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Dopo l’illusione del miracolo: “la lunga lotta dei tremila della Cucirini ” nell’indimenticabile

III.I. Il 1963 della Cantoni: ricostruirne il turbolento retroterra

Il 1959: tra lotta e associazioni sportive. È da poco arrivato il marzo del 1959, quando una nuova ondata

di protesta guidata a livello nazionale dai tre sindacati agita nuovamente la Lucchesia. I tessili, con il 98% di adesioni, sono i protagonisti principali di “una grande giornata di lotta e di manifestazione come da tempo, da molto tempo a Lucca non si registrava”6: tra coloro che si mettono in movimento “per appoggiare le rivendicazioni presentate a loro nome dai sindacati”7, troviamo anche i “cucirini”.

La situazione salariale, difatti, versa in condizioni eufemisticamente preoccupanti, tanto da occupare la posizione di coda nella già bassa graduatoria delle retribuzioni industriali: il compenso quindicinale oscilla tra le 11 e le 13mila lire, a dispetto di profitti aziendali capaci di raggiungere i 2 miliardi e 220 milioni nel 1958. I dipendenti, però, sono scesi da 4.600 a 3.000 e la mancanza di prospettiva, a fronte di un corposo aumento del diagramma degli utili, inizia nuovamente a provocare malcontento.

Se ne ha la prova quando, alla sedativa proposta padronale di concedere un premio tra le 8 e le 28.000 lire per il “buon servizio” (palese tentativo di minare una parziale unità sindacale ritrovata), stavolta arriva una

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Cfr. Guido Crainz, Il Paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta, Donzelli Editore, Roma, 2003, p. 13. Per un approfondimento sul tema si veda anche, S. Turone, Storia del sindacato in Italia, op.cit., pp.259-310.

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Cfr. “l’Unità”, 13/3/1959, I “Cucirini” di Lucca al contrattacco, di Giovanni Lombardi.

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risposta negativa: quella che sta per essere affrontata non sarà, nella lettura dei comunisti, una “lotta isolata e provvisoria, ma il motore di una protesta più generale contro il monopolio per l’assistenza e migliori condizioni di vita dei lavoratori”8

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Date le difficili premesse, le proteste del 1959 devono essere comunque contestualizzate nella cornice di un’annata non completamente negativa sotto il punto di vista delle concessioni: vi si ottengono infatti alcuni rinnovi che garantiscono quantomeno un recupero di competitività, mentre il traguardo più importante si ha con il raggiungimento di un contratto più moderno, capace di garantire la possibilità di negoziare alcuni aspetti fondamentali delle questione operaia, non ultima la necessità di un accordo sulle qualifiche per muovere dalle misere condizioni di inizio decennio e la prospettiva di una vita di fabbrica decisamente più democratica e vivibile; tuttavia si tratta di concessioni, non di conquiste, per giunta raramente mantenute.

Sono aspetti che mantengono un’importanza primaria anche alla Cucirini Cantoni Coats, dove parallelamente si sta combattendo una estenuante battaglia per garantire la parità retributiva di genere: è la FILTA-CGIL in questo caso a giocare un ruolo di spicco, rinvigorita dalla fresca firma del Contratto Nazionale tessili, avvenuta il 31 luglio 1959. A legittimare le mosse sindacali vi sono soprattutto condizioni di lavoro a dir poco estreme: “vuol sapere come ci trattano?” - chiede “un operaio giovane dallo sguardo carico di mal trattenuto rancore” ad Antoni Perria, corrispondente de “l’Unità”- “È una vergogna. Cinque anni fa dovevo badare a 25 rocchetti e oggi me ne sono stati assegnati cinquanta. Quando lascio lo stabilimento non ho più voglia di muovermi, di pensare, di leggere, di andare al cinema. A volte mi sveglio durante la notte e ripeto istintivamente lo stesso gesto che compio dinnanzi alla macchina, per otto ore e tre quarti, tutti i giorni”. “Almeno ci pagassero con salari decenti”- riferisce una lavoratrice più anziana. “Una donna che lavora a giornata prende ogni quindicina dalle undici alle tredici mila lire. Chi si sottopone al cottimo riesce a guadagnare qualche cosa di più, mai però più di mille lire al giorno” 9

