• Non ci sono risultati.

Il lungo e difficile dopoguerra: dalla ricostruzione alle lotte negli anni Cinquanta

II.V. Tra rivendicazione e repressione

Come abbiamo appena visto, l’impegno sindacale spazia in questo periodo su più fronti. A destare preoccupazione è soprattutto la condizione di miseria in cui versa la cittadinanza, schiacciata tra le difficoltà della ricostruzione e salari davvero esigui che vanno, per la maggior parte dei casi, dalle 40.000 alle 50.000 lire mensili, rendendo sovente impossibile l’acquisto di beni anche solo di prima necessità.

Le forze di rappresentanza, oltre a battersi per un aumento di stipendio, cercano allora di mobilitare la forza lavoro su terreni finora sostanzialmente vergini in Lucchesia, chiedendo l’ abbassamento dei prezzi e maggiore tutela verso i settori industriali con i lavoratori più bistrattati, tra cui il tessile: le relazioni tra maestranze e imprenditori, tra sindacato e enti politici, vanno così a costituire in questo periodo la base principale su cui misurare le caratteristiche e le modalità del processo di democratizzazione dello stato post- fascista, ed a rivestire un ruolo di primo piano in un simile percorso rivendicativo è soprattutto la Camera del Lavoro, molto attiva nel promuovere manifestazioni di protesta e scioperi che non tardano a far scattare più di qualche campanello dall’arme nel timore di un sopravanzamento socialcomunista. Si tratta di un problema che non resta certo circoscritto ad alcune aree della penisola, ma rilegabile a questio nazionale dettata dalla promozione da parte dei governi De Gasperi di una “democrazia protetta” che sfocia ben presto in legislazioni speciali di disciplina rivolte al controllo della stampa e della promulgazione sindacale. Come scrive Simona Colarizi, dal 1949, sotto la scure dello scelbismo si concretizza un processo involutivo dell’istanza democratica che passa da “moderata-conservatrice” ad “autoritaria tout-court”, con una “polizia (“la Polizia di Scelba”) che esprime una carica di aggressività nella tutela dell’ordine pubblico in cui si intravede uno spirito di rivalsa e un odio di classe che ha le sue radici nella vicenda della guerra civile”55

. Anche in Lucchesia questo processo prende rapidamente piede, in modo accentuato per giunta, nei riguardi di quelle forze operaie che, spinte dalla CGIL –nonostante le scarsissime adesioni- cercano di realizzare i loro diritti di cittadinanza politica e sociale nella centralità del lavoro e nella richiesta di condizioni migliori, salutari e salariali, ponendosi all’interno di un tentativo di riscatto verso l’affermazione di una riconosciuta dignità, umana e civile. Come sottolinea Luca Baldissara, però, a fare da controparte ad un simile evolvere rivendicativo è il riemergere, alla fine degli anni Quaranta,

dei tratti di una visione gerarchica dei rapporti di lavoro, venata di sfumature neocorporative sul piano politico-istituzionale, che nega la piena legittimità del conflitto sociale e delle istanze di democratizzazione provenienti dal movimento operaio. Nella prima metà degli anni Cinquanta ciò condurrà ad un aspro conflitto, con costi sociali e umani gravosi: migliaia di licenziamenti, scontri nelle piazze con delle vittime, indurimento delle condizioni di vita e di lavoro. D’altro canto, ciò

55

Cfr. Simona Colarizi, La seconda guerra mondiale e la Repubblica, Utet, Torino, 1984 (cit. dall’edizione tascabile Tea, Milano, 1996, p.517), in Luca Baldissara (a cura di), Democrazia e conflitto. Il sindacato e il consolidamento della democrazia negli anni

49

spingerà alla formulazione di ipotesi di “democrazia protetta” e a ventilare la possibilità di una limitazione dei diritti politici e sindacali sanciti nella Costituzione.56

A tal riguardo, nel contesto lucchese l’intervento più duro si registra proprio alla Cantoni per mano della Celere, quando -il 28 luglio 1949- un operaio, padre di 5 figli, viene fermato dalle forze dell’ordine. Le operaie reagiscono immediatamente all’ingiustizia, “prendendo botte da orbi, con danni non lievi a quattro di esse particolarmente colpite”57

, senza però poter far molto: la protesta, nonostante la repressione brutale, non si arresta, e diviene quasi sommossa quando la ditta, in evidente difficoltà, arriva addirittura ad impedire l’uso stesso del telefono per chiamare l’autoambulanza.

