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La nascita della grande fabbrica: i primi anni della Cucirini Cantoni tra paternalismo e dissens

I.IV. L’arrivo di James Henderson i nuovi scioperi del

Lo stabilimento dell’Acquacalda, superato un primo momento di difficolta, è pronto a ripartire ancor più

speditamente, e il cambio di marcia ha un nome ed un cognome: a seguito di uno scandalo-truffa che coinvolge Costanzo Cantoni nel 1910, la guida passa a James Henderson, pionieristico innovatore che riesce a trasformare la Cucirini in un’Azienda al top nel mercato di settore. Un passo che, alla fine degli anni Venti, avrebbe portato la Cantoni al terzo posto provinciale per numero di occupati, passando dai quasi 500 dei primi anni ai 3.500 già all’alba del primo conflitto mondiale.

Proprio lo scoppio della guerra costringe l’Azienda ad un riassestamento organizzativo: il conflitto presenta subito il conto, implicando problematiche di stampo produttivo legate, più che al prezzo, alla quantità del prodotto19. Gli strascichi divengono maggiormente percepibili quando, al termine delle operazioni belliche, la fabbrica si trova nuovamente coinvolta in una gravosa crisi di sovrapproduzione: le scorte sono abbondanti, la domanda è mutata, e la fermata di 300mila fusi, abbinata all’introduzione dello

short-time, non basta a tamponare l’emorragia. Henderson, trovatosi con le mani legate, tenta così una prima

mossa: introdurre nello stabilimento il “sabato inglese”, ovvero una giornata lavorativa di cinque ore senza intercorrere in modifiche salariali; si tratta di una proposta che viene accolta con entusiasmo dai lavoratori – salvo poi pentirsene successivamente-, mentre la Cucirini diviene uno dei primi complessi industriali italiani ad adottare la politica delle 55 ore20. La C.C.C. riesce così a superare –non senza difficoltà- anche la crisi di produzione che travolge il Paese, grazie ad un’attiva politica di investimento sul mercato interno ben coadiuvata da esportazioni agevolate soprattutto dalla natura “straniera” della fabbrica. Sotto questo aspetto, l’Azienda non soffre infatti particolari intoppi, ma la chiamata alle armi di molti impiegati provoca ben presto ingenti problemi di capitale umano che vanno a sommarsi alle sempre più pressanti richieste di aumento salariale da parte delle maestranze.

La guerra ha comunque lasciato ferite profondissime, tanto che il clima a livello nazionale non tarda ad

incendiarsi: in un quadro difficile come quello italiano, Lucca non si trova a rappresentare certo un’eccezione. Come se non bastasse, alle ingenti perdite umane si affianca anche una terribile epidemia di spagnola, mentre, di fronte alla scarsità di lavoro, molti reduci chiedono sempre più insistentemente una sostituzione delle donne e dei ragazzi assunti durante il conflitto in uffici ed officine.

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La propaganda per l’intervento e le difficoltà della guerra avrebbero modificato sostanzialmente anche l’assetto politico lucchese, soprattutto a discapito del vecchio moderatismo in favore della democrazia cittadina. I radicali, inoltre, segnarono il loro definitivo allontanamento dai socialisti, stringendosi attorno alle altre unità che componevano la classe dirigente: i vecchi gruppi liberalclericali e, per l’appunto, i democratici.