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Gli operai, sotto ricatto di licenziamento, vengono costretti così a recarsi in fabbrica anche se ammalati10, mentre il padronato tenta di attenuare la severità dei controlli e la progressiva spinta all’aumento produttivo

8 Ivi.

9Cfr. “l’Unità”, 31/3/1959, A colloquio con le tessili di Lucca dopo il grande sciopero nazionale, di Antonio Perria. Leggendo

certe dichiarazioni non può non tornare in mente quanto Simon Weil, ne La Condizione operaia, scriveva a proposito del lavoratore: “egli consuma nella fabbrica, talora fino al limite estremo, quel che ha di meglio in sé, la sua capacità di pensare, di sentire, di muoversi; le consuma, perché quando esce ne è svuotato; eppure non ha messo nulla di se stesso nel lavoro, né pensiero, né sentimento, e nemmeno, se non in debole misura, movimenti determinati da lui, ordinati da lui in vista di un fine”. In Cfr. Simon Weil, La condizione operaia, Edizioni di Comunità, Milano, 1952, pp.290-5.

10 Riferisce, al riguardo, Nicola del Chiaro: “Già nel 1957 la CISL lamenta alla Cantoni alcune condizioni di lavoro (l’obbligo di

recarsi a lavoro anche se malati, pena il licenziamento, costanti pressioni per aumentare la produzione, disciplina e controlli opprimenti, rapporti umani deteriorati) che giudica inaccettabili e che fanno presagire un clima tutt’altro che pacifico dei rapporti fra dirigenza ed organizzazione. Nel settembre del ’58 si verifica un episodio particolarmente grave agli occhi del sindacato: la C.C.C. assegnerebbe il previsto premio di buon servizio secondo criteri disciplinari. Il sindacato avverte questo come un tentativo di indurre divisione all’interno delle maestranze per esercitarvi un migliore controllo. Qualifica il fatto come un “ricatto padronale” e invita tutti i lavoratori dell’Azienda a sottoscrivere un’offerta di 100 lire ciascuno in favore di coloro che sono stati esclusi dal premio”. In

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con un impegno in campo sociale imbastito probabilmente con il solo intento di distogliere l’attenzione dalle numerose problematiche di fabbrica; Henderson, astutamente, lega infatti il suo nome ad associazioni sportive e sociali, con chiari scopi propagandistici e paternalistici, seguendo il modello dello Sporting Club scozzese fondato nel 1921.

Certi tentativi di riportare ordine e disciplina mancano nondimeno di un’analisi critica della realtà. I “cromosomi” societari sono in costante mutamento, e le esperienze maturate negli anni precedenti, seppur fallimentari, hanno comunque reso le maestranze più convinte e determinate nel rivendicare i propri diritti. Le stesse organizzazioni sindacali, quando unite, ostentano maggiore fermezza nel condurre ed avviare trattative, soprattutto in seguito alle disattese aziendali di alcune norme presenti nel CCNL; tuttavia, a recuperare terreno è soprattutto la CISL11, spinta dalla linea più aperta e rivendicativa battuta da Pacini e Fenili in opposizione a quella di una CGIL ancora incapace di riprendersi pienamente dagli strappi e dalla crisi del sindacato dopo la tremenda sconfitta nazionale alla FIAT. Già nel 1956, in occasione del V Congresso provinciale del PCI, nel rimarcare la scarsa vicinanza dello stesso sindacato alla componente operaia lucchese, il futuro leader della Camera del Lavoro Sergio Gigli annotava: “la burocrazia della Federazione non ha consentito di fare nulla verso le fabbriche. La perdita di voti alla Cantoni è il segno della mancanza di dirigenti sul posto e del sindacato”12

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Nicola del Chiaro, Dalle rivendicazioni alle proposte per lo sviluppo, op.cit., p.26. Come abbiamo visto, si tratta di rivendicazioni che la CGIL già portava avanti già da alcuni anni, ma che, una volta adottate dalla CISL, almeno nella seconda metà degli anni Cinquanta, segnarono un primo recupero del sindacato bianco internamente alla fabbrica.