Se la divisione sindacale aveva generato dei contraccolpi, soprattutto economici, “sia alla Manifattura Tabacchi che alla Cantoni”58

, la lotta nelle fabbriche conosceva progressivamente continui sviluppi, rinvigorita anche dalla prima occupazione del dopoguerra da parte dei lavoratori della S.C.I. (Stabilimento Chirurgico Italiano) di Camaiore, col fine di evitare 120 licenziamenti. Alla Cantoni la protesta prosegue e, salendo di colpi, ben presto costringe la classe imprenditoriale a scendere in campo: nel luglio del 1950 è la FIOT a diffondere la notizia dell’arrivo a Lucca del Signor Henderson, “padrone della fabbrica”, e della convocazione di una riunione “di maestre, assistenti e capireparto, durante la quale il Signor. Henderson avrebbe dato sfogo, con un linguaggio violento, rabbioso, al suo malcontento per lo sciopero, minacciando fulmini contro gli operai e inveendo contro i presenti”59

. Il giorno seguente il fatto viene accertato da un ordine del giorno votato dalla Commissione Interna alla Cantoni: “preso in esame la gravità dell’atteggiamento assunto dal massimo esponente della Ditta”, l’organismo rappresentativo dei lavoratori decideva di condannare aspramente il comportamento della Direzione locale, che, secondo quanto riportato su “Il Nuovo Corriere”, “aveva tentato di costringere gli operai ad opporre le proprie firme per testimoniare al Signor Henderson il presunto pentimento per lo sciopero effettuato”60

, consegnando per questa via una dimensione di quanto fosse ancora persistente e dominante il paternalismo all’interno dello stabilimento.

Ad ogni modo, la rabbia e la miseria portano talvolta a scontri anche violenti, come quelli durante la giornata di sciopero generale del 4 aprile 1952, quando la Cucirini Cantoni viene nuovamente presidiata dagli uomini della Celere: Spinelli ricorda che “due volte vennero chiesti i rinforzi e, non soddisfatti, si ebbe

56

Ivi.

57

Cfr. Aldo Spinelli, Il socialismo a Lucca nel periodo della ricostruzione, volume II (1950-1955), Pacini Fazzi, Lucca 1984, pp.56-57. Riprende, in questo caso, un articolo uscito su “Il Nuovo Corriere” del 29 luglio 1949.

58

Giovanni Lencioni, Luciano Franchi, 40 anni di storia della CGIL lucchese, op. cit., p.7. Ciò, più in generale, avvenne per l’intero complesso di fabbrica lucchese, nella sua marcata connotazione politica, dove, ancora secondo le parole di Raggiunti, “la coscienza era meno radicata che in Versilia o in Garfagnana”. Lo stesso, però concludeva che, “comunque, nelle lotte si riusciva a coinvolgere anche gli altri e a farle unitarie”.

59

Aldo Spinelli, Il socialismo a Lucca, volume II, op. cit., p.57. Riprende un articolo uscito su “Il Nuovo Corriere” del 26/7/1950.

60

Ibidem, p.58. Riprende un articolo uscito su “Il Nuovo Corriere” del 27/7/1950. Si pensi, leggendo questo citazione, a quanto certe forme di paternalismo vigessero ancora solidamente, e, di conseguenza, al tipo di clima che si respirava nello stabilimento ad inizio anni Cinquanta.