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Nonostante poi la presenza di un crescente sentimento nazionalista, che, se da un lato non conosceva ancora il primo fascismo diciannovista, dall’altro avrebbe presto riavvicinato i radicali alla destra politica (allontanandoli dai repubblicani, dichiaratamente antibolscevichi, sostenitori dei combattenti e della Società delle Nazioni promossa da Wilson), la sensazione che pure a Lucca la prima guerra mondiale avesse rappresentato un sostanziale spartiacque era comprovata soprattutto da uno primordiale, acerbo, sviluppo delle organizzazioni sindacali e dei partiti di massa, la cui affermazione si trovava indubbiamente favorita dalle riforme elettorali promosse durante l’anno (ovvero l’adozione del sistema proporzionale e della circoscrizione elettorale plurinominale). Iniziano così a circolare nell’ambiente cittadino idee ed informazioni che sembrano connotare una forte affermazione associazionista tanto in ambito cattolico quanto -in misura minore- socialista, spingendo il rivendicazionismo operaio a proclamare scioperi (se ne contano 11 tra Lucca e la sua Piana)21 all’interno di una provincia fino a quel momento rimasta fondamentalmente immobile dinnanzi al disagio lavorativo: tra le agitazioni, 5 vengono imbastite per protesta contro gli imprenditori, mentre le altre si contraddistinguono per la loro natura prettamente economica, ma ciò che più colpisce è la maggiore compattezza delle maestranze, avvertita in un certo qual modo dagli stessi datori di lavoro, che, come nel caso della C.C.C., avviano proprio in questo momento un timido tentativo di apertura, seppur di portata limitata. Anche la bianca Lucchesia, così, in termini più moderati e sfumati rispetto alla vicina Versilia, sembra trovarsi catapultata nelle tumultuose pieghe del “biennio rosso” italiano22

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Urgono, nondimeno, alcune precisazioni, prima di affrontare nel concreto il caso Cantoni: innanzitutto, a mio modo di vedere, si deve procedere cautamente nel delineare gli embrionali moti di protesta del dopoguerra come “principio di compattezza operaia”, poiché gli scioperi che vi prendono piede sono da collocarsi comunque in un’ottica esterna a quella di un’organizzazione unitaria, viziati da una pronunciata chiusura economicistica e da una natura frammentaria e parcellizzata, incapace di immettere nei settori mutamenti che non siano appena percettibili nella distribuzione della forza lavoro fra le diverse categorie. Secondariamente poi, il socialismo che si diffonde in Versilia23 (tra correnti massimaliste e riformiste) e

21 Gli scioperi provinciali furono 43 con 9.258 scioperanti nel 1919 e 56 con 14.733 scioperanti nel 1920, esaurendosi comunque

tutti in una serie di azioni a breve respiro, seppur con esisti sostanzialmente positivi. Nel dettaglio che a noi qui interessa, quelli tessili furono 8 (con 2.516 aderenti) nel 1920, in Ivi. Scrive, Baldanzi: “Nel primo dopoguerra le classi subalterne lucchesi scuotono con un improvviso rivendicazionismo il microcosmo cittadino. Le organizzazioni di massa di operai o di contadini si affermano come la novità dirompente del dopo mobilitazione. L’intera Lucca è percorsa da un’ondata associativa alimentata e gestita dal movimento socialista e dai settori cristiano sociali del mondo cattolico”, in P. Baldanzi, Alle origini del fascismo lucchese, op.cit.

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Ciononostante, Paola Consolani, in riferimento al “biennio rosso lucchese”, scrive che, se “da un lato […] precise condizioni oggettive fanno sì che la provincia sia solo marginalmente investita da quel vasto movimento colonico che venne a scuotere gran parte delle campagne toscane, -gli iscritti alla Federterra arrivavano ad appena 600 nel 1920, contro le diverse migliaia delle altre provincie toscane- dall’altro nel comparto industriale le agitazioni non presentano, in genere, un carattere particolarmente incisivo”. In Consolani, Dozza, Gilardenghi e Gozzini, La formazione del Partito Comunista in Toscana, op.cit., pp.70-71.

