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Secondo Tocqueville l'astratta equiparazione formale delle possibilità partecipative dei cittadini ai processi decisionali governativi non può realizzare l'ideale democratico riferito al coinvolgimento potestativo diretto del singolo individuo307. Al contrario,

rischia di creare le premesse di un regime non democratico di massa, proprio per la minima incidenza del cittadino sulle decisioni governative e perché il potere effettivo appartiene di fatto ad oligarchie che sanno come controllare e manipolare le masse308.

Se si vuole porre rimedio a tale impostazione è necessario “limitare i poteri centrali dello Stato nei confronti del singolo attore politico, affiancando ad essi una rete di poteri intermedi tra individuo e Stato, in grado di incrementare le effettive opportunità potestative e autogestionali di ciascuno”309. Ciò vale anche nel rapporto

individuo-collettività, in cui spesso si verifica una netta distinzione tra chi partecipa in modo più attivo e chi lo fa passivamente, tra chi possiede del tempo da dedicare alla partecipazione e chi meno, tra chi possiede attitudini comunicative e chi no.

Secondo Urbani l'analisi delle esperienze politiche compiute nei più diversi ambiti può fornire qualche indicazione sulle istituzioni, sulle forme e sui modi atti a promuovere, valorizzare e ottimizzare una partecipazione significativa e funzionale310.

Esempi di questi meccanismi sono, per Urbani, la rappresentanza, che può consentire di ampliare la portata della partecipazione attraverso una catena di intermediazioni controllabili da parte dei cittadini, e il decentramento, che può incrementare le 307Tocqueville A.de, La democrazia in America, Torino, 1968, in Urbani G, op. cit.

308Urbani G., 1980, op. cit. 309Cit., Ivi.

occasioni partecipative attraverso il ridimensionamento degli ambiti decisionali centrali e la loro attribuzione ai livelli decentrati. Nonostante ciò rimane da sciogliere il nodo sulle modalità e strategie che consentano di incidere sull'autoesclusione, l'alienazione e l'apatia politica dei cittadini311.

Per Ceri lo sviluppo della partecipazione viene spesso attivato e accompagnato dalla mobilitazione di ampi strati della popolazione, prima esclusi dalle sfere decisionali, ma può arrestarsi quasi sul nascere quando la mobilitazione è fortemente guidata da poteri autocratici in modo da essere posta al servizio di forme di mobilitazione politica dall'alto (Ceri la definisce la “direzione autoritaria delle masse”), o quando la classe politica non sappia fornire soluzioni istituzionali adeguate a fronte di un esteso e rapido processo di mobilitazione sociale312.

Di fronte a simili situazioni segue spesso una crisi della partecipazione stessa, che può comportare vissuti di disillusione, apatia e settarismo. E' anche vero che sviluppo e crisi sono legati secondo andamenti ciclici, ovvero si assiste all'alternanza periodica dell'impegno individuale nella sfera privata e in quella pubblica. Ceri ricorda che i fattori che sottendono tale andamento ciclico riguardano, come studiato da Hirshman, la delusione che gli individui provano dopo le ondate di impegno di natura tanto pubblica quanto privata, a causa delle aspettative frustrate o dell'eccesso dei costi materiali e simbolici che l'impegno richiede313.

Nel dibattito sulla crisi della partecipazione una serie di ricerche ed analisi hanno messo in luce come vi siano altri fattori che possono incidere sullo sviluppo delle azioni partecipative e sull'insorgere di forme di apatia, estremismo, partecipazione sub-culturale o contro-culturale: l'esclusione e l'emarginazione, la presenza invadente di autorità e regole di natura burocratica, il controllo e la manipolazione dell'informazione, l'intrusione della classe politica in attività proprie della società civile, l'agenda del dibattito pubblico.

A proposito di ciò, gli elementi che fanno spostare il discorso dalla crisi della 311Ivi.

312Ceri P., op. cit.

313Hirschman A. O., Shifting involvements: private interest and public action, Princeton, New Jersey, 1982.

partecipazione all'elaborazione di una teoria critica riguardano il fatto che, come afferma Moini, alcune versioni della funzione di complementazione della democrazia rappresentativa fanno sorgere dubbi sull'autentica intenzione di perseguire il consenso su decisioni che l’istituzione intende raggiungere a ogni costo o ha già assunto, ed anche che affiora l’intento del perseguimento della rilegittimazione del sistema politico e della pacificazione dei conflitti314.

Moini315 ripercorre lo svolgersi delle pratiche partecipative, definendone

l'andamento come la paradossale diffusione della partecipazione.

Tre sono i paradossi segnalati da Moini: il paradosso della convergenza normativa316, il paradosso della de-democratizzazione317, il paradosso della diffusione

senza impatti318.