50

il dispiacere di vedere intervenire, in aiuto alla Celere, anche la Polizia Stradale”61; non si tratta solo di una inerte parata, dal momento che la Celere si mobilita “in tutti i sensi della parola, arrivando perfino a maltrattare le donne che rimangono fuori dalla fabbrica, a spingerle a forza dentro (e), senza alcuna ragione, ad allontanare dalla fabbrica, fermando poi gli elementi dirigenti del sindacato”62

.

Se la battaglia del 4 aprile si era rivelata complessa e faticosa per l’organizzazione sindacare unitaria, la CGIL e la FIOT cercano comunque di non lasciare niente al caso: le energie non devono assolutamente essere disperse, ore che i nemici principali, in provincia di Lucca, sono facilmente individuabili negli Henderson (Cucirini Cantoni), negli Oliva (Cotonificio Oliva del Piaggione) e negli Anfossi (Iutificio di Ponte a Moriano). È in questi stabilimenti, perciò, che si sceglie di spendere la maggior parte delle forze: relativamente alla Cucirini Cantoni, infatti, la FIOT elabora un preciso Piano di lavoro per l’interno della fabbrica, “integrando la piattaforma rivendicativa generale con particolari problemi aziendali -sui quali ha aperto un dibattito con i lavoratori e le lavoratrici dei vari reparti”- ed uno per l’esterno, “che prevede riunioni nelle frazioni dei comuni di Lucca e Capannori, per <<toccare a domicilio>> tutti i dipendenti dell’Azienda”63

.

Le contromosse padronali non si fanno certo attendere, e costringono le sinistre a mettere in piedi una forte mobilitazione che cavalchi la crescente insofferenza dei lavoratori. Di conseguenza, fin dai primi giorni del 1952, si verificano alcuni episodi gravi, tali da ottenere risalto anche a livello nazionale: alla Cucirini Cantoni, infatti, 30 operaie sono sospese dallo stabilimento di Lucca, mentre altre 32 subiscono la stessa sorte nella sede di Gallicano. Il 16 gennaio 1952 “l’Unità”, con occhio attento alle dinamiche locali, riporta immediatamente la notizia:

Una forte agitazione si è accesa a Lucca, dove l’azienda tessile Cucirini e Cantoni ha intimato la sospensione a trenta operaie, annunciando velatamente, sin da adesso, che il licenziamento potrà colpire prossimamente circa mille dipendenti. La pericolosa prospettiva di smobilitazione alla Cucirini e Cantoni, che ha realizzato enormi profitti e controlla in altre regioni numerosi altri stabilimenti, ha gettato l’allarme tra i lavoratori di Lucca. Un affollato comizio è stato ieri tenuto davanti alla sede dell’Agenzia. Nel corso di esso è stato annunciato che le maestranze della Cucirini e Cantoni si opporranno alle decisioni della direzione d’Azienda.64

Grandi interrogativi, nel frattempo, gravano sui settori produttivi, e quindi sui posti di lavoro, ancor più che sulla questione salariale. La disoccupazione galoppante, coadiuvata dalla bassa retribuzione, fa si che quella

61

Ibidem, op. cit., p.122.

62

Ivi.

63

Ibidem, p.122. Non sono riuscito, tuttavia, a rintracciare il documento originale.

64

Cfr. “l’Unità”, 16/1/1952, Occupazione di due fabbriche a Salerno, vasti scioperi in Abruzzo per gli aumenti salariali. Sempre “l’Unità”, in un articolo del 15 settembre 1953 dal titolo Profitti dei re della stoffa, soffiava sul fuoco, asserendo che la Cucirini Cantoni Coats, dal 1948 al 1953 aveva visto crescere i propri da “302 milioni a 1.533”.