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In prospettiva futura, se in Versilia i fallimenti dei moti insurrezionali del 1920 avrebbero innestato un processo di revisione all’interno dello stesso PSI locale, destinato poi a sboccare in una consistente adesione dei quadri al Partito Comunista d’Italia nel 1921 sotto la guida di Luigi Salvatori (che partecipò al convegno di Imola), lo stesso non si poteva dire per Lucca. Mentre, infatti, la

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Valdinevole, sospinto anche dalla ricostituzione nel primo semestre del 1919 delle Camere del Lavoro di Lucca24, Pescia, Viareggio, Pietrasanta e Forte dei Marmi, presenta caratteri (come a livello nazionale) fortemente antistituzionali, antimilitaristi e privi di interesse per gli accordi di pace di Parigi, che lo pongono in costante scontro con le associazioni combattentistiche, il mondo clericale e lo stesso Partito Popolare25, quest’ultimo sempre più forte in Lucchesia grazie ad un humus di stampo conservatore e filocattolico incentivato dall’appoggio fornito al soggetto politico sturziano da parrocchie, parte della stampa e opere cattoliche.

Proprio questo contrasto, quello tra un socialismo lucchese (per quanto rinforzato da un incremento dei suoi iscritti)26 incapace di darsi un indirizzo vivace e combattivo27 e il movimento popolare, si accentua ancor più se letto in un’ottica di ricerca del consenso operaio: spaventati in particolar modo dall’ala sinistra del PPI, guidata da soggetti influenti come Arturo Chelini e munita di un organo informativo, “L’Esare”, sempre più solida espressione del sindacato cattolico, i socialisti tentano infatti di esorcizzare senza riuscirci un movimento (seppur minato da frazioni interne) che, nel soggetto delle prime Leghe Bianche, sembra aver intuito in anticipo su quale territorio sociale e per quale via radicare ancor più il proprio consenso, delineando il profilo di un biennio, più che rosso, connotato da un significativo tentativo di riformismo di propulsione cattolica. Esisteva, però, anche un altro lato della medaglia, ugualmente importante: malgrado i proclami all’unità sindacale che vengono lanciati sullo stesso “Esare”28

, dietro ad una ferma volontà di

formazione del Pcd’I nel 1921 proseguiva speditamente a livello provinciale, con la convocazione del congresso costitutivo per il 3 febbraio 1921 nel quale venne eletto segretario l’avvocato lucchese Michele Franco, è pur vero che questa “espansione” rossa restava circoscrivibile solo al Viareggino e alla Valdinevole: nel capoluogo gli organismi operanti si dimostravano infatti incapaci, come riferisce la Consolani, “di coordinare e dirigere le forze del partito ( a Lucca i comunisti raccolgono, nelle elezioni politiche, un numero irrisorio di consensi, pari al 2,9%)”, tanto che, dopo soli pochi mesi, maturò la decisione di spostare la sede comunista a Viareggio. In Idem, p.80.

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La Camera del Lavoro di Lucca contava al momento circa 6.000 iscritti e 45 leghe, ed era riuscita a concludere ben 30 concordati in tutta la provincia, secondo le stime del “Bollettino dell’Ufficio provinciale del Lavoro della provincia di Lucca” del settembre 1919.

25 Per uno sguardo più ampio sul tema si veda, cfr. Lenzo Lenzi, Debolezze e vitalità della Chiesa di Lucca: clero, movimento

cattolico, PPI nella crisi dello stato liberale, Bologna, EDB, 2012 e Nicola Del Chiaro, Alzarono lo sguardo. Nascita e primi anni di attività delle Leghe Bianche a Lucca, 1919-1921, Cel Editore, Lucca 1995.

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Gli iscritti al PSI in provincia di Lucca erano passati dai 157 del 1918 ai 457 del 1919 (1.292 nel 1929), ovvero, su scala regionale, il 4,35%, il 4,33% e il 4,62%. Erano cresciuti poi ulteriormente, seppur in maniera quasi impercettibile, nel 1920. In

Ibidem, p.67.

