Perché alcuni cittadini partecipano attivamente mentre altri rimangono ai margini della vita politica della loro comunità? A quali fattori può essere ricondotta questa diversità di comportamenti? Questi quesiti si pone Urbani145 a proposito della
partecipazione politica. Come già detto anche da Sani, le risposte sono riconducibili alla presenza di alcune caratteristiche socioeconomiche, al livello di centralità o di marginalità sociale degli individui146; alla presenza di associazioni o reti organizzative,
ovvero di occasioni di partecipazione147; al meccanismo di disaffezione; in ultimo ad
alcuni fattori socioculturali e al sistema dei valori e orientamenti.
Resta il fatto che la partecipazione alla vita politica è un fenomeno ancora residuale e che fa emergere una diseguaglianza dei cittadini nell'accesso ai processi decisionali. Bobbio e Pomatto148 rispetto a chi prende parte ai processi partecipativi
affermano che i cittadini che partecipano non sono mai tutti, ma solo una parte, spesso minima, costituita da chi esercita una cittadinanza attiva non meno che competente. Il paradosso della partecipazione consiste, affermano, esattamente in questo: si ambisce 145Urbani G., Voce Partecipazione, in “Enciclopedia del Novecento”, Treccani, Roma, 1980,
www.treccani.it.
146Ivi, Urbani scrive: “Prendere parte alla vita politica è più facile per chi è istruito, gode di un reddito medio-alto, svolge attività professionali di un certo tipo, è inserito in una rete di rapporti sociali nella propria comunità che lo avvicinano alla sfera della politica. E, di converso, la partecipazione, almeno in alcune sue forme, è resa difficile per coloro che, per una ragione o per l'altra, occupano ruoli sociali periferici. È una tesi plausibile e corredata da numerosi riscontri offerti dalle ricerche comparate sul tema, che dimostrano come il possesso di risorse (conoscitive, economiche o anche di quantità di tempo a disposizione) sia collegato a comportamenti partecipativi”.
147Ivi, Urbani, cit. “È infatti ragionevole supporre che là dove sono presenti strutture associative funzionanti esse costituiscano agenti di mobilitazione che stimolano o facilitano comportamenti partecipativi da parte di settori più o meno ampi della popolazione”.
148 Bobbio Pomatto, op. cit., pag. 8 e segg. Dagli stessi Autori proviene l’indicazione di tre diversi meccanismi di selezione: l’autoselezione, la selezione mirata e la selezione casuale.
a includere tutti, ma di fatto si riesce concretamente a coinvolgere solo qualcuno. Perciò qualche forma di selezione esplicita o implicita si verifica sempre: di modo che il problema è quello di capire come viene effettuata e da chi.
Ceri nell'enciclopedia delle scienze sociali sposta il quesito da chi partecipa a “chi partecipa con chi?” introducendo così un'analisi che riguarda diversi aspetti quali, l'inclusione, l'uguaglianza, la solidarietà.
Sull'inclusione suggerisce di distinguere tra la partecipazione come stato dei rapporti decisionali e la partecipazione come azione149. Mentre sul fronte del rapporto
tra partecipazione e uguaglianza precisa che conditio sine qua non dell'azione partecipativa non è la preesistente uguaglianza di status, in quanto la stessa azione collettiva può favorire, contribuire o creare un terreno di uguaglianza, venendosi a formare legami tra i partecipanti tra i quali si definiscono valori e criteri di identità comuni. Ciò consente di orientare più efficacemente l'azione in base a ciò che unisce, perché comune e condiviso. Ma, sottolinea Ceri, se l'uguaglianza si estende fino a omologare l'identità pubblica dei partecipanti, si rischia di non poter distinguere tra partecipazione, integrazione e consenso.
Parimenti porge una riflessione sulla dimensione conflittuale, arrivando a sostenere che la partecipazione decisionale sia sempre, in qualche misura, conflittuale. Questa duplice faccia della medaglia, che ha da un lato la necessità dell'uguagliamento e dall'altra l'esistenza del pluralismo, sarebbe, per Ceri, la forza e insieme la fragilità della partecipazione ai processi decisionali.
Anche la solidarietà ha una parte fondamentale nella partecipazione, perché consente di mettere in secondo piano gli interessi individuali o privati a favore di quelli pubblici o collettivi, per il perseguimento di obiettivi comuni.