51

del 4 aprile venga concepita come una vera e propria “lotta di popolo”, dettata dalla grande contrazione delle vendite e da una mancanza di potere d’acquisto così spiccate da generare un effetto domino che non tarda a travolgere gli stessi commercianti65. Alla Cucirini Cantoni, quando la mancanza sempre più significativa di commesse estere “non permette il mantenimento nemmeno dell’orario recentemente ridotto”66

, è la proposta della CGIL a suscitare grande clamore, ipotizzando una possibile apertura commerciale verso l’URSS e, più in generale, verso i paesi dell’est Europa; l’idea, ovviamente, è studiata assieme al PCI, che le conferisce subito grande supporto politico sulla spinta delle parole di Orazio Barbieri, segretario dell’Associazione Italia-Unione Sovietica, il quale, durante una conferenza stampa tenutasi proprio a Lucca, aveva annunciato la partecipazione dei sovietici “alla prossima edizione della fiera di Milano e, con molta probabilità, anche alla Fiera del Levante”. “Nel fare questo annuncio – si leggeva su “l’Unità”- l’onorevole Barbieri ha sottolineato il grande beneficio che il nostro paese riceverebbe dalla estensione degli scambi commerciali con l’Unione Sovietica, particolarmente importante per la nostra bilancia commerciale che registra in questi ultimi anni un sempre più grave deficit”, confermando oltretutto il “fatto positivo del raggiungimento del nuovo accordo commerciale italo-sovietico” 67.

La vicenda, discussa e intrigante, contribuisce però a far squillare più di un campanello d’allarme: la CISL si isola, tacciata da comunisti e socialisti di essersi oramai asservita alla mercé del padronato dopo la sua sostanziale rinuncia allo sciopero, mentre la Direzione si affretta a stilare vere e proprie “liste nere” per identificare le maestranze a cui evitare di conferire eventuali premi di fabbrica. Alvo Fontani, il segretario della Federazione provinciale lucchese del PCI, tenta allora di mantenere il pugno duro, invitando gli operai a resistere e arrivando perfino a “minacciare i compagni di provvedimenti disciplinari per chi non avesse fatto lo sciopero”68

.

Su questa via, l’onda lunga del dissenso si estende anche al 1953: gli scioperi unitari, definiti “drammatici” dall’allora segretario della CGIL Giorgio Colzi69

, portano ad una partecipata e compatta mobilitazione. “l’Unità” riserva un piccolo trafiletto alle battaglie del centro-meridione, tanto che la Cucirini Cantoni ottiene risalto grazie allo “sciopero al 100% delle 3.000 operaie”70

.

65

Ci furono anche gesti di forte solidarietà, come a Camaiore, dove i commercianti chiusero i negozi in appoggio allo sciopero operaio. Relazione di A. Spinelli al C.E del PSI, 9/4/1952, in Aldo Spinelli, Il socialismo a Lucca, volume II, op. cit., p.124. Tuttavia, ci risulta difficile immaginare che ciò avvenisse pure in Lucchesia, dove al contrario la popolazione si guardava ancora bene dal manifestare appoggio a certe forme di dissenso.

66

“Il Nuovo Corriere”, 9/5/1952.

67 Cfr. “l’Unità”, 25/11/1953, L’U.R.S.S. parteciperà alla fiera di Milano. 68

Intervento di M. Colzi al C.E del PSI, 9/4/1952, in Aldo Spinelli, Il socialismo a Lucca, volume II, op. cit., p.125.

69

Giovanni Lencioni, Luciano Franchi, 40 anni di storia della CGIL, op.cit., p.18. Intervista a Giorgio Colzi, segretario generale della CGIL della provincia di Lucca dal 1953 al 1960. Molto probabilmente Colzi faceva riferimento alla grande lotta che i cavatori avevano concluso da pochi mesi appena, definita dal comunista Francesco Malfatti “la prima, grande, lotta che ha visto protagonista la Camera del Lavoro di Lucca nel secondo dopoguerra”.

70

52

Al successo di queste manifestazioni, segue una nuova divisione sindacale: da un lato, la CISL tenta di riaprire le trattative con Confindustria; dall’altra, la CGIL è convinta che la lotta sia l’unico mezzo per giungere ad una risoluzione delle rivendicazioni. I pochi attivisti della Camera del Lavoro tentano così di mobilitare le forze operaie dei complessi industriali, indicendo picchetti che si risolvono spesso in liti di varia entità con i sindacalisti “liberini”: Arturo Pacini, seguito a Cesare Angelini alla guida del “sindacato bianco”, tenta addirittura di convincere i lavoratori a non scioperare, ricevendo però in cambio solo una gran quantità di fischi da parte delle operaie dello stabilimento71.