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A parte il sorgere di sezioni socialiste nei centri di Barga, Castelnuovo, le zone della Garfagnana e della Bassa Valle restavano del tutto impermeabili all’espansione socialista. Se le basi di partenza erano infatti davvero modeste, ciò è dimostrato anche dal fatto che solo nel 1920 veniva superato il traguardo dei mille iscritti che rappresentano appena il 5% del totale regionale, collocando la Federazione di Lucca all’ultimo posto nel panorama provinciale, incredibilmente a breve distanza da quella labronica.

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Si legge, sul numero del 29 gennaio 1919, in un articolo dal titolo Accanto al Partito Popolare la Confederazione dei

Lavoratori: “Per noi la tesi semplice, logica, destinata a trionfare è questa: ogni lavoratore sia libero di organizzarsi in quel sindacato

rosso o bianco che meglio risponde al suo modo di sentire (libertà sindacale), e tutte le organizzazioni in un secondo grado realizzino poi, in un’alleanza tra di loro, la vera e sola possibile unità sindacale”.

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fornire una decisa risposta alle esigenze ed alle richieste del mondo del lavoro lucchese29 si nascondeva anche un forte timore per una possibile, quanto improbabile, affermazione delle organizzazioni e degli ideali socialisti30, dettata altresì dal vigore che questi avevano raggiunto in alcune aree di confine.

È in questo contesto, così, che il 15 marzo 1919 la provincia conosce la nascita della prima Lega Bianca per iniziativa di Don Tocchini, parroco di S. Marco: dotato di grande sensibilità e di fervente spirito cattolico, questi si era impegnato fin dall’immediato dopoguerra in opere di sostegno sociale, distribuendo farina alle famiglie bisognose e pagando gratuitamente i sussidi militari alle mogli dei richiamati.

Sono atti di carità che gli consentono di guadagnarsi fin da subito fiducia e rispetto, tanto che le stesse operaie della C.C.C. sembrano vedere in lui una sorta di figura guida sulla via della conquista di maggiori diritti31; anche all’Acquacalda, infatti, il malcontento è cresciuto contro un’Azienda che durante il conflitto ha cercato di accrescere solo il proprio utile, costringendo i lavoratori ad orari inumani e per giunta mal retribuiti.

29 Si riteneva che certe esigenze non potessero più essere comprese dal paternalismo della classe imprenditoriale. Secondo quanto

riferisce Alberigi, “i lavoratori hanno una nuova consapevolezza della propria condizione. In primo luogo, la chiara evidenza di quanto la guerra avesse significato sofferenza, povertà e morte quasi unicamente per le classi subalterne […] la stessa guerra aveva richiesto uno sforzo produttivo senza precedenti consentendo un’ulteriore notevolissima espansione dell’area dell’industrializzazione, comportando un rafforzamento ed anche un arricchimento dell’industria lucchese, realizzato per lo più attraverso la crescita incontrollata dei prezzi. Se queste condizioni, aumento smodato dei prezzi e contenimento dei salari, potevano essere accettate durante la guerra, ciò non era più realizzabile nel 1919; così come la nuova consapevolezza dei rapporti sociali rendeva inaccettabile il paternalismo imprenditoriale, che mai avrebbe consentito l’applicazione dei concordati decisi a livello nazionale o l’acquisizione di aumenti salariali nella misura in cui erano richiesti dai lavoratori”. In Enrico Alberigi, Partito Popolare e movimento sindacale

cattolico a Lucca, op.cit., p.220.

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Vi era infatti nel mondo cattolico e, soprattutto, trai popolari, il timore che il PSI potesse rimanere l’unico interlocutore delle classi lavoratrici, issato ad ultimo difensore delle loro rivendicazioni. Come scrive del Chiaro, “la storia dei primi anni di attività dell’organizzazione bianca a Lucca è caratterizzata dall’impegno su due fronti: in primo luogo, il più importante, la lotta con il padronato, nel migliore dei casi contraddistinto da un atteggiamento paternalista nei confronti delle maestranze, più spesso sordo alle richieste operaie; in secondo luogo la rivalità con i socialisti massimalisti, accusati di seminare tra gli operai i semi della divisione e dell’assenteismo”. In Nicola Del Chiaro, Alzarono lo sguardo, op.cit., p.41.