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Nelle elezioni della Commissione Interna del 1958, per l’appunto, ad avere la meglio era stata proprio la CISL, abile oltretutto nell’aprirsi la strada con alcuni articoli pubblicati su “Il Mondo del Lavoro”, periodico sindacale bianco, nei quali aveva denunciato senza troppe remore i tentativi padronali volti a distogliere le forze operaie dai numerosi motivi di protesta: per i rossi si trattava di un duro colpo, mentre l’inerzia egemonica interna alla Cantoni sembrava essere nuovamente schierata “dalla parte della tradizione”. Si tratta comunque di un riflesso dal respiro nazionale se, come sosteneva Franco Bentivolgi, in questo periodo nelle sale cisline “matura […] progressivamente la contraddizione fra l’ideale interclassista e la condizione umana all’interno della fabbrica”; gli facevo eco Nino Pagani: “cambia anche il linguaggio; il padrone si chiama padrone, non più imprenditore. Il salario si chiama paga, non retribuzione”. In Guido Crainz, Storia del miracolo italiano, op.cit., pp. 70-1.

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Cfr. Isrec Lucca, Fondo Pci, Serie 1, Sezione I, b. 1, fascicolo V Congresso della Federazione del PCI di Lucca, appunti scritti ed interventi, Viareggio, 1-2/ 12/1956. Certo, si tratta di un anno difficile, condizionato pesantemente dai fatti di Ungheria (“pesantemente strumentalizzati dalla maggioranza”, si diceva) che rendono ancora più inefficiente la politica del radicamento comunista nelle fabbriche lucchesi. Ma per avere un ulteriore riscontro, si noti con quali termini, nel 1959, la Federazione del PCI della Versilia (nata dalla scissione con quella Lucchese nel 1958) riferisse in merito alla situazione delle lotte operaie: “In alcuni settori, come a Viareggio, dove è presente un forte e combattivo nucleo di classe operaia, pesa ancora in modo assai negativo nello sviluppo delle lotte una visione ristretta, di tipo economicistico e sindacalista. Le lotte operaie sono concepite, nei fatti, come staccate dalle lotte generali e completamente isolate nell’ambito aziendale. Questi limiti settari e il permanere di una insufficiente chiarezza sui problemi dell’autonomia sindacale sono i motivi principali che hanno impedito di dare ai grandi scioperi unitari per il rinnovo dei contratti di lavoro ed alle lotte combattute dagli operai della FERVET contro la riduzione dell’orario di lavoro e per la contrattazione del nuovo congegno di cottimo un più ampio respiro ed un carattere nuovo, popolare, di massa”. In, Cfr. Isrec Lucca, Fondo Pci, Serie 1, Sezione I, b. 1, fascicolo Tesi IX Congresso, Rapporto di attività del Comitato Federale della Federazione Comunista della Versilia, a cura della Federazione della Versilia del PCI, Viareggio, 23/11/1959.

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Di conseguenza, se da un lato anche la stessa Federazione del PCI di Lucca si gettava in una riflessione non troppo lontana dalle critiche di “eccessiva politicizzazione dei conflitti sindacali” e di “attenzione al verticismo contrattuale -a discapito della centralità delle condizioni di fabbrica”- che si muovevano nel torinese (seppur con le dovute proporzioni), allo stesso tempo, dall’altro, sembrava non comprendere troppo bene -almeno fino all’avvento di Malfatti alla guida del sindacato- il processo di trasformazione in atto, adottando una linea fondamentalmente “massimalista”13

in un momento in cui, all’interno della “libertà congelata” di determinati contesti di fabbrica, convivevano, sì, “licenziamenti […]”, ma anche “assunzioni sempre più massicce”.