Il grande sciopero indetto per il 19 febbraio del 1954, come auspicato, si rivela sostanzialmente positivo anche alla C.C.C.: il 70% dei dipendenti vi aderisce, rispecchiando l’elevata percentuale media di partecipazione del settore tessile lucchese. Le pagine de “l’Unità” non perdono occasione per mettere in risalto il coraggio delle quasi quattromila tessili della Cucirini Cantoni, che, nell’opinione comunista, “pur essendo in buona parte influenzate dal clero e ancora dominate dal terrorismo ideologico delle parrocchie, scioperano al 70%, nonostante autorevoli esortazioni cisline al crumiraggio”72

.

Il rapido succedersi degli scontri porta il padronato ad organizzare rapidamente una contromossa, legittimato dal pugno duro imposto dal governo Scelba e dal conseguente isolamento comunista a livello nazionale: la situazione diviene così sempre più pesante, e le grida per la riuscita dello sciopero se ne trovano presto soffocate. La politica repressiva difatti si abbatte violentemente sulle aziende e uno degli episodi più gravi ha come palcoscenico proprio la Cantoni, dove Achille Diana, operaio invalido del lavoro e membro del Consiglio Provinciale della FIOT, viene licenziato in tronco con l’accusa di essersi assentato per due giorni. È ancora Spinelli a riferire sull’accaduto:

Il bello è che Diana, condannato a 5 giorni di carcere per aver diffuso volantini sindacali non autorizzati, non volendo assetarsi da lavoro per troppo tempo, aveva deciso di “bruciarsi” in carcere sabato santo, Pasqua e pasquetta; gli altri due giorni feriali aveva dovuto per forza assentarsi, ma una volta fuori di galera, si era trovato fuori anche dalla fabbrica.73

71 Bozza di articolo per “l’Avanti”, presso l’archivio della Federazione Socialista Lucchese. In Aldo Spinelli, Il socialismo a

Lucca, volume II, op. cit., p.242.

72

Cfr. “l’Unità”, 9/3/1954, I progressi del PCI in provincia di Lucca. Lo sciopero è riportato anche in un altro articolo, uscito il 20 febbraio 1954 sempre sulle colonne de “l’Unità”: dal titolo Pesante sciopero nelle industrie toscane, nuovo monito della CGIL alla

Confindustria, si occupava di raccontare la grande lotta regionale per un più elevato tenore di vita. Si noti, ad ogni modo, il colorito

linguaggio utilizzato dalla stampa comunista: l’espressione “terrorismo ideologico” rimanda ad un piano di forte contrasto politico, incentrando il mancato avanzamento del Partito Comunista su di un canale fortemente accusatorio e scarsamente autocritico.

73 Durante il 31° Congresso nazionale del PSI, per dare un quadro del momento, Pietro Nenni apriva la sua relazione denunciando

con queste parole i metodi della FIAT: “L’intimidazione, il ricatto, la rappresaglia sono armi quotidiane e sistematiche […]. Gli operai sono spiati, costretti alle loro macchine come automi […]; si è introdotto il sistema delle perquisizioni all’ingresso della fabbrica […]; gli agenti padronali sorvegliano gli operai oltre la cerchia della fabbrica […] sono ammoniti fin nel seno della loro famiglia attraverso lettere minacciose; sono posti davanti all’alternativa o di votare come desidera l’azienda o di perdere il posto di lavoro”. In Cfr. Guido Crainz, Storia del miracolo italiano. Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta, Donzelli Editore, Roma, 1996, p.37.