La partecipazione assume una forma ambivalente a seconda che rappresenti un mezzo per migliorare la qualità della decisione pubblica o uno strumento per manipolare i processi di formazione del consenso. Numerose ricerche hanno, infatti, evidenziato alcuni tratti che sembrano depotenziarne la portata, costituiti dal riguardare solo ambiti locali, e non spazi strategici, o dal rispondere a strategie che ne indeboliscono gli impatti; così è per i processi che Newman319definisce accomodation

(vengono fornite risposte simboliche e non sostanziali agli attori coinvolti nel 314Allegretti U., op. cit., pag. 29. “Una democrazia partecipativa concepita sotto il segno della legittimazione della classe politica induce infatti un legame di opportunità tra di essa e la crisi della rappresentanza, che fa sì che le modalità della partecipazione siano definite in funzione di un gioco di combinazione della democrazia partecipativa e rappresentativa tale da finire per fare della prima una stampella dell’eletto”.

315Moini G., Teoria critica della partecipazione. Un approccio sociologico, Franco Angeli, Milano, 2012.

316 Ivi, pagg. 23,24. Per Moini il paradosso della convergenza normativa è rappresentato da un'acritica esaltazione normativa delle virtù della partecipazione.

317Ivi, pag. 25. Per Moini il paradosso della de-democratizzazione è rappresentato dalla constatazione che nel momento in cui si diffonde il ricorso alle pratiche partecipative che dovrebbero sostenere e rafforzare il sistema democratico rappresentativo, quest'ultimo perde terreno, tanto da far parlare di post-democrazia.

318Ivi, pagg. 27,28. Il paradosso della diffusione senza impatti è rappresentato dal fatto che a fronte dello sviluppo e moltiplicazione delle pratiche partecipative, si riscontra una diffusa incertezza sulle capacità di tali pratiche nel determinare contenuti e obiettivi delle scelte pubbliche.

319Newman K., Barnes M., Sullivan H., Knops A., Public Partecipation and Collaborative

processo partecipativo), deflection (si dilatano i tempi necessari affinché si provochi un ritorno alle sedi decisionali istituzionali), incorporation (i cittadini arrivano, attraverso un continuo e importante flusso comunicativo con i policy makers, a internalizzare e condividere i vincoli dell'azione stessa).

Alle medesime conclusioni si arriva se l'analisi sugli effetti riguarda la partecipazione e l'empowerment dei cittadini e delle organizzazioni.

Moini cita Bobbio e Pomatto320 laddove i due autori, nell'analisi delle

esperienze italiane, hanno messo in luce come gli effetti siano controversi e quindi non si possa univocamente affermare la pratica partecipativa come veicolo di empowerment, anche perché non è infrequente che gli attori istituzionali e politici esplicitino, all'inizio del processo partecipativo, quali impegni intendano assumere. Moini segnala anche il fatto che i processi partecipativi non riguardano le politiche, ma aspetti molto micro321 in termini di scala di azione e posta in gioco. Negli ultimi

anni si è diffusa la tendenza a intendere la partecipazione come forma di attività politica e sociale e il coinvolgimento dei cittadini come condizione indispensabile per arrivare ad assumere decisioni a rilevanza pubblica che siano migliori sia perché nascenti dalle conoscenze e dai bisogni direttamente espresse dai cittadini, sia per l'attivazione di dinamiche di empowermwnt. La partecipazione può, però, produrre “allo stesso tempo inclusione o ulteriori forme di esclusione sociale; empowerment e responsabilizzazione della società civile o deresponsabilizzazione degli attori pubblici; democratizzazione e de-democratizzazione delle scelte; forme di legittimazione solo procedurale o anche sostanziale delle decisioni pubbliche; riduzione o accentuazione delle diseguaglianze sociali”322.

Il terzo livello in cui è svolta la teoria critica della partecipazione parte e si muove dall'analisi storica del periodo compreso tra la fine degli anni '70 e la metà

320Bobbio L., Pomatto G., op. cit.

321Moini riporta il “Rapporto sulle politiche partecipative a Roma”, (a cura di) D'Albergo e Moini, 2007, che attraverso lo studio comparativo di tre casi, ha evidenziato che le pratiche incidono sulle politiche pubbliche, in misura maggiore nei casi in cui gli ambiti di azione si riferiscono a “poste in gioco di bassa salienza economica e politica e interessano aree territoriali limitate”cit. pag. 31. 322 Cit. Moini G., op. cit., pag. 38.

degli anni '90, in cui si possono rinvenire due idealtipi di neoliberismo: quello radicale e quello temperato.323 La trasformazione del modello perde in radicalità e, afferma

Moini, acquisisce in pervasività e consenso. E la partecipazione, proprio in questo momento, inizia a configurarsi come un'utile risorsa, di tipo discorsivo e comunicativo, dello stesso processo di neoliberalizzazione profonda324.

323Ivi, pagg. 159,160. 324Ivi, pag. 160.

CAPITOLO II

I MINORI E LA PARTECIPAZIONE