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Si tratta di proteste scollegate da un contesto più ampio, collettivo: gli altri complessi che avevano conosciuto un iniziale movimento di dissenso erano stati lo Jutificio di Ponte a Moriano, dove erano sorte le prime manifestazioni mutualistiche tra gli operai sotto forma di alloggi per i lavoratori, sussidi per gli infortuni, Cassa di Soccorso e Cucine Economiche, favorite dalla presenza del sindacato socialista nell’Azienda, e la Regia Manifattura Tabacchi. Proprio questi due stabilimenti rappresentarono i punti in cui la Camera del Lavoro riuscì maggiormente a radicarsi, seppur tra notevoli difficoltà. Si faceva infatti riferimento ad un movimento socialista debole, così innocuo da non richiedere neanche forme di vigilanza particolarmente strette: come scrive Gianluca Fulvetti, per via della sua prassi blandamente riformista, la stessa Camera del Lavoro non rappresentava allora “un oggetto di speciale attenzione […] e lo Stato non pare molto preoccupato di questa nuova realtà che, dal 1906 in avanti, tenta di porsi come interlocutore credibile nei momenti di crisi e conflittualità tra lavoratori e titolari delle fabbriche – che siano esse privati, o lo stesso Stato Italiano, come nel caso della Manifattura Tabacchi”. In La nascita della Camera del Lavoro di Lucca: prodromi e percorsi sino

al 1922, Note sulla conflittualità operaia a Lucca all’inizio del Novecento: le carte del fondo prefettura dell’Archivio di Stato:1900-

20 Seguendo l’esempio di alcune zone della Brianza32

, nel frattempo, il parroco annuncia al Direttore della C.C.C., Probst, la nascita di un sindacato in difesa dei diritti dei propri dipendenti; è il 14 febbraio 1919, e la sua denuncia alla parte padronale per aver compiuto manovre subdole contro l’organizzazione delle lavoratrici suscita grande scalpore in tutta la comunità, costringendo lo stesso Probst a venire a patti. Ma ormai la protesta è avviata con convinzione, e la presenza di un leader sembra conferire alle maestranze quella spinta decisiva che mancava da troppo tempo33.

Il 15 febbraio sono 700 le operaie degli stabilimenti della C.C.C. che partecipano interessate all’assemblea costituente della “Lega Lavoratori del Cotone” (iscritta al Sindacato Italiano Tessile), sposando in pieno la sua natura sociale-cristiana volta a garantire la difesa dei diritti cittadini e la mutua assistenza. Per l’occasione è lo stesso parroco ad ergersi promotore delle prime iniziative interne alla Cantoni, col fine di ristabilire un rapporto più collaborativo tra forza lavoro e Direzione attraverso “l’arma” dell’enciclica Rerum

Novarum, da cui viene ripresa la funzione che il clero è chiamato ad esercitare verso le classi più deboli. È

un successo: le adesioni fuoriescono dal perimetro della Cantoni, ed a sposare le sue teorie sono – almeno inizialmente- soprattutto quelle maestranze femminili a cui facevamo riferimento, connotate da una forte impronta cattolica34.

Preso coraggio, le rivendicazioni che vengono esposte alla classe imprenditoriale della Cantoni si estendono fino a toccare una vasta gamma di punti: dalla contrattazione su base nazionale alle giornata di otto ore; dalle retribuzioni migliori ad un’organizzazione più solida e radicata nei consigli di fabbrica. Don Tocchini, così facendo, si attira ben presto l’ostilità degli imprenditori, tanto che alcune personalità influenti della stessa C.C.C., accusandolo di sovversivismo, ne minacciano un allontanamento dalla parrocchia35. Il prete, fermo oppositore dei socialisti e dello sfruttamento, non si lascia comunque intimorire e, al contrario, rafforza l’offensiva pubblicando sull’ “Esare” una rubrica intitolata Nel mondo dei cucirini: l’entusiasmo