53

Da risoluta, la pressione padronale all’interno dello stabilimento dell’Acquacalda si fa rapidamente totalizzante: ne è esempio il volantino affisso dalla Direzione nel quale si obbligano gli operai a “non cadere” così da evitare intralci nei tempi di produzione; pena, una severa punizione. Nonostante il rigido moralismo anticomunista promulgato dallo “scelbismo” dilagante, però, il clima da caserma che si viene a creare non va certo a giocare in favore di una totale restaurazione dell’ordine, contribuendo viceversa a conferire nuovo slancio alla lotta operaia: ed in provincia di Lucca, a mostrare i muscoli non sono “i lavoratori della Versilia rossa, ma le donne della Cucirini Cantoni Coats”74, come riporta “l’Unità”.

Quando nondimeno le cose sembrano prendere una piega favorevole, è incredibilmente la stessa CGIL a creare difficoltà ad una parte dei lavoratori, attraverso la discutibile scelta di esonerare dagli scioperi quelle imprese che di volta in volta erano andate a stipulare accordi aziendali, lasciando imperdonabilmente sola la classe operaia schiacciata da quei gruppi industriali –come i direttivi della Montecatini e della Henraux in Versilia - disposti ad ostacolare con ogni mezzo la “causa rossa”. Nel frattempo i licenziamenti in tronco aumentano e, malgrado l’isolamento politico sia parzialmente attutito dalla sconfitta della Legge Truffa, la tensione resta oltremodo palpabile.

Se anche in Versilia le cose non vanno nella direzione auspicata, la Lucchesia vive ora il suo momento più nero, tra richieste di resa e sogni di sciopero ad oltranza: è in questo contesto che ha origine “la prima, vera, grande lotta, dalla Liberazione in poi, delle operaie e degli operai della Cucirini Cantoni Coats”75

, guidata inizialmente dal segretario della CGIL Biagioni, sostituto protempore di Giorgio Colzi, impegnato per sei mesi come insegnante alla scuola di Partito alle Frattocchie76.

La Cantoni, ovviamente, non è esente dalla ferrea disciplina imposta dalla parte padronale: ma su questa stavolta sembra prevalere la frustrazione delle operaie, intenzionate a richiedere quantomeno un minimo aumento salariale ed un freno a quello che oramai è divenuto un insostenibile sfruttamento. Aldo Spinelli, segretario del PSI lucchese, si appuntava infatti che:

ai tubetti, ad una macchina dove lavorano 8 operaie, ve ne sono ora solo 6 e si stanno facendo esperimenti per portarle a 4; e mentre le 8 donne per macchina producevano 240 dozzine di

spagnolette, dalle 4 operaie se ne pretendono sempre 240 dozzine. Alle tavelle le operaie sono state

ridotte, a certe macchine, da tre a due, e la media giornaliera di produzione è passata da 45/65 kg., a secondo del titolo del filato, a 95/110 Kg al giorno per operaia.77

74“l’Unità”, Pesante sciopero nelle industrie toscane, nuovo monito della CGIL alla Confindustria. 75

Aldo Spinelli, Il socialismo a Lucca, volume II, op. cit., p.260. Più che di grande lotta, risulta opportuno parlare di “prima, significativa, manifestazione di protesta”. Di lotte sostenute e durature, infatti, si potrà iniziare a discutere solo a partire dal 1963.

76

Colzi, tuttavia, restò sempre molto vicino alla lotta, ed a luglio fu pronto a riprendere il suo posto.

77

54

Oltretutto, la mancanza di mezzi pubblici di trasporto non aiuta certo le dipendenti dello stabilimento ad arrivare riposate sul posto di lavoro. Don Gesualdo Bertani, parroco vicino alla causa dei “cucirini”, scriveva sul giornale della Curia che

una quarantina di operaie della Cucirini-Cantoni-Acquacalda residenti a S. Maria del Giudice e a S. Lorenzo a Vaccoli, per fare i loro turni di lavoro col seguente orario: 5,30-13,30 e pomeriggio 13,30- 21,30, sono costrette a farsi gli 8-10 chilometri di strada ogni giorno in bicicletta partendo alle 4,30 la mattina e rientrando alle 10,30 la sera, esponendo la loro salute ai rigori e alle insidie della stagione –