Viceversa, il fatto che alla Cantoni il numero degli addetti risultasse in calo può però darci una valida risposta sul perché –vista anche la situazione delle paghe e i dislivelli esistenti tra le diverse aree del paese- la lettura “catastrofista”14

che si faceva del momento trovasse riscontro tra le maestranze, portandole a partecipare ad numero importante di scioperi sostanzialmente brevi (nonostante il terrore del licenziamento e l’isolamento di settori organizzati ), fossero questi condotti unitariamente o singolarmente, che dagli anni Sessanta avrebbero iniziato a rifuggire dall’intermittenza del decennio precedente dando origine a vertenze lunghe e aspre (corroborate da altre forme di protesta come l’astensione dagli straordinari e dai turni festivi), capaci di porre al centro della questione la pari dignità di lavoratori e imprenditori.

Prospettive di rappresentanza. Lo sciopero che sconvolge l’intero settore dei tessili nazionale il 12

marzo 1959 conosce anche a Lucca un grande successo. “I <<Cucirini>> di Lucca al contrattacco”, si legge su “l’Unità”, dove Giovanni Lombardi parlava in questi termini dell’adesione proveniente dalla provincia toscana:

I lavoratori tessili della Lucchesia, uno dei più importanti centri tessili dell’Italia centrale, hanno partecipato in modo plebiscitario allo sciopero proclamato nazionalmente dalle tre organizzazioni

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Ad esempio, nella Milano del 1957, Fabrizio Onofri manifestava così il suo dissenso verso il Partito Comunista: “Mentre tutti gli elementi di esperienza diretta, tutte le cifre e i dati statistici dicevano che l’economia milanese era in sviluppo, in sede di Partito e camerale i vecchi dirigenti sostenevano <<Milano degrada>>, bisogna lottare per la <<salvezza dell’economia milanese>>, per la <<rinascita di Milano>>, e così via. Si negava, insomma, la linea puramente astratta che il capitalismo potesse essere in grado di svilupparsi”, in Guido Crainz, Storia del miracolo italiano, op.cit., p.41. Quello della Cantoni, certo, rappresentava un caso particolare dove, al di là del bersagliamento verso i protagonisti della ripresa conflittuale, permaneva una situazione salariale difficile ed una progressiva diminuzione del numero di operai: un aspetto che più generalmente coinvolgeva l’intero settore tessile provinciale, proprio nel momento in cui la stessa Lucchesia viveva il suo momento di espansione industriale (seppur non trasversale). Si consideri, però, anche quanto Antonio Segni andava dicendo nel 1959: “La congiuntura economica non è favorevole […]. Conseguenza dolorosa della congiuntura, la disoccupazione […]. Si è rallentato o arrestato per taluni settori, il corso della nostra ascesa produttiva”.

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Per dare un’idea, ecco quanto sosteneva Togliatti: “ noi andiamo incontro ad un aggravamento della crisi economica. Anzi, questo aggravamento è già in atto. Un’ondata di licenziamenti è in atto tanto nelle industrie controllate dallo stato (si veda a Lucca la

Manifattura Tabacchi) quanto nell’industria privata […]. Ai licenziamenti corrisponde un’ondata altrettanto impressionante […] di

