I MINORI E LA PARTECIPAZIONE 1 I minori nella Costituzione e nell’ordinamento giuridico italiano
3. L’esigenza di una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza.
La considerazione per l’infanzia è mutata nei tempi. Dalla sua precoce utilizzazione come forza-lavoro nelle economie familiari primitive alla sua qualificazione in termini giuridico-formali come nel diritto romano, che poneva l’accento sulla potestas del pater familias senza indulgere troppo ai diritti del puer.
Dalla città-stato greca di Socrate e Platone, cui si fanno risalire gli albori della sistematica pedagogica, fino alla moderna pedagogia di Montessori, passando per Leibniz che ne definì il nome, si sono avute importanti elaborazioni sul come educare i soggetti in età evolutiva.
Parimenti, dal XVI secolo in poi, dalla Francia, ove è nata, si è registrato il fiorire, anche in altri Paesi, quali l’Inghilterra, la Germania, i Paesi nordici e l’Italia, di una cospicua letteratura per l’infanzia.
Eppure, si ha quasi l’impressione che si sia trattato di produzioni dotte, riservate alle élites culturali, rimaste prevalentemente all’interno di esse e solo in piccola parte divenute patrimonio dei genitori, cui precipuamente è demandato il compito educativo, e della società nel suo insieme, compresa la politica.
Anche le istituzioni sembra siano state poco permeabili al problema dei diritti dei soggetti deboli. Ha tardato a prendere quota la questione infantile ed adolescenziale, e cioè la considerazione del bambino come persona titolare di propri ed originari diritti, nella convinzione che il bambino fosse un’appendice dell'adulto piuttosto che una persona con bisogni, aspirazioni e capacità proprie.
Tuttavia non è stato sempre e solo così. Particolarmente significativo è lo studio di una pedagogista sarda dalla forte connotazione antropologica, Raffaela Dore330, la quale descrive la situazione del bambino in un villaggio della Sardegna del
primo dopoguerra. Il senso del libro ruota intorno all’idea che, in una comunità educante e auto educante dai valori netti e condivisi e a forte controllo sociale spontaneo, ogni bambino, pur figlio di determinati genitori, è avvertito come ricchezza 330Dore R., Gli dei del bambino, Edizione Morcelliana, Brescia, 1972.
di tutta la comunità; tanto che ogni adulto è autorizzato a rivolgersi ad un bambino per esprimergli apprezzamento o per riprenderlo, ed ancor più per salvarlo da eventuali pericoli. Il bambino vive in un’età felice di rispetto e di irresponsabilità; perciò egli è spendibile anche per compiti delicati, quali le relazioni riguardanti famiglie o clan tra loro in inimicizia: il bambino può assumere siffatti delicati ruoli perché mai nessuno gliene porterà responsabilità o lo rimprovererà o respingerà. Nella quotidianità egli è destinatario del “comando”, istituto col quale gli adulti gli affidano compiti adeguati alle sue capacità e pur tuttavia implicanti una valutazione di un minimo di capacità di assolverli. Egli, insomma, vive in una dimensione di infanzia, comprese fiabe e giochi propri dei bambini, spesso con giocattoli da esso stesso fabbricati anche estemporaneamente, ma inizia da presto un percorso di inserimento sociale e di partecipazione alla vita della comunità.
Nel capitolo intitolato “Gli dei del bambino” (che ha dato titolo anche al libro nella sua interezza), si dice, anzi, che essa inizia col suo rapporto con la natura fisica (terra, aria, fuoco e acqua), per continuare con il mondo animale e con quello degli uomini, passando con il confronto con tutte le sue ombre e gli dei, dalla Madre del sole (quello che si abbatte su certi pomeriggi estivi che reclamano una difesa al riparo dal calore di spesse mura) al dio dell’acqua (quello che si invoca nei periodi di più grave siccità). Essi lo accompagnano durante il percorso verso la scoperta e l’affermazione del sé come individuo fino al confronto col Dio monoteista per una scelta che supera il mondo della paura e delle ombre; e che, in definitiva, segna il suo passaggio all’età adulta.
