i propri proseliti ponendosi in difesa dei lavoratori e dei diritti di fabbrica. Tuttavia, se sul rapporto tra partito e sindacato torneremo tra un momento, ciò che ci interessa sottolineare ora è come, nonostante clamorosi punti di divergenza a livello rivendicativo – ad esempio la contrarietà della CGIL al metodo del “conglobamento” come strumento di aumento salariale-, spesso certe contrapposizioni non risultassero poi così nette, dando origine in alcuni casi ad autentiche mobilitazioni collettive come durante la prima parte del ’54 alla Cantoni. È, questo, un altro aspetto da prendere con le pinze, poiché rilegabile ad una duplice specificità: da un lato mi trovo d’accordo con del Chiaro nel sostenere che una certa unità d’intenti non fosse da ricercarsi solo in una prospettiva esclusivamente solidale nei riguardi di chi rischiava il posto di lavoro, bensì nello stesso tentativo “da parte dei sindacati di proporre nuovi tipi di

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Mentre la CISL veniva tacciata di “asservimento padronale”, alla CGIL, come scrive Nicola del Chiaro, “viene rinfacciato di essere un sindacato di partito che fa l’interesse del marxismo internazionale prima di quello dei lavoratori”, in Nicola del Chiaro,

Dalle rivendicazioni alle proposte per lo sviluppo, op.cit., p.21. Interessante è però notare come una maggiore tolleranza si

riscontrasse esclusivamente in contesti di fabbrica fortemente marcati da una certa predominanza sindacale: alla Cantoni, per l’appunto, lo scontro si fa molto più rigido quando le elezioni della Commissione Interna regalano un risultato storicamente inavvertito (con il successo della Camera del Lavoro), tanto da scatenare tra cislini e ciggiellini una vera e propria campagna belligerante per ottenere la predominanza nella composizione dell’organismo rappresentativo. Nel ’52, per l’appunto, in piena epoca Angelini, il segretario della CGIL Fracassini definiva i rapporti tra i due fronti “durissimi”. Non è un caso, poi, che già in questi anni si ponesse il seme per promuovere battaglie convinte su alcune questioni come quella dei diritti sindacali all’interno dell’Azienda e delle condizioni di salute sul luogo di lavoro che sarebbero risultate poi centrali nella politica rivendicativa del decennio successivo.

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rapporto tra i lavoratori, le organizzazioni che le rappresentano e la società”117; dall’altro, però, aggiungerei

come già da questo momento si possa iniziare a spostare l’attenzione sulla crescente importanza che la politica rivendicativa aclista riesce ad acquisire in Lucchesia, creando così una prima, colorita, differenziazione dal sapore più irruento in un panorama cattolico finora parsoci troppo rigidamente conglomerato118.

Ritengo doveroso, infine, aprire un rapido sguardo sul ruolo dello zoppicante PCI lucchese all’interno dello stabilimento dell’Acquacalda e in relazione alla stessa forza sindacale. Il 7 e l’8 marzo 1954, a Lucca, ha luogo il IV Congresso della Federazione comunista provinciale, in una cornice contrassegnata dal risultato non certo eclatante riscosso in occasione della tornata elettorale del 7 giungo 1953. Nonostante Fontani definisse quei risultati “al di sopra di ogni previsione”, poiché “dimostravano che anche qui, in questa provincia dove più forte e massiccia è stata la pressione del clero, del Partito clericale e delle autorità governative, noi siamo andati avanti, il PCI ha compiuto una grande avanzata, passando dai 27.570 voti (13%) del 2 giungo 1946 ai 39.011 (18%) del 7 giugno”119, un articolo sulle pagine de “l’Unità” ne metteva

invece in evidenza l’intrinseca debolezza, dipingendo una situazione molto meno positiva:

In provincia di Lucca la forza dei comunisti appare diluita e molto poco organica, tanto da fare segnalare, nella comune considerazione, la Lucchesia come una Vandea clericale nel cuore della Toscana, regione che vanta tenaci tradizioni socialiste. Il confronto tra due dati chiarirà meglio le origini di questo giudizio: su 370.000 abitanti di Lucca e della provincia si hanno 10.283 iscritti al PCI, con una percentuale fortemente al di sotto della media nazionale.120

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Colzi, ad ogni modo, descriveva le sporadiche assemblee unitarie come “cose importanti al momento, dove si cominciò a tessere un piccolo tenue rapporto che però non sfociava mai in rapporti davvero unitari”, in Giovanni Lencioni, Luciano Franchi, 40 anni di

storia della CGIL, op.cit., p.19. Intervista a Giorgio Colzi.