Sempre sul tema di chi partecipa, a proposito della partecipazione politica si riscontrerebbe, nella società, una struttura piramidale a strati progressivamente più ampi in cui al vertice risiede un nucleo ridotto di persone (militanti) fortemente impegnate. A seguire, un nucleo di persone meno coinvolte ma comunque inserite 149Ceri evidenzia che circa il primo aspetto assume fondamento la democraticità, ovvero la capacità inclusiva del contesto ancorata alla democrazia interna dell'associazione. Per quanto riguarda l'azione, assume invece un'importanza fondamentale, a prescindere dalle modalità democratiche interne, l'azione dell'associazione che può caratterizzarsi per essere più o meno orientata a limitare lo spazio d'azione.
nella vita politica e attente agli sviluppi del dibattito pubblico. Infine, una fascia di cittadini disimpegnati che non mostrano interesse per la sfera politica, così come le persone che fanno parte dello strato più basso, definibili come marginali150. Una tale
struttura non è da intendersi in modo rigido, dipendendo dal contesto e dal momento storico.
Partecipazione e disuguaglianza sembrano essere due fenomeni legati fra loro in un rapporto circolare: è la possibilità di vivere esperienze partecipative che pone gli individui nella condizione di essere protagonisti delle proprie scelte di vita. Ma per poter essere protagonisti è necessario che vi sia meno diseguaglianza sociale e affinché ciò sia possibile occorre che sia garantita un'estesa partecipazione. Come sostiene Macpherson, "bassa partecipazione e disuguaglianza sociale sono così legate l'una all'altra che una società più giusta e umana richiede un sistema politico più partecipativo"151.
La partecipazione stessa può però incidere sulle dinamiche di potere, laddove viene considerata capace, come afferma Ceri, di “trasformare i rapporti verticali e le decisioni imperative in rapporti orizzontali e in decisioni consensuali”152, nonché ad
ampliare modi, spazi e tempi per potersi esprimere e autodeterminare. Ceri sostiene che “intesa in questo senso, l'azione partecipativa è sempre un'azione di riduzione delle disuguaglianze e dei privilegi”.
Tanto è vero che spesso lo sviluppo delle azioni partecipative nasce dalla mobilitazione sociale di gruppi esclusi dai sistemi politico, economico e sociale che si attivano per conquistare maggiore possibilità di esercitare i propri diritti di cittadinanza, oppure è legata all'affermazione di nuovi spazi partecipativi fino a quel momento inesistenti.
Ciaffi e Mela153 sottolineano l'aspetto inclusivo della partecipazione per la sua
attitudine a mettere in connessione le persone con le reti sociali, contribuendo a 150Sani G., op. cit.
151Cit. Macpherson C.B, The life and times of liberal democracy, Oxford 1977 tr. it.: La vita e i tempi
della democrazia liberale, Milano 1980 pag. 94.
152 Cit. Ceri P., op. cit.
contrastare la frammentazione sociale e l'isolamento spaziale, tipico delle società contemporanee.
Ciò che ne limita la partecipazione innescando fenomeni di esclusione sociale può oggi essere rintracciato nel progressivo accentuarsi dello scarto tra chi controlla il mercato e l'innovazione tecnologica e ne beneficia e chi, invece, ne resta escluso. Il potere e l'effettività dei diritti di partecipazione sarebbero inoltre iniquamente distribuiti tra chi appartiene a gruppi dominanti per status giuridico, economico, di genere, cultura, etnia, e chi no.
Partecipazione, diseguaglianza e marginalità sono anch'essi strettamente legati, laddove il concetto di marginalità154 rimanda all'organizzazione sociale che produce
disuguaglianza nell'accesso alle ricompense sociali, gerarchizzazione delle posizioni sociali e gradi diversi di integrazione sociale. Un soggetto, afferma Ranci, è marginale quando “è distante dal centro del sistema sociale cui appartiene ed è prossimo ai confini che separano tale sistema dall'ambiente esterno (o da altri sistemi)”155. La
marginalità costituisce un fenomeno differente rispetto ai rapporti di classe o alle differenze di ceto così come è distinta dalla povertà economica, seppur sia innegabile uno stretto legame tra questi fenomeni.
Ciò che però emerge quale tratto distintivo, come sostiene Gallino156, non è
l'appartenere di diritto a una certa categoria, ma l'essere escluso dai processi decisionali, dall'utilizzo delle risorse e dalle garanzie assicurate alla maggioranza degli altri appartenenti alla comunità.
