• Non ci sono risultati.

Condizioni di lavoro, contrasti e rappresentanze nel microcosmo della Cantoni: il fil rouge tra il 1963 e il

V.II. Dal sindacato per i lavoratori al sindacato dei lavoratori: un primo passo

“Contare di più, guadagnare di più, faticare di meno!” 41

. Con questo slogan la sezione sindacale aziendale della FILTEA-CGIL chiudeva gran parte dei suoi periodici bollettini. A leggerli erano operai sulla soglia delle pensione, uomini e donne che avevano partecipato alla lotta del ‘63 in prima linea, costretti poi al silenzio dalla repressione; ma ci sono anche e soprattutto giovani che continuano ad affluire da una campagna sempre più spopolata, in cerca di maggiore fortuna42. Sono alcuni di questi a costituire, nell’opinione di Gildo Tognetti, l’epitome del nuovo quadro operaio; spoliticizzati, avanguardisti, “vogliono essere loro a decidere, vogliono essere loro il sindacato e il partito”:

Nuovi quadri operai, in gran parte giovani, sono venuti fuori: un nuovo tipo di giovane operaio e di giovane quadro, non iscritto ad alcun partito; giovani compagni impegnati in fabbrica decisi ad avere un nuovo tipo di rapporto con le organizzazioni di classe: vogliono le loro responsabilità, prendono i loro impegni con i compagni di lavoro, ma vogliono anche il potere e gli strumenti per esercitare questo potere e portare avanti il discorso di classe. […]. Questi nuovi quadri sono diversi anche per un altro aspetto, secondo noi determinante per capire il tipo nuovo di partecipazione alla lotta che si ha in questo momento non solo a Lucca, ma in tutto il Paese. Non vengono fuori sporadicamente, e in numero limitato, dalla massa, ma sono gruppi interni alla massa operaia, ad esempio interi reparti, intere sezioni, a volte interi turni. Il discorso sulle avanguardie operaie non ha più le stesse caratteristiche di un tempo. L’esperienza che abbiamo avuto alla Cantoni è significativa: i giovani sono un’avanguardia, non solo per oggettive condizioni di lavoro, ma per una più alta maturazione della coscienza di classe che si traduce nella partecipazione diretta alla lotta, nel rifiuto della organizzazione capitalistica del lavoro all’interno della fabbrica.43

40

Isrec Lucca, Fondo Pci, Serie 1, Sezione I, b. 23, fasc. “Volantini”, resoconto della situazione interna alla Cucirini Cantoni Coats, a cura della Sezione sindacale aziendale FILTEA-CGIL della C.C.C., Lucca, 10 ottobre 1968

41

Ivi.

42

“S dice che la campagna lucchese è ricca - suggeriva un’analisi portata avanti dalla Federazione del PCI nel 1969. Come spiegare, allora, l’esodo da questa campagna, nonostante la forte immigrazione di meridionali e di marchigiani, particolarmente nel comune di Altopascio […]? La popolazione attiva in agricoltura, rispetto a quella totale, è scesa dal 31% del 1951 al 20% del 1961.Un stima pure orientativa fa ritenere che dalle 45.000 unità del 1951 si passerà nel 1971 alle 12.000”. In Isrec Lucca, Fondo Pci, Serie 1, Sezione I, b. 43, fasc. “Ufficio fabbriche”, Convegno economico per lo sviluppo economico, sociale e civile della Lucchesia, indetto dalla Federazione del PCI di Lucca l’1/6/1969 a Palazzo Orsetti. Relazione di Sergio Dardini.