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Come la CISL si legava storicamente alla CIL di epoca prefascista, le ACLI trovavano le loro radici in quelle Leghe bianche che erano salite alla ribalta nel primo dopoguerra lucchese. Strettamente legate al papato (rimaste in attività nel 1948 per iniziativa e pressione di Giovan Battista Montini, futuro Paolo VI, visto il loro ruolo anche in materia di educazione e formazione spirituale dei lavoratori), almeno in fase embrionale, queste si ponevano fin dal 1955 in funzione decisamente anticomunista: basti pensare che il V Congresso nazionale, tenutosi a Bologna dal 4 al 6 novembre 1955, titolava significativamente “Un grande movimento operaio cristiano, guida della classe lavoratrice. Forza sostitutiva del mito marxista”, iniziando già a maturare quella che Mariangela Maraviglia ha teorizzato come “vocazione egemonica sull’intero movimento operaio che giungerà a maturazione negli anni Sessanta”. Per un quadro più completo si veda Cfr. Mariangela Maraviglia, “Pensate per un grande compito. Le Acli dopo

cinquant’anni impegnate in una nuova nascita”, edizioni Aesse, Roma, 1955, ma anche Cfr. Mariangela Maraviglia, Acli, 50 anni al servizio della Chiesa e della società italiana, Edizione San Paolo, Milano, 1996. A livello nazionale, inoltre, forti erano le

sperequazioni provenienti dalla sede nazionale: si sosteneva difatti che “fra il 1948 e il 1955 la produzione industriale era aumentata del 95% senza praticamente assorbire la disoccupazione, mentre l’aumento dei salari reali era stato solo del 6% contro un aumento del valore degli impianti del 44% e degli utili netti distribuiti dell’86%”.

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Cfr. Isrec Lucca, Fondo Pci, Serie 1, Sezione I, b. 20, Intervista ad Alvo Fontani, Segreteria della Federazione del PCI di Lucca, 1953.

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Cfr. “l’Unità”, 9/3/1954, I progressi del PCI in provincia di Lucca, di Gastone Ingrasci. Si deve sottolineare, come riferisce Aldo Cecchella, che a livello demografico “la Piana di Lucca ha manifestato un comportamento dinamico assai differenziato fra le

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“Proprio l’esigenza di rafforzare il Partito – proseguiva Gastone Ingrasci – si è segnalata alla testa dei compiti dei comunisti lucchesi. Naturalmente questo è un compito comune a tutti i comunisti, in ogni parte d’Italia, ma a Lucca esso ha assunto un significato preminente muovendo dalla costatazione di un profondo divario tra la forte attrazione che esercitano nella fabbriche gli obiettivi di lotta indicati dai comunisti e la faticosa penetrazione del Partito tra quelle stesse masse che apprezzano la sua guida”.

Queste del corrispondente risuonano molto come parole di conferma a quel che abbiamo precedentemente asserito: all’effettivo seguito che le correnti sindacali socialcomuniste sembrano progressivamente ottenere (a livello di adesione alla lotta, non certo di tesseramenti)121 nei complessi come la Cantoni non si riesce difatti a far seguire un solido radicamento elettorale; come riferiva Bardini nell’intervento conclusivo dei lavori del Congresso, insomma, “qui siamo su una linea dove più duro è il combattimento e più aspra è l’avanzata”122

.

Quello che i comunisti lucchesi cercano allora di promuovere, per questa via, è ciò che lo stesso Fontani aveva individuato come necessità primaria, ovvero “un rafforzamento del partito nelle fabbriche” attraverso la canalizzazione del malcontento provocato nelle maestranze dalla drammatica situazione salariale e occupazionale. Si tratta però di una “penetrazione lenta, faticosa, che indica comunque la via di sviluppo del movimento anche là dove il predominio clericale si manifesta nelle forme più oppressive e asfissianti”. A tal riguardo, si leggeva ancora su “l’Unità”,

i lavoratori, il 19 febbraio scorso, scioperano anche a Lucca con percentuali generalmente elevate. Li muoveva l’urgente bisogno di colmare, almeno in parte, l’enorme distanza tra le paghe e il costo della vita (Lucca è la provincia dove si percepiscono i più bassi salari dell’Italia centro-settentrionale, pari al 39,3% rispetto al costo della vita), ma li rendeva più ardimentosi anche la grande chiarezza con cui i comunisti avevano smascherato la demagogia clericale, inesorabilmente contraddetta dal tradimento di Pastore e della CISL. Le quattromila tessili della <<Cucirini e Cantoni>>, ad esempio, pur essendo in buona parte influenzate dal clero e ancora dominate dal terrorismo ideologico delle

cinque epoche censuarie, ma oscillante attorno ad un livello costante: infatti, tra il dato demografico del dopoguerra (155.000) e quello del 1991 (156.000) non si sono registrate variazioni di sorta”, se si escludono un picco minimo nel 1960 (152.000) ed uno massimo a ridosso del 1970 (162.000), dettato probabilmente dalla significativa attrazione industriale della zona. In Cfr. Aldo Cecchella, Il declino industriale nelle province di Lucca, Pisa e Livorno, Centro Studi Economico-Finanziari tra le Province di Livorno, Lucca e Pisa, Pisa, 1995.

