• Non ci sono risultati.

Il lungo e difficile dopoguerra: dalla ricostruzione alle lotte negli anni Cinquanta

II.IV. Verso gli ambigui anni Cinquanta: dentro la fabbrica

Ad un lustro dalla fine del secondo conflitto mondiale, a tenere banco dal punto di vista industriale

lucchese sono in particolar modo gli scontri sociali che si stanno consumando all’interno dell’impianto metallurgico della SMI e nel delicato contesto di Ponte a Moriano: ciononostante, in un clima ancora minato dalla povertà e dalla disoccupazione, gli anni ’49 e ’50 si vanno generalmente svelando come eccezionalmente intensi dal punto di vista rivendicativo, collocando Lucca in un più complesso sistema di lotte che spaziano l’intera Toscana (come riporta “l’Unità” di venerdì 18 marzo 1949)46

e muovono la stessa Cucirini Cantoni Coats al centro della scena sindacale e politica.

Il quadro regionaleche prendeva le mosse dal dopoguerra aveva rivelato due questioni emergenti: la prima, concernente l’iniziale declino dell’industria <<pesante>> toscana, in favore di un rapido emergere di quella <<leggera>>; la seconda, facente riferimento ad una più stretta alleanza tra classe operaia e mezzadri.

Se in Lucchesia quest’ultimo aspetto sembra effettivamente poter prendere piede solo in maniera limitata, condizionato da una struttura agricola anomala rispetto al contesto toscano, caratterizzata -come abbiamo visto- da un sistema affittuario contrassegnato in modo importante dalla presenza di medi e piccoli proprietari terrieri47, è invero il ruolo sempre più rimarchevole che l’industria leggera va rivestendo a

miglior esito. Il vice segretario del PCI, Emilio Jacomelli, concordava col segretario nell’attribuire la responsabilità delle acute tensioni tra i due partiti sia alla propaganda anticomunista svolta dal clero sia all’orientamento di alcune sezioni del partito indirizzato ad una campagna contri parroci e la DC”. Documenti e studi”, n.35, 2013, pp.94-96, estratto da Emmanuel Pesi, Dalla

guerra alla democrazia, op.cit.

46

Vi si legge: “Da tutta la Toscana giunge la notizia che il popolo scende nelle piazze per riaffermare la sua opposizione alla criminale politica del governo. A Pisa, Siena, Prato, Pistoia e Lucca hanno avuto luogo imponenti manifestazioni”.

47 Le tensioni tra i ceti a reddito fisso e quelli rurali restavano infatti fortissime: i primi riversavano sui secondi, più che sugli

speculatori, il malcontento per la situazione alimentare e il carovita, ritenendo, in una crescente mentalità “anticontadina” degli iscritti al PCI, che nella campagne molti fossero “milionari”, come segnalava il rapporto di un’ispezione fatta alla Federazione di Lucca in data 17-28 novembre 1945. Non era un caso, tuttavia, che nel 1946 le uniche zone a carattere fortemente rurale ad aver visto una vittoria del fronte delle sinistre fossero state Altopascio e Montecarlo. Come avrebbe riferito anche Giorgio Colzi, segretario della Federazione lucchese della CGIL dal 1953 al 1960, si trattava infatti della zona mezzadrile della Piana, dove nel dopoguerra – Pescaglia compresa-il coefficiente del grado di ruralità era vicino al 60%.

46

rappresentare il più significativo punto di riscontro, trovando nel tessile il settore vettoriale verso la diffusione di un più convinto attivismo economico e sociale.

Si tratta poi di un fattore che può contare su di un altro aspetto centrale, ovvero, la riapertura di quei canali di comunicazione e di scambio con i paesi industrialmente più avanzati, congelati durante il fascismo e che, oltre a consentire alla regione una processo di ricostruzione più rapido, rendono innegabilmente fondamentale il ruolo della Cucirini Cantoni Coats nella sua natura di multinazionale tessile48. Questo tipo di politica commerciale, volta alla liberalizzazione dei traffici internazionali e figlia legittima di un processo legato agli aiuti finanziari UNRRA ed ERP, rappresentava per la Toscana solo un parziale vantaggio visto dalla prospettiva della sua struttura manifatturiera tipica, destinata essenzialmente all’esportazione verso gli USA e l’Europa.

La situazione economica lucchese di inizio anni Cinquanta si presenta sostanzialmente immutata rispetto a quella che aveva fatto seguito al dopoguerra. Ad essere cambiato, semmai, è il ruolo dell’industria: in una terra di piccoli affittuari, artigiani e lavoratori a domicilio, il settore secondario conosce infatti una crescita importante, legata in particolar modo al radicamento sempre più solido di alcuni complessi di primaria importanza, su tutti la Cucirini Cantoni49. Tra le attività industriali è il campo manifatturiero a rappresentare la voce più importante per numero di addetti: nel 1951, difatti, vi è impegnata l’81,47% della forza lavoro, dato destinato ad aumentare nell’arco di un decennio, quando il numero di operai passa da 29.503 a 38.840 (+ 30%)50. Nello specifico il tessile sviluppa una notevole capacità di attrazione (specialmente in Lucchesia), divenendo rapidamente il settore di punta per numero di addetti, con oltre 7.600 operai assunti (25,78%): tuttavia, sarà proprio questo settore a subire una perdita di effettivi considerevole nel corso degli anni Cinquanta (con un peso specifico ridotto quasi del 17%)51, condizionato in particolar modo dalle difficoltà che vedono protagonista lo Jutificio di Ponte a Moriano.