43

Isrec Lucca, Fondo Pci, Serie 1, Sezione I, b.20, fasc. Cucirini Cantoni Coats, “mondo nuovo”, Anno XI- N.19, 11/5/1969,

168

Per una classe operaia ormai così profondamente diversa da quella uscita dalla Resistenza e dagli anni della ricostruzione, smarcata dalle categorie di “pauperismo” e “paternalismo” cattolico degli anni Quaranta, ma al contempo distante dalla tradizionale immagine comunista dell’ “operaio produttore”, diveniva allora fondamentale rivendicare condizioni lavorative migliori, che contemporaneamente consentissero di vivere un’esistenza “normale” anche al di fuori dello stabilimento: tuttavia, in una fase in cui “il miracolo economico stava ripartendo – ricorda Riccardo Fratino- l’atteggiamento del padronato andava in ben altra direzione, scegliendo di portare avanti un lavoro basato sui bassi salari e sul super sfruttamento. Era una fase terribile, perché contrastava la ricchezza di alcune zone del paese con la disperazione e lo sfruttamento all’interno delle fabbriche”44

. Fatto ancora più grave, la divisione sindacale vigente nel panorama di rappresentanza interno agli stabilimenti spesso e volentieri aveva impedito alle maestranze di abolire le barriere dei settori e dei reparti, diffondendo tra gli addetti una grave inconsapevolezza “di quel che vi accadeva, visto che nella seconda metà degli anni Sessanta andava cambiando il modo di lavorare, di fare e di produrre”. Alla Cantoni, certo, la battaglia del 1963 aveva lasciato in eredità quantomeno una base da cui ripartire45, dopo che l’unità di classe raggiunta dai cucirini durante la vertenza era andata affievolendosi in seguito alle contromosse aziendali degli anni a seguire; ciononostante, per il sindacato, ricostruire dopo così tante sconfitte restava comunque difficile: qualcosa doveva cambiare, soprattutto nella modalità di approccio ai problemi e nella cognizione di questi da parte della forza lavoro.

L’inizio della svolta, indicativamente, arriva attorno alla fine del 1966. Lucca vive una fase intensa, durante la quale gli scioperi vanno susseguendosi alla Calf, alla Colged, alla Manifattura Tabacchi e soprattutto alla SMI, dove i licenziamenti avevano distrutto interamente i quadri ciggiellini lasciando l’egemonia nella mani della CISNAL. È in questo momento che un gruppo di giovani intellettuali, provenienti da esperienze formative quali quelle di “Classe operaia” e di “Quaderni rossi”, inizia ad avvicinarsi al sindacato, spinto da una forte voglia di cambiamento: “era giunta l’ora di capire cosa stava succedendo davvero nelle fabbriche” afferma ancora oggi l’uomo di punta di quella cerchia, Riccardo Fratino:

Alle 4, 5 del mattino partivamo per il picchettaggio: iniziammo con le fabbriche meccaniche che erano più all’avanguardia.[…] Da questi incontri incominciammo a ricreare i primi rapporti, incominciammo ad entrare ed appassionarci. I primi contatti furono con gli operai della Lenzi, fu da lì che entrammo. Era un sindacato che a quel tempo viveva quasi esclusivamente di pubblico impiego (dove c’era un po’ più di difesa) e di vertenze: non a caso Bianchi dirigeva l’ufficio vertenze. Il sindacato era debolissimo, quasi inesistente e il problema era ricostruirlo: l’idea era quella di capire

44

Intervento di Riccardo Fratino durante il Convegno Il filo rosso della memoria, organizzato dalla CGIL e dalla Provincia di Lucca nel 2006.