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Nonostante questo, la Cantoni restava in questi anni un complesso industriale a maggioranza cislina, anche per il forte timore che aleggiava in merito alla possibilità di perdere il posto di lavoro. C’è da dire, ad ogni modo, che in questi primi anni Cinquanta il convincimento generale che il centrismo degasperiano dovesse in prospettiva cedere il posto a soluzioni nuove, rilanciò all’interno della DC il ruolo delle correnti di sinistra, in cui la CISL era vivacemente rappresentata; fatto che consentì un almeno temporaneo aumento della combattività sindacale.

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parrocchie, scioperarono (sotto la spinta del ciggiellino Biagioni) al 70 per cento nonostante autorevoli esortazioni cisline al crumiraggio.123

Pertanto lo stretto legame tra Camera del Lavoro e Partito Comunista si rifletteva anche a Lucca in un reciproco appoggio. Se, come riferisce Colzi, è vero che “i rapporti con i partiti di sinistra a quell’epoca erano buoni e […] come segretario della Camera del Lavoro facevo parte di diritto della segreteria della Federazione del PCI poiché non c’erano incompatibilità”124, è altrettanto giusto affermare che proprio il lavoro dei delegati e dei dirigenti sindacali rappresentava l’unica via di radicamento per il partito all’interno dei complessi industriali (alla Cantoni, la prima sezione interna comunista avrebbe visto luce solo nel 1976), evidente segno di debolezza che denotava la necessità di promuovere “iniziative più articolate, luogo per luogo, dando vita a comitati unitari di rinascita con lo scopo di allargare il dibattito su ogni questione”125

: esemplificativo in tal proposito diviene il caso di Francesco “Cecco” Malfatti, eletto parlamentare quando la grande lotta del 1963 alla Cucirini da lui condotta “non era ancora finita”126

.

Ricostruiamo adesso per quali vie tutto ciò si inserì nei processi storici della Cucirini Cantoni Coats, in anni che segnarono una prima contrazione dell’espansionismo industriale dopo l’esplosione della bolla illusoria dipanatasi nel corso del boom economico italiano.

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Ivi. Per quel che riguarda la stampa comunista e la “questione Pastore” si veda, cfr. “l’Unità”, 2/3/1954, Nuove rivelazioni

provano il vergognoso tradimento della CISL. Sul tentativo di radicare il punto di vista del partito tra le donne e le operaie lucchesi,

invece, sono da segnalare le 1.300 copie distribuite a Lucca de Il discorso di Togliatti alle ragazze dalle “compagne” di Firenze, come rivela cfr. “l’Unità”, 2/3/1954, Diffondiamo il discorso di Togliatti alle ragazze.

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Giovanni Lencioni, Luciano Franchi, 40 anni di storia della CGIL, op.cit., p.19. Intervista a Giorgio Colzi. Aggiungeva: “col partito socialista c’era un accordo e molte cose sindacali si discutevano prima insieme. L’autonomia non esisteva, ma se non ci fosse stato quest’appoggio dei partiti saremmo stati ancora più deboli, i partiti fornivano i quadri”.

125 Cfr. “l’Unità”, 9/3/1954, I progressi del PCI in provincia di Lucca, di Gastone Ingrasci. 126

Giovanni Lencioni, Luciano Franchi, 40 anni di storia della CGIL, op.cit., p.26. Intervista a Francesco Malfatti. Malfatti compreso, tutti i segretari della Camera del Lavoro erano stati, fino a quel momento (1963), elementi nati e cresciuti nelle file del Partito Comunista. Tuttavia, come già mostrato, coloro che riuscivano a catalizzare maggior successo durante le vertenze venivano poi riassorbiti dal partito, promossi sovente dirigenti di punta nel tentativo di un avanzamento che, a conferma del carattere scisso tra appoggio sindacale e adesione politica, in Lucchesia non andò comunque mai oltre un certo, basso, limite. Viceversa, chi non riusciva -anche non certo per demeriti personali, vedi Fracassini- si trovò in più di un’occasione messo in disparte. Racconta, lo stesso Fracassini: “quando, dopo le sconfitte alla Cantoni e nella lotta per i cavatori del 1952, venni via dal movimento sindacale mi mandarono a Pietrasanta, a dirigere la campagna elettorale del 1953 per il PCI. Poi rimasi a fare il segretario della sezione di Pietrasanta. Nel 1954 anzi nei primi del ’54 fu fatta una riunione a Pietrasanta per esaminare i risultati delle elezioni. Da Lucca vennero Liberatore e Fontani. Nella riunione non successe niente. […] Fontani mi propose di accompagnarmi a casa in macchina e strada facendo il Fontani mi disse: “sai dobbiamo dirti una cosa piuttosto difficile…”. “Che cos’è?” “Che anche a Pietrasanta sei fallito come a Lucca, quindi cercati un lavoro, vai a lavorare…”. Fracassini fu poi espulso dal partito nel 1956 per “condotta frazionistica”. In Giovanni Lencioni, Luciano Franchi, 40 anni di storia della CGIL, op.cit., p.11. Intervista a Dino Fracassini.

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Capitolo III