Quello che abbraccia l’intera area risulta così un lento processo di modernizzazione, costretto a cozzare più volte con pericolosi elementi di staticità: la Cucirini Cantoni, da questo punto di vista, rappresenta forse il

48 Non a caso, come avrebbe riferito la Giunta regionale durante la Conferenza sulla linee del programma regionale di sviluppo

economico nel marzo del 1973, il settore tessile rientrava tra le categorie che più rapidamente si erano dimostrate in grado di

rilanciare la propria produzione nell’immediato dopoguerra. In Cfr. Regione Toscana, Giunta regionale, Linee del programma

regionale di sviluppo economico, marzo 1973, Firenze, p. 14.

49

Come sottolinea Aldo Cecchella, su di una popolazione di 366.899 unità, gli impiegati nel settore industriale sono 58.980 (il 41,5%), a fronte dei 45.138 agricoli (31,7%) e dei 38.081 operanti in altre attività come servizi, commercio e artigianato (26,8%)Aldo Cecchella, , Lo sviluppo dell’economia lucchese, op.cit., 117.

50 Il tasso di incremento restava comunque inferiore a quello medio toscano, percentualizzabile in un +50%: se Lucca

rappresentava un contesto industriale significativo, da questo punto di vista aveva leggermente rallentato il passo. In Ivi.

51

Precisamente, fino al giugno del 1950 nel settore tessile non si percepirono particolari difficoltà, tanto che è la stessa FIOT a diffondere, nel 1949, dati incoraggianti sul suo periodico nazionale dove vengono presentati sintomi di ripresa in tutti i settori. Si leggeva: “i sintomi di ripresa di tutti i settori, specie nel cotoniero e del laniero, rispetto alla stasi degli affari dello scorso autunno sono evidenti e lo documentano il volume delle contrattazioni e l’aumento dei prezzi all’interno che è sicuro indice del risveglio degli affari”.

47

punto più avanzato di progresso, impegnata in un’intensa opera di espansione economica che, dall’altro lato della medaglia, le deboli forze sindacali cercano invano di estendere a tutta la zona in termini di riconversione e trasformazione. Ci si avvia così a contestualizzare uno scontro che si dirama rapidamente a livello di rappresentanza, prendendo il via anche a Lucca nel 1948, quando la scissione della CCGIL porta prima alla nascita della Libera CGIL e in seguito a quella della CISL, il cui primo Congresso vede la luce nel 1951. Nel 1949, inoltre, viene fondata pure la Federtessili, nel cui volantino di presentazione si invitano gli operai e gli impiegati a fornire un contributo tramite le proprie esperienze e i propri desideri “per poter giungere a risoluzioni che rispecchino le vere esigenze della classe lavoratrice”52.

Tornando alla Cantoni, escluso un lieve calo dovuto alla razionalizzazione del sistema produttivo, l’Azienda vive ad inizio anni ’50 una significativa fase di crescita. La continua richiesta di commissioni e l’intercedere di svariati tipi di esigenze portano il complesso non solo ad aumentare la gamma di prodotti sintetici e in cotone, dettata soprattutto dall’introduzione di articoli come le spagnolette di media lunghezza, ma anche a consolidare una leadership che autorizza la C.C.C. ad accordarsi con i piccoli concorrenti per spingerli, con mezzi non sempre leciti, sotto la sua egida. Accettare è un obbligo, se si vuole sopravvivere al gigante in continua espansione e ad un mercato sempre più competitivo.

Nel frattempo l’utile cresce vertiginosamente, lo sviluppo investe tutti i settori produttivi interni alla fabbrica e i bassi salari giocano a favore della Direzione. È però la manodopera, come abbiamo visto, a veder decrescere il proprio numero, nonostante uno stipendio “da fame”53

: dopo la parentesi fascista, questo “paradosso” genera nuovi e sentiti scontri tra sindacati e Azienda, nonché tra sindacati stessi, sulla scia di rivendicazioni che riguardano anche la paga oraria, la revisione di altre voci della busta paga, le condizioni sul luogo di lavoro e i diritti sindacali. Così, la pressante richiesta di un aumento generalizzato dei salari da parte della CGIL e della CISL a livello nazionale si traduce anche in Lucchesia in una serie di tafferugli dettati dal fatto che, come sottolinea giustamente Nicola del Chiaro:

i sindacati […] consapevoli dei buoni profitti realizzati dagli imprenditori, non intendono che a pagare gli oneri della nuova messa in moto dell’economia italiana sia unicamente la classe lavoratrice. La loro battaglia, pertanto, è tesa a far sì che i salari, già molto bassi, restino in qualche modo agganciati all’aumento dei prezzi al consumo in maniera da garantire loro una vita dignitosa ed adeguata agli sforzi compiuti.54

52

Nicola del Chiaro, Dalle rivendicazioni alle proposte per lo sviluppo, op. cit., p. VIII.

53

A fare da controparte ad una manodopera passata da 4.500 a 3.800 unità vi era l’incremento di capitale sociale, che sarebbe passato (grazie anche al basso costo delle maestranze) dai 700 milioni del 1951 ai 3 miliardi del 1954. Dati inclusi ne “Il Filo”, Giornale dei lavoratori della C.C.C., direttore responsabile e proprietario G.Matteucci, anno III, N°6, 11 luglio 1955.

54

48