45

Nel 1964, su “Classe Operaia” si parlava della Cantoni in questi termini: “è una delle poche industrie dove i tremila operai decidono <<uniti>>- in un risveglio particolarmente significativo e maturo- le forme di lotta più incisive ed educative”. Cfr. Tessili e

169

cosa succedeva nella fabbrica e da lì ripartire per tentare di dare risposte a certi bisogni. La lotta più forte, che cambiò le sorti, fu tuttavia quella che portammo avanti alla Cantoni.46

Proprio alla Cantoni, i turnisti di notte (tra i più delusi dalla scelta di dire basta durante la drammatica assemblea al Giglio) iniziano a parlare di un “fantasma” che aleggia sulla scesa davanti allo stabilimento, il quale, vestito del suo montgomery, cerca di parlare con gli operai, di stabilire contatti, di informarsi. La vivace “presenza” altro non era che quella di un giovane Riccardo Fratino, a tutti gli effetti stimato ancora oggi come “padre putativo” del sindacato alla Cucirini Cantoni Coats: “quella di Fratino fu una figura grandissima- ricorda un altro protagonista del tempo, Venanzio Pieruccini. Veniva tutte le mattine sulla scesa, interpellava, e la gente, inizialmente, diceva: <<ma che cazzo vuole quello?>>. Poi però iniziò a parlare costantemente con tutti, specialmente con i turnisti di notte che erano un caso a sé stante: alle 5 era già lì. Conquistava sempre più persone, parlava con gli operai durante le merende, formando un nucleo sempre più ampio e contagioso…insomma: lui è quello che dalla FILTEA di Lucca ha originato il sindacato vero e proprio alla C.C.C. È stato un padre un po’ bizzarro, però il merito è suo, è lui che ha “fondato” il sindacato vero e proprio alla Cantoni”47.

Il lavoro che il giovane membro del PSIUP porta avanti quotidianamente assieme agli altri quadri ha alle spalle una solida base culturale costruita e maturata durante gli anni del 1963-’64, teorizzando un diverso ruolo per la classe operaia: “l’idea, giusta secondo me, era che non dovesse essere un fatto leninista-dirigista di gente dall’esterno che guida, ma doveva essere la classe operaia che cresceva e si impadroniva del potere”48. Per arrivare all’obiettivo, Fratino tesse così una rete sempre più fitta di dialoghi, di scambi di

opinione, arrivando ad ottenere una conoscenza pressoché perfetta del ciclo produttivo, delle condizioni di fabbrica e della produzione stessa: “quando parlavi con un operaio non potevi non capire quel che diceva e fare la figura dell’imbecille; dovevi essere informato su quello di cui parlava, anche per sollecitare la volontà di emergere, di crescere, di procedere verso una forma di autonomia. Era tutto un discorso nel quale il sindacato pian piano si eclissava, lasciando la scena alla forza lavoro”, precisa.

I primi ad essere coinvolti in questo processo di ricostruzione divengono coloro che nel 1963 erano stati tra i delegati più attivi durante la vertenza, ma che le contromosse padronali, nei 4-5 anni seguenti, erano riuscite ad infiacchire, “distruggendoli ai lavori più umili”49

. Da questa prospettiva, ad aggravare la

46

Intervento di Riccardo Fratino durante il Convegno Il filo rosso della memoria, organizzato dalla CGIL e dalla Provincia di Lucca nel 2006.

47

Intervista a Paolo Barsocchi, Riccardo Fratino e Venanzio Pieruccini tenutasi presso l’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Lucca, 7/1/2015.

48

Ivi. “Le operaie e gli operai non hanno nessuna voce in capitolo e questo non può andare avanti perché chi è giovane e deve passare la vita in fabbrica, deve pure contare qualcosa!”, recitava a tal proposito un volantino della sezione aziendale Cantoni FILTA-CGIL, stampato il 28 marzo 1968. In Cfr. Isrec Lucca, Fondo Pci, Serie 1, Sezione I, b. 20, fasc. Cucirini Cantoni.

49

Nel lavoro di Castelvetri, gli anni di transizione tra il 1963 e il 1968 vengono indicati come connotati da una sorta di “ritorno alla stagione buia degli anni Cinquanta”. In Cfr. R. Castelvetri, Sindacato industria e stato negli anni del centro-sinistra, vol.III, Quaderni di storia diretti da Giovanni Spadolini, Le Monnier, 1978.