I brevi contenuti del libro della Dore a cui si è fatto cenno fanno capire quanto sia importante per la strutturazione della personalità del bambino il contatto con la natura e le sue leggi ed il far parte attiva della comunità nella quale egli è inserito, anche con ruoli che lo aiutano a creare una percezione del sé come di soggetto sempre più capace e di soggetto sociale, tanto più ricco quanto più sono forti la sua conoscenza e la sua partecipazione rispetto al mondo e alla società che lo circonda. E fanno capire la differenza tra quel bambino e tanti bambini delle società civilizzate, spesso chiusi nelle quattro mura di una stanzetta, con giocattoli sempre più sofisticati
e tecnologici perciò spesso fragili ed effimeri e che egli non può riparare perché non li ha ideati e costruiti, che lo lasciano quindi in una dimensione volta a volta di timore e di disincanto, affidati per tanto tempo a piattaforme tecnologiche che inducono passività e mancanza di relazione umana, che non lasciano spazio alle ombre e a dei della natura perché l’iperprotettività o la solitudine gli precludono un mondo esterno fatto di rispetto per il mondo fisico e di confronto con le proprie capacità.
Eppure non sarebbe necessario vivere in un villaggio o in una società poco evoluta per sviluppare le attitudini esposte dalla Dore; anche in una società civilizzata ciò sarebbe possibile se soltanto gli adulti capissero meglio le esigenze dei bambini, facessero loro vivere la partecipazione anche agli orientamenti della loro comunità e soprattutto non li lasciassero vivere nel buio delle loro paure senza neppure l’ombra allungata delle cose che la natura proietta.
Ma è anche vero che per molto tempo alla persona minorenne non è stata riconosciuta alcuna competenza e soprattutto titolarità di diritti soggettivi, la cui acquisizione risulta essere abbastanza recente e non ancora pienamente tradotta e assorbita nella vita quotidiana (così come nell'operatività istituzionale).
D'altronde, per decenni, i diritti anche solo di protezione venivano legati ad una condizione inscindibile rispetto alla figura materna, trattandosi per lo più di misure di protezione alla maternità e all'infanzia. Nonostante la Dichiarazione dei diritti del fanciullo sia stata approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite e sottoscritta il 20 novembre 1959, si è dovuto aspettare più di un ventennio per intravedere uno specifico interesse sul tema331. Le precedenti Dichiarazioni erano
centrate sulle misure di protezione e negavano la partecipazione dei minori, non ritenendoli meritevoli di fiducia.
Questo approccio ben si coniugava con una concezione dell'infanzia quale condizione di passaggio, all'interno della quale la persona inizia il suo processo di sviluppo in una situazione di totale dipendenza e immaturità, invece che con una cultura del bambino quale attore e autore sociale, capace di interagire con il mondo che lo circonda e di co-costruire relazioni con gli adulti.
331Magno G., La condizione della persona di minore età nelle principali convenzioni internazionali e
I miti dell'infanzia hanno da sempre permeato la vita quotidiana, introducendo cambiamenti importanti nella relazione adulti/minori, nella disponibilità di luoghi e spazi professionali, nelle diverse funzioni attribuite alla socializzazione, in termini di dominio, protezione o partecipazione.
