I MINORI E LA PARTECIPAZIONE 1 I minori nella Costituzione e nell’ordinamento giuridico italiano
LA PARTECIPAZIONE NEL PROCESSO DI COSTRUZIONE DELLE POLITICHE SOCIAL
3. La partecipazione alla programmazione dei servizi social
La Legge 328/00 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” segna un passaggio decisivo rispetto alla partecipazione dei cittadini e della società civile nella direzione di costruire processi di programmazione partecipata.
Tale legge nasce per riorganizzare organicamente il settore, ma viene ben presto e per certi aspetti superata dall'emanazione della legge costituzionale n° 3/2001 che ha modificato il titolo V della Costituzione invertendo il precedente criterio di suddivisione delle competenze tra Stato, Regioni e Comuni. Mentre la materia sanitaria è materia legislativa concorrente (nella quale intervengono sia lo Stato sia le Regioni) l’assistenza sociale diviene materia esclusiva delle Regioni. Ciò comporta che ogni Regione può decidere se ed in quale misura fare riferimento alla legge 328/2000 nella costruzione del proprio sistema dei servizi sociali, venendo così meno uno degli obiettivi della stessa legge e cioè il superamento delle differenze territoriali. Nonostante ciò, il riformato art. 117 della Costituzione attribuisce allo Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
La legge 328/2000, disegna un sistema di servizi e di interventi tra loro integrati su base locale e individua i livelli essenziali di assistenza da