170

situazione nel lustro che separava il 1968 della Cantoni dall’ultima lotta, avevano contribuito oltretutto le conseguenze pressoché inevitabili del sistema di contrazione articolata, che, essendo costruito su di una serie di rinvii discendenti dal livello nazionale e affidato alla gestione esclusiva del sindacato territoriale, risultava incompatibile con qualsiasi potere contrattuale degli organismi aziendali e, a maggior ragione, con il riconoscimento in capo a questi di competenze originarie: come sottolineano Romagnoli e Treu, insomma, “la presenza del sindacato in fabbrica non poteva non ridursi ad un mero fattore di decentramento burocratico”50

. È da qui, allora, che progressivamente si sceglie di abbandonare le posizioni difensive (ma neanche troppo) assunte nel post ’63 in favore di una dimensione più combattiva, dettata a Lucca non tanto da una concreta azione d’attacco nei luoghi di lavoro da parte del movimento dei lavoratori (indirizzando una domanda di rinnovamento nei confronti della stessa organizzazione sindacale), quanto, viceversa, dall’ingresso nelle fila rappresentative di “uomini nuovi”, capaci di ravvivare un epicentro di lotta (quello della Cantoni) che si sarebbe poi espanso all’intero circondario industriale51. “Non fu certo facile ricostruire

su di una sconfitta - sostengono all’unisono Fratino, Barsocchi e Pieruccini. Tuttavia il 1963 aveva lasciato in eredità una coscienza di fabbrica che risultò fondamentale per riaprire la lotta ed estenderla concretamente all’intera città. È qui che sta il grande collegamento tra questi due straordinari momenti”52

.

Alla bassa conflittualità e al blocco della domanda rivendicativa seguiva pertanto una decisa riscoperta della fabbrica da parte del sindacato, costretto a fare i conti con quelli che fino a quel momento erano stati limiti invalicabili e a cercare con ogni mezzo di non trovarsi spiazzato dinnanzi allo spontaneismo delle maestranze. L’esigenza di recuperare in fretta l’adesione della base e di riacquistare credibilità passava nell’interpretazione di Fratino dall’ umiltà nel discorrere con i lavoratori e dall’isolamento della componente sindacale da qualsiasi assioma politico, rendendo al contempo quella del sindacato una “presenza nell’ombra”: l’assorbimento di questa consapevolizzazione e l’ingresso nei quadri di esponenti originariamente affiliati a gruppi extra sindacali (ma che nella debolezza stessa del sindacato erano stati capaci di ritagliarsi spazi di autonomia) consentì dunque di intercettare le ragioni dell’insofferenza, rigenerando un “attivismo” di fabbrica che andava riflettendosi primariamente nel recupero (o, meglio, di un avanzamento) del ruolo fortemente rivendicativo che le Commissioni Interne avrebbero dovuto rivestire.

50

Umberto Romagnoli e Tiziano Treu, I sindacati in Italia dal ’45 a oggi, op.cit., pp.176-177.

51

Occorre tuttavia apportare quantomeno una precisazione. L’indebolimento dell’azione sindacale aveva comportato anche a Lucca “ un diverso atteggiamento da parte dei lavoratori, che cominciavano << a fare da sé>>, a non occuparsi del sindacato”. Si andava aprendo, insomma, una frattura tra i lavoratori e la Commissione Interna che, durante la Conferenza Materiali e sviluppo del 1978, sarebbe stata definita “grave” dalla FIOT, poiché i sindacalisti (e la stessa C.I.) si erano trovati “ridotti ad un ruolo marginale nell’Azienda. “Dopo una fase di dura repressione- si diceva- questa aveva infatti rilanciato la politica paternalistica elargendo gli aumenti individuali e tentando di costruire un suo sindacato , il così detto “sindacato giallo”. Con una simile prospettiva, così, si percepisce ancor meglio il peso che i nuovi quadri sindacali assunsero nella seconda metà degli anni Sessanta. In Isrec Lucca, Fondo Pci, Serie 1, Sezione I, b. 20, fasc. Propaganda fabbriche. Materiali per la conferenza di sviluppo della Cucirini Cantoni Coats.