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sindacali. Il 98% dei dipendenti delle aziende tessili ha disertato il lavoro dando vita ad una grande giornata di lotta e di manifestazione quale da tempo, da molto tempo a Lucca non si registrava. […] vale la pena di ricordare [..] i dati dello sciopero per ogni singola azienda. Eccoli: Cucirini Cantoni (dove lavorano circa 3.000 dipendenti) 98%; Jutificio di Ponte a Moriano 100%; Cotonificio Oliva 100%; Cucirini di Gallicano 99%; […]. Percentuali pressoché simili sono state registrate nelle altre piccole aziende. Il quadro che ci appare davanti dimostra dunque che ci troviamo di fronte ad un “fatto nuovo”. Un fatto nuovo che qui a Lucca – e questa sensazione si avverte nella espressione di fiducia e di comprensibile soddisfazione dei dirigenti sindacali- si colora di un significato tutto particolare. Per accertare il valore di questa nuova situazione, occorre fare un passo indietro e ricordare che la categoria dei tessili non scioperava dal 1954. La pressione del padronato locale, la discriminazione, la paura di perdere il posto di lavoro –qui più acuta che altrove- impedirono la mobilitazione della categoria. Oggi i lavoratori tessili, i cucirinai della Cantoni, si sono liberati da questo complesso e si sono decisamente messi in movimento per appoggiare le rivendicazioni presentate a loro nome dai sindacati. La loro situazione salariale è particolarmente grave. Nella già bassa graduatoria delle retribuzioni industriali occupano la posizione di coda. Il compenso quindicinale oscilla dalle 11 alle 13 mila lire. Quando mi è stata detta questa cifra, ho chiesto che mi fosse ripetuta tanta era la convinzione di aver capito male. Avevo, invece, capito benissimo. Si spiega così come sia stato possibile al grosso monopolio inglese della C.C.C. realizzare profitti che suscitano altrettanta meraviglia. Eccoli: dai 651 milioni del 1950 gli utili sono saliti di 2 miliardi e 220 milioni nel ’58, mentre i dipendenti sono scesi da 4.600 a 3.000. Il diagramma degli utili continua regolarmente a salire mentre nelle fabbriche aumenta lo sfruttamento, si intensificano le pressioni e le discriminazioni, l’opera di divisione degli operai condotta dalla direzione con scrupolosità scientifica. Alla vigilia dello sciopero i padroni avevano fatto sapere che dalla sua riuscita sarebbe dipesa la concessione o meno di un premio denominato di “buon servito”, che la direzione distribuisce in due rate annuali. La prima rata del premio dovrebbe essere per l’appunto distribuita il 27 marzo. I lavoratori della Cucirini Coats […] non hanno ceduto al grosso ricatto (il premio oscilla tra le 8 e le 28 mila lire) ed hanno scioperato con una compattezza insolita. Con il loro fermo atteggiamento essi hanno fatto comprendere che la lotta non si arresterà alla prima giornata di sciopero, ma proseguirà nelle prossime settimane, non sarà un episodio isolato e provvisorio ma un momento di una lotta più generale contro il monopolio per assistere e migliorare le condizioni di vita dei lavoratori. L’unità sindacale concentrata nella lotta ha avuto come denominatore comune la consapevolezza che i lavoratori hanno ragione. Non a caso i sindacalisti della FIOT e della CISL hanno sostenuto nel comizio la via unitaria.15

Malgrado ciò, non si deve comunque pensare ad una totale coesione delle forze sindacali, anzi: i dissapori tra le due organizzazioni persistono e si acutizzano all’interno dello stabilimento, tanto che, sfogliando le pagine della cronaca toscana de “l’Unità”, non capita raramente di imbattersi in articoli dalla significativa portata politica come quello già citato del 31 marzo 1959, nel quale, con toni duri e chiaramente

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Cfr. “l’Unità”, 13/3/1959, Successo senza precedenti in tutta Italia dello sciopero unitario dei 400mila tessili, di Giovanni Lombardi.