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In Cfr., Come nacquero a Lucca le Leghe Bianche, in “Il mondo del lavoro” (giornale della CISL provinciale), n.13-14, Dicembre 1956, si leggono queste parole, rilasciate dallo stesso Tocchini: “esortai le operaie, che nei nostri stabilimenti sono la stragrande maggioranza, ad organizzarsi in una lega compatta ad imitazione delle loro compagne della Brianza e di Bergamo”, facendo con ogni probabilità riferimento anche ai miglioramenti che il Sindacato Italiano Tessile era riuscito ad apportare in Lombardia.

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È bene ricordare, per questa via, che la lotta doveva essere comunque disciplinata, rispettosa, tale da non deviare la retta via nel recupero dell’equilibrio perduto. Un modo di vedere la vicenda che, ovviamente, ci pone in netta contrapposizione con le organizzazioni socialiste: quello che le Leghe Bianche promulgavano sulle pagine de “L’idea popolare”, settimanale della Casa del Popolo e della sinistra del P.P. lucchese, era così un invito ad “organizzarsi cristianamente”, nella tutela dei valori cattolici.

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Non essendo questa la sede, è possibile tuttavia approfondire il ruolo e l’azione della “Lega Lavoratori del Cotone” in Paolo Bottari, op.cit., pp.296- 306.

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I maggiori attacchi vengono sferrati da giornali come “La Gazzetta di Lucca”, vicini alla massoneria e tendenti ad attuare una difesa ad oltranza nei confronti dell’imprenditoria locale. Scrive, Baldanzi: “Se la conflittualità socialista è un dato scontato, il sindacalismo Cattolico è percepito dalla classe dirigente cittadina come un tradimento perpetrato dall’interno, come un aprire al nemico le porte della cittadella fortificata posta a difesa del tradizionalismo lucchese. Ad aggravare il giudizio c’è il fatto che i leghisti bianchi organizzano in senso rivendicativo anche le campagne fino a quel momento impenetrabili per i socialisti”, in P.Bladanzi, Alle origini del fascismo lucchese, op.cit., p.66.

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all’interno della fabbrica dilaga, e il 24 febbraio 1919 gli operai invitano Henderson a recarsi di persona in fabbrica così da potersi meglio rendere conto della gravità delle condizioni lavorative. Il proprietario, toccato sul vivo, reagisce con fermezza invitando a mettere a tacere ogni voce di protesta, viste le numerose iniziative da lui promosse in favore degli operai, come la cucina economica, i bagnetti e i sussidi per le famiglie; solo in pochi rispondono, affermando che a troppe, inutili, concessioni sarebbe stato preferibile un significativo aumento salariale36.

Ed un aumento salariale, seppur minimo, arriva. Le maestranze vedono difatti lievitare la propria paga di 2 centesimi al giorno e la Lega Bianca, rivendicando il merito del passo in avanti, accresce ulteriormente il proprio consenso tra le operaie della C.C.C fino a toccare le 1.200 adesioni. Scrive, Bottari:

Le operaie […] si lasciarono sedurre dalle voci del mondo cattolico più facilmente dei loro colleghi maschi, decisamente più “rossi”. La loro forte fede cattolica costituì sempre un ostacolo insormontabile per i socialisti, che apparivano ai loro occhi come dei rivoltosi che mettevano in pericolo la loro religione. Inoltre, non si era ancora assopito il ricordo della disastrosa agitazione promossa dai socialisti nel 1907-1908 all’interno dello stabilimento dell’Acquacalda.37

Sono affermazioni, queste, almeno nella prima parte paradossalmente rischiose, come cercherò di dimostrare più avanti: il socialismo che si diffonde a Lucca, infatti, risulta di portata estremamente limitata (escluso