52

Intervista a Paolo Barsocchi, Riccardo Fratino e Venanzio Pieruccini tenutasi presso l’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Lucca, 7/1/2015.

171

Sono proprio queste, infatti, a gestire l’intermediazione, facendosi portatrici di denunce sempre più serrate in qualità di sinergiche sintesi tra rappresentanze sindacali e forza lavoro: è con la Commissione che il contratto prevede di dover discutere le fasce di cottimo; è con la Commissione che l’Azienda deve dialogare per comunicare “alle operaie interessate, per iscritto, i criteri” in base ai quali lo stesso cottimo viene fissato; è ancora attraverso la Commissione che vengono avanzate lamentele sullo sfruttamento e sulle misere paghe53. Sfruttando altresì la ritrovata carica di delegati, il quadro che va emergendo dalle sale della Cucirini Coats nei primi mesi del ’68 somiglia dunque sempre più ad una santabarbara pronta ad esplodere:

Ci sono sei interrogativi che aspettano una risposta: fino a quando gli operai e le operaie saranno disposte a fare 3 o 4 lavori diversi e riscuotere la paga di un manovale? Fino a quando gli operai e le operaie che servono le macchine rinunceranno al cottimo che spetta loro di diritto, dato che sono parte integrante del processo produttivo (più produzione fanno le operaie alla macchine e più lavoro loro devono portare)? Fino a quando gli operai e le operaie del magazzino che lavorano come a cottimo (dato che devono evadere quei tanti ordini e riempire quei tanti scatoloni) accetteranno di essere pagati a giornata? Fino a quando le operaie e gli operai delle macchine accetteranno questi falsi cottimi (dove non si può guadagnare più del 15/16% neanche a lasciarci i polmoni)? Fino a quando la Direzione riuscirà, giocando sulle qualifiche e sui cottimi, a tenere ferme le paghe nonostante gli aumenti dei rinnovi contrattuali? Con meno di 50.000 lire al mese si poteva vivere nel 1950, oggi è diventato impossibile! Come potremo far capire alla Direzione questo tragico fatto?

La forza lavoro della fabbrica torna gradualmente a scoprirsi una cosa sola: con sempre più insistenza vengono richieste l’abolizione delle gabbie salariali e, soprattutto, la revisione dei cottimi: “anche noi vogliamo vivere!”, scrivono le operaie e gli operai della battitura e della tintoria, delle tavelle e del toccoa54

, nel mentre che i bollettini interni si fanno sempre più fitti di reclami. Nell’agosto del 1968, pochi mesi prima dello scoppio della lotta, vi si poteva leggere, ad esempio:

La Direzione della Cantoni continua sulla sua strada, nonostante i ripetuti avvertimenti della Commissione Interna e del Sindacato. La sua fine è di produrre ogni giorno di più con minor operai, in modo che i suoi guadagni aumentino giorno per giorno. Dopo aver trasformato in un inferno le tavelle, ora con la scusa di rimodernare, sono passati ai tubetti. È bene che si sappia quale è stato alle tavelle il

53

Una delle critiche più frequenti che coinvolgeva la Direzione riguardava proprio il fatto di non tenere in sufficiente considerazione il parere della C.I.: “in questi ultimi tempi- si poteva leggere su di un volantino congiunto CGIL-UIL- non tenendo in nessuna considerazione il parere contrario di tutta la Commissione Interna, la Direzione ha preso a pretesto l’aumento del costo della vita per giustificare l’aumento del costo della mensa. L’Azienda non ha voluto però tener conto che il costo della vita è aumentato per tutti quando ha deciso di dare gli aumenti di merito solo ad alcuni lavoratori!”. La nuova Commissione Interna, per questa via, avrebbe così dovuto battersi “per la firma degli aumenti di merito discriminanti, perché gli aumenti di merito siano contrattati con i sindacati e concessi a tutti”

54

Emblematica la testimonianza di Paolo Barsocchi: “da impiegato, mi trovavo a dover consegnare le buste paga. La situazione in certi reparti era impressionante: in battitura, dalla polvere che c’era, non riuscivo a vedere a più di un metro di distanza da me”.