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propagandistici, l’inviato Antonio Perria attaccava la linea d’azione cislina interna alla stabilimento, utilizzando come supporto alcune interviste:

Alle 13,30 il suono rauco della sirena segna la fine del turno di lavoro. Dai cancelli della fabbrica “Cucirini Cantoni Coats”, all’Acqua Calda, le operaie escono frettolose, strappano i volantini dalle mani degli attivisti sindacali e si dirigono verso i depositi di ciclomotori e delle biciclette dall’altro lato della strada. L’aria si riempie di richiami, di saluti, di trilli di campanelli, di petulanti scoppiettii di motorini. Si forma qualche capannello. Le donne hanno già saputo dell’inizio delle trattative tra i sindacati e gli industriali; le loro parole esprimono sentimenti diversi, speranza, dubbio, soddisfazione, ma soprattutto orgoglio di aver ben combattuto. “Nello stabilimento della C.C.C. – ci aveva detto il segretario provinciale della Federazione dei tessili- da molti anni non si assisteva ad una lotta di ampiezza paragonabile a questa. La CISL, che ha ancora la maggioranza nella fabbrica16, era sempre riuscita a frenare lo slancio dei dipendenti. Cinque anni fa, ad esempio, noi della FIOT avanzammo la richiesta di un aumento salariale di 100 lire al giorno e proponemmo ai dirigenti della CISL di condurre insieme la battaglia. Ci risposero picche. Dissero che avrebbero ottenuto ogni cosa senza bisogno di agitazioni: avrebbero incaricato il ministro Angelini di recarsi dal padrone, l’inglese Henderson, per risolvere pacificamente la vertenza. “Ma Henderson- aveva continuato il segretario- […] licenziò garbatamente l’ambasciatore e non concesse una lira. Quando i dipendenti conobbero l’esito della trattativa, aggredirono i dirigenti della CISL che per non perdere la maggioranza dovettero scendere in campo con noi. […] In questa fabbrica dove la maggioranza dei dipendenti ha finora seguito le direttive dei sindacati cattolici, in questa zona nella quale si avverte con particolare intensità il peso politico ed economico della Chiesa, che cosa ha spinto le operaie a lottare con particolare decisione, con una compattezza impressionante? Che cosa le ha fatte esplodere dopo cinque anni di sfruttamento? Ne parliamo con le donne che continuano a uscire dai cancelli. Qualcuna si limita a ricordare le condizioni di lavoro e a calcare l’accento sulla sua situazione personale. Qualche altre si sforza di esporre i termini di fondo della lotta. “Abbiamo capito-dice- che per fare i nostri interessi dovevamo essere uniti, fare in modo che non ci siano in fabbrica bandiere e tessere diverse”. In altri termini, l’unità con la FIOT è stata vista oggi come l’unica possibilità di esprimere una politica di classe, per spezzare una condizione di asservimento. Qualche altra donna lascia intravedere motivi di politica più generale che hanno provocato codesta esplosione delle operaie cattoliche. Sono sentimenti di cui forse non hanno ancora piena coscienza, frutti di un moto istintivo, in molti casi. “Finora – dice una giovane operaia tormentando un crocefisso che le preme sul petto- avevamo avuto speranza. C’avevano detto che il governo sarebbe intervenuto. Che bastava avere pazienza e fiducia. Ma ora…”.

16 Nel gennaio 1959 le elezioni per la Commissione Interna avevano fatto registrare questi risultati, con la FIOT che, nonostante

una buona crescita, restava pur sempre la seconda forza: voti validi 2.217 (nel 1958 erano stati 2.401); FIOT 929 (’58:900), 41,9% (’58:37,4%); CISL 1.172 (1958: 1.345), 52,9% (1958: 56,2%); CISNAL 116 (1958: 156), 5,2% (1958: 6,4%). La lista FIOT-CGIL guadagnava comunque un posto nella commissione, passando da 4 a 5 seggi. Cfr. “l’Unità”, 21/1/1959, Successi della FIOT alla

Cantoni, Borgosesia e Stamperia di Saronno. Non deve stupire che si parli di “successo”. Se, infatti, all’inizio del 1958 è vero che il

segretario della CISL nazionale annunciava, forzatamente, il “sorpasso” nei confronti della CGIL, in realtà nello stesso periodo