Dalle scienze sociali, secondo l'analisi di Ranci, emergono due filoni di pensiero rispetto alla marginalità sociale, definita in base all'esclusione dai processi produttivi, decisionali e distributivi da un lato o come posizione di sradicamento sociale determinata dalla transizione da un'appartenenza all'altra, da nuove forme di esclusione sociale oppure dalla differenziazione sociale e dalla pluriappartenenza. Negli studi funzionalisti, marxisti o in generale deterministici, predomina la prima
154 Ranci C., Voce Marginalità sociale, in “Enciclopedia delle scienze sociali”, Treccani, Roma,1996, www.treccani.it.
155 Cit. Ibidem.
definizione, mentre la seconda la si ritrova negli studi sulle implicazioni culturali o psicologiche dei processi di differenziazione sociale.
Germani157 definisce la marginalità come "la non partecipazione in quelle sfere
che si considerano dover essere incluse nel raggio di azione e/o di accesso dell'individuo o del gruppo"158.
Quale che sia la causa della marginalità o la posizione della persona marginale, la persona che vive ai margini fa esperienza della non appartenenza e dell'impossibilità di vivere quella dell'integrazione.
Il campo della cittadinanza è un terreno all'interno del quale si giocano le diseguaglianze: nasce come modo per contribuire a creare una tensione verso l'uguaglianza, con l'obiettivo di eliminare le diseguaglianze,159 ma resta il fatto che
l'universalità dei diritti e il poter contare su supporti minimi garantiti a tutti non ha conciso nella storia con l'uguaglianza sociale.
Il concetto di cittadinanza è comunque fortemente attinente al tema dell'integrazione sociale perché riguarda la partecipazione alla vita sociale e l'appartenenza comunitaria. Nella società contemporanea sembra più essere questa la sfida della cittadinanza, che non va più solo pensata come insieme di diritti ma anche, come sostiene Bertozzi160, come “fonte di legami, in grado di coniugare la libertà e
l'eguaglianza ai doveri di responsabilità”.
Se la cittadinanza richiama il concetto di democrazia, è anche vero che questa si concretizza nella possibilità di esercitare un'azione dotata di contenuti pubblici. Sotto questo profilo appare interessante, la riflessione condotta da Cesareo e Vaccarini che individuano nella capacità/possibilità di compiere scelte responsabili e autonome i contenuti sociologici della cittadinanza. Il concetto di libertà responsabile richiama proprio la compresenza di diritti e doveri in capo alla persona e la cittadinanza diventa anch'essa responsabile in virtù dei legami solidaristici e del sentirsi compiutamente 157Germani G., Aspetti teorici e radici storiche del concetto di marginalità con particolare riguardo
all'America Latina, in (a cura di) Turnaturi G., “Marginalità e classi sociali”, Savelli, Roma, 1976,
pagg. 29-67.
158Cit. Germani G., op. cit., pag. 37.
159Marshall T.H., Cittadinanza e classe sociale, trad. it., Torino, Utet, 1974. 160Cit. Bertozzi R., op. cit., pag. 62.
cittadino solo nel momento in cui si investe nella relazione con gli altri161, anche in
termini pro-attivi.
Se è attraverso la cittadinanza che si amplificano gli spazi di partecipazione, la storia contemporanea ci insegna che sono diversi i fattori che limitano la partecipazione, che vanno dalla disgregazione sociale, alla complessità, al mercato, alla tecnologia, all'appartenenza a minoranze etniche e linguistiche.
Sotto questo profilo Kymlicka162 si propone di attualizzare la portata della
cittadinanza moderna partendo dalla constatazione che il carattere dell'universalità, non consente misure differenziate in favore di gruppi minoritari. Riconoscendo la valenza positiva del mantenimento delle proprie radici in quanto supporto identitario fondamentale, nella sua interpretazione di cittadinanza multiculturale sono compresi specifici diritti a vantaggio delle minoranze che si dovrebbero tradurre nell'attivazione di in misure di inclusione funzionali all’integrazione sociale e al riconoscimento delle differenze.
Con l'affermarsi della cittadinanza la struttura della diseguaglianza sociale ha subito delle modifiche nella direzione di un ridimensionamento. Ma il pensiero di Marshall appare ancora attuale dal momento che la diseguaglianza è saldamente ancorata al sistema delle classi, al modello di produzione capitalista e ad un impianto di welfare che poggi le sue fondamenta sulla logica del lavoro. E questo appare in contrasto con il concetto stesso di cittadinanza che riconosce i diritti universalmente a prescindere dalla posizione nel mercato.
Ma, come sostiene Sen, nell'attuale fase storica di grande diseguaglianza dei redditi questo fattore viaggia insieme alle diverse caratteristiche fisiche e sociali che influenzano le nostre vite e che ci rendono quello che siamo163.
Sen164, nel riformulare il concetto di giustizia, da quella fondata sull'accordo
(Rowls, Rousseau) a quella fondata sulla realizzazione, ritiene che la democrazia abbia forti implicazioni sul tema della giustizia e delle diseguaglianze. In particolare 161 Cesareo V., Vaccarini I., op. cit.
162 Kymlicka W., La cittadinanza multiculturale, Il Mulino, Bologna, 1999. 163 Sen A., La diseguaglianza, Il Mulino, Bologna, 1994, pag. 49.
per Sen il dibattito pubblico, tema ricorrente in molti Paesi del mondo e non solo dell'Occidente, è fondamentale per il perseguimento della giustizia sociale.
Nel dibattito sulla giustizia ha proposto il tema delle capacitazioni (potenzialità di vita individuali), spostando il centro dell'attenzione dai redditi e dalle risorse. Il suo pensiero è riferito a ciò che le persone possono fare o essere in una società, piuttosto che a cosa esse possiedono. Come afferma Muriel Gilardone165 per Sen l'idea di
giustizia è più vicina agli approcci comparativi centrati sulle realizzazioni concrete (Smith, Condorcet, Wollstonecraft, Bentham, Marx, Mill), piuttosto che a quelli afferenti alla teoria che lo stesso Sen definisce dell'istituzionalismo trascendentale (Hobbes, Locke, Rousseau, Kant).
Questo ultimo approccio esamina la natura di ciò che è giusto con lo scopo di creare istituzioni perfette (pura astrazione), mentre il primo cerca i criteri per una realizzazione che sia meno ingiusta di un'altra mediante il confronto tra diverse realizzazioni sociali (si fonda sull'esperienza e l'osservazione).
Per Sen non è possibile né utile “raggiungere un accordo ragionevole sulla natura di una società giusta. E' più importante scegliere tra le alternative percorribili, sulla base della ragione pratica. Inoltre una visione della giustizia centrata sull'accordo non è necessaria né sufficiente per assicurare la giustizia. Ciò che veramente importa è l'impatto degli accordi sui comportamenti e le capacità individuali, sulle vite che le persone possono condurre”166.
Tale approccio comparativo si fonda sulla ricerca di contratti sociali; elenchi di alternative che possono essere stilati attraverso la discussione pubblica. E' la capacità di scendere nell'arena della discussione pubblica aperta che Sen intende per oggettività, poiché in tal modo possono emergere le posizioni proposte nella loro natura di imparzialità e le relative argomentazioni portate in loro sostegno.
L'Autrice sottolinea, infine, un altro aspetto, che ritiene importante, a proposito del concetto di giustizia sociale e partecipazione e cioè che la discussione aperta possiede la valenza di consentire che giudizi di valore possono essere discussi ed
165Gilardone M., L'approccio situato di Amartya Sen, in Sen A. et. al., op. cit., pagg 39-71. 166Cit., Ivi, pagg. 46,47.
evolvere nel corso della discussione, così come quest'ultima evolve nel tempo a causa del contesto o delle persone che vi sono coinvolte.
In virtù di ciò Sen opta per l'approccio della scelta sociale invece che per quello del contratto sociale: Sen infatti “non riduce gli individui al luogo in cui vivono o alla funzione che esercitano nella società, né a una data cultura o comunità. Gli individui trascendono la somma delle proprie appartenenze sociali. Ignorare che le persone sono sempre complesse, sfaccettate e dotate di un'identità sociale plurale è, secondo Sen, un'interferenza con la loro libertà di effettuare le proprie scelte ed è quindi un ostacolo alla democrazia”167.
La coscienza degli individui, per l'economista, si forma infatti nella riflessione con l'altro più che dal pensiero introspettivo. Ciò presuppone che si prenda in considerazione i punti di vista e le situazioni degli altri e che questo sia a fondamento della possibilità di scelta sia individuale sia collettiva. E' sulla base di questo tipo di riflessione che dovrebbe esserci il riconoscimento dei conflitti di valore e interesse e che sia possibile far emergere la sproporzione di vantaggi, secondo i valori condivisi.
Per Sen, non si può agire come se non si conoscesse una situazione di svantaggio e a prescindere da questa, quando lo svantaggio emerge chiaramente in una cornice di pensiero pubblica e aperta. E' a partire dalla teoria della scelta sociale che Sen considera le decisioni sociali, secondo un'etica di democrazia che va ben al di là della semplice espressione del diritto di voto.
J. Drydyk, a proposito della giustizia,168 afferma che vi sia un solo modo per
ridurre l'ingiustizia e riguarda il non trattare le altre persone ingiustamente, ma anche,
167Cit., Ivi, pag. 52.
168Drydyk J. espone un'analisi sulla giustizia che evidenzia come il tema, nel tempo, sia stato affrontato diversamente: dal chiedersi chi è giusto si è passati all'interrogarsi sulle forme di organizzazione delle società. Per i filosofi antichi era più importante sapere quali persone fossero giuste e come distinguerle da quelle ingiuste. Il pensiero su chi fosse giusto era, al tempo, importante per l'educazione delle nuove generazioni della classe dirigente. Successivamente, con l'emergere degli Stati moderni, si verifica un cambiamento, lento e progressivo, teso a limitare il potere arbitrario e le domande si spostano da chi è giusto all'organizzazione dello Stato. Per tale motivo, si sviluppa l'approccio del contratto sociale: per Hobbes l'organizzazione dello stato è legittima se fornisce un ordine; per Locke, solo se il governo protegge la vita, la libertà, la proprietà di tutti; per Rousseau, se il governo è guidato dalla volontà generale. Ma, si chiede l'autore, è ancora importante invece chiedersi chi è giusto? In Chi è giusto? Chi è ingiusto?, in A.Sen et. al., “Sull'ingiustizia”, a cura di Yong-June Park, Edizioni Erickson, Trento, 2013, pagg. 73-92.
e soprattutto, fare causa comune con altri169. Qualsiasi azione che tenda a ridurre le
ingiustizie ha come fondamento, però, l'applicazione di criteri di scelta relativi all'agire giustamente. Secondo Drydyk, sotto questo profilo l'approccio incentrato sulle capacità dice molto sulle diseguaglianze e sulla giustizia: non bisogna pensare che sia ingiusto che le persone vivano male (una buona vita dipende dalla scelta di ciascuno), ma si deve ritenere ingiusto che alcune persone siano meno libere di altre di vivere bene.
Il focus centrale di tale approccio è dunque la diseguaglianza di capacità, ovvero il grado in cui una persona può effettivamente riuscire a raggiungere un livello di funzionamento che corrisponde al benessere.170Naussbaum, ha stilato un elenco di
dieci capacità centrali, all'interno delle quali rientrano diverse dimensioni che hanno a che fare con la partecipazione (essere liberi di esprimersi, poter riflettere criticamente sull'impostazione da dare alla propria vita, instaurare relazioni con gli altri e avere il loro rispetto, poter esercitare un controllo sul proprio ambiente sociale, politico ed economico). Se sono le diseguaglianze rispetto alle capacità che pesano di più, il maggior ruolo possibile, nella lotta per l'uguaglianza, dovrebbero averlo le persone le cui capacità sono depotenziate. Ciò richiede uno specifico sostegno alla loro agentività, attraverso specifiche strategie di empowerment. “A parità di condizioni, le strategie che espandono l'agentività e rendono più forti le persone possono essere più giuste delle altre”.171
Sen ritiene che l'idea di giustizia sia strettamente legata al concetto di imparzialità, che sia perseguibile attraverso la prassi della discussione pubblica e che si fondi sul metodo comparativo. In definitiva, “se una prospettiva non riesce a difendere, durante un dibattito pubblico libero, aperto e vigoroso, l'affermazione che offra una prova sincera e intellegibile di imparzialità, verrà scartata dal processo di
169Drydyk J., Chi è giusto? Chi è ingiusto?, in Sen A. et. al., “Sull'ingiustizia”, a cura di Yong-June Park, Edizioni Erickson, Trento, 2013, pagg. 73-92.
170Ivi, pagg. 78-81. 171Cit. Ivi, pag. 90.
comparazione”.172