Per esempio gli archetipi del bambino dionisiaco e del bambino apollineo, il primo che vede il bambino come un essere selvaggio dominato da istinti naturali e il secondo che lo vede come un essere buono e inoffensivo, vengono ripresi da Jenks332
per spiegare il progressivo restringimento della presenza dei bambini della città: bambini da cui bisogna difendersi (è il caso delle baby gang), bambini da proteggere dalla città e dai rischi che presenta. Non di meno, incidenti sono stati i miti del bambino cattivo, innocente, immanente, inconscio, che si sviluppa naturalmente.333Un
bambino quindi da contenere, educare, proteggere, curare, accompagnare, riconoscere ecc. La società, come sostiene Satta, attinge da questi differenti miti e orienta la propria struttura, con una cultura comune, ossia non considerare i bambini per quello che sono, ma per i significati che veicolano.334Ma è la teoria dello sviluppo che più di
ogni altra sembra aver orientato gli approcci pedagogici e gli orientamenti giuridici, accomunati dalla centratura sulla fase di passaggio prodromica all'età adulta. Sotto questa lente l'infanzia non può che essere guardata per quello che ancora non è e sotto il profilo della protezione piuttosto che della partecipazione attiva. A partire da qui si invoca una sociologia critica che sappia decostruire i miti, individuare significati, riconoscere i bambini come attori sociali e culturali, in grado di narrare essi stessi e il mondo sociale a cui appartengono335.
I primi anni '90, a partire dai Paesi Scandinavi, poi in Gran Bretagna, in seguito negli Stati Uniti d'America, in Australia, in Brasile e, solo recentemente, anche in Italia, hanno visto nascere una nuova sociologia che ha preso avvio dall'osservazione di un problema sociale, strettamente connesso a una questione concettuale. L'osservazione della contemporaneità aveva fatto emergere come si 332
333James A., Jenks C., Prout A., Teorizzare l'infanzia, Donzelli, Roma, 2002.
334Satta C., Bambini e adulti: la nuova sociologia dell'infanzia”, Carocci, Roma, 2012, pagg. 24-28. 335Ivi, pag. 28.
fossero progressivamente ristretti gli spazi di autonomia concessi ai bambini.
L'evoluzione demografica e i mutamenti sociali hanno infatti segnato il passaggio dalle botteghe e dalle campagne alla casa e alla scuola, in un progressivo restringimento dello spazio fisico nella vita quotidiana a cui è significativamente associato il restringimento dello spazio libero. Come se, a partire dalla tarda modernità, il considerare l'infanzia come spazio temporale in cui il bambino impara ad essere adulto, con l'accento forte sull'esigenza di un accompagnamento protettivo, la socializzazione (e i rapporti dei bambini con gli adulti e con i pari) si sia ripiegata su spazi fisici limitati e in spazi relazionali regolati socialmente, quali la casa e la scuola. “Nella società del rischio i genitori identificano sempre di più il mondo situato al di fuori della casa come quello in cui i bambini devono essere riparati e rispetto al quale devono individuare strategie di contenimento del rischio”.336
Come osserva Qvorturp337 però, il nuovo interesse per l'infanzia, il
riconoscimento delle potenzialità e spontaneità dei bambini e l'orientamento comune teso a pensare e strutturare modi e spazi per loro, ha invece portato a una situazione in cui nei contesti naturali di appartenenza c'è sempre meno spazio per loro, gli si organizza sempre di più la vita quotidiana in servizi appositamente pensati, propone sempre di più ordine, controllo e disciplina. La sociologia dell'infanzia inizia ad occuparsi dei bambini e della loro partecipazione attiva alla socialità.
Nel 1989, con l'approvazione della Convenzione sui Diritti dell'Infanzia, vengono riconosciuti i diritti di personalità al soggetto minorenne con la precisa finalità di garantire lo sviluppo armonioso e completo della sua personalità attraverso processi educativi rispettosi delle sue attitudini e potenzialità, per prepararlo ad una vita adulta responsabile e rispettosa di sé e degli altri. Segno di tale orientamento l'intero articolato della Convenzione e in particolare la previsione dell'articolo 12 sul diritto alla partecipazione.
336Cit. Maggioni G., Cultura giuridica e nuova sociologia dell'infanzia, in (a cura di) Baraldi C., Maggioni G., Mittica M.P., “Pratiche di partecipazione. Teorie e metodi di intervento con bambini e adolescenti”, Donzelli, Roma, 2003, pag. 27.
337Qvortrup J., Chilwood in Europe: a New Field of social research, in Chisholm, Buchner, Kruger, Du Bois, Reymond, Growing up in Europe, pagg. 7-19.