172

risultato di questo democratico riammodernamento: 1) più di 40 mila lire in meno di guadagno di cottimo, nonostante il rinnovo del contratto e l’aumento del costo della vita; 2) decine e decine di operaie anziane con 20 o 30 anni di servizio, tolte da guadagnare alle macchine, umiliate e messe ai peggiori lavori o spostate di reparto e costrette a imparare, alla loro età nuovi lavori. 3) Per chi è rimasta alle macchine, oltre al minor guadagno si è vista triplicare la fatica. Dopo le 8 ore una non riesce più a stare in piedi da tanto che le sentono le spalle e quando arriva a casa ha appena la forza di raggiungere il letto, trascurando le faccende di casa e dimenticando di avere un fidanzato, un marito, un figlio. Tutto questo nelle intenzioni della Direzione deve avvenire nei tubetti. Non per nulla il boia delle tavelle è passato ai tubetti. Il toccoa non deve diventare un inferno! Il “trios les canos” Bertuzzi, Milianti, Rota, sta seguendo con la massima diligenza gli ordini della Direzione. Hanno guardato, si sono riuniti, hanno discusso, hanno deciso: da sabato 24 agosto 1968 incomincia l’esperimento per: 1)far fare alle operaie delle macchine il lavoro per il quale ci vorrebbero quattro operaie (poi i capetti si lamentano che non sanno dove mettere le donne che avanzano nei reparti). Infatti devono: mandare le macchine, scegliere il lavoro, fasciarlo, scatolarlo. 2) eliminare le fasciartici; 3) fa ritornare tutte le novizie; 4) assegnato il sabato 18 fusi, il lunedì 20, il martedì 27 e il mercoledì 28. Dove si fermeranno? 5) Portare il numero di giri delle macchine da 1.300 a 1.800 con la conseguenza che mandare 4 macchine che vanno a 1.800 giri è come mandarne 6 a 1.300. […] La ristrutturazione non deve passare sulle spalle e sui polmoni degli operai; per questo la Commissione Interna deve intervenire.[…[ Il Contratto Nazionale stabilisce che ci debbono essere le operaie delle macchine e quelle che fasciano, quelle che scatolano, quelle che scelgono e che sono responsabili del lavoro fatto male.55

Non si tratta tanto di una critica al sistema retributivo a carattere incentivante, quanto al continuo aumento delle medie produttive che comportano costanti adattamenti sia fisici che psicologici. Le esigenze di competitività sul mercato che il liberoscambismo impone -in aggiunta agli oneri dei contratti di lavoro- fanno sì che la Cantoni (come tutte le altre aziende) riveda continuamente la sua organizzazione produttiva, introducendo piccole modifiche tecnologiche ed organizzative, approfittando di queste per restringere i tempi operai, già di per sé ridotti dall’incentivo del cottimo. Tuttavia, la nuova linea sindacale, trasversale e incisiva, consente invero di fratturare quelle stesse divisioni che la rigidità dei cottimi e l’autoritarismo padronale avevano imposto: tutti si sentono “vittime” di condizioni insostenibili, e il prendere conoscenza

55

Materiale in possesso di Riccardo Fratino, ora custodito in copia presso l’Isrec di Lucca. Ciclostile dal titolo Le democratiche

risposte della Direzione, a cura della sezione sindacale FILTEA-CGIL della Cucirini Cantoni Coats, agosto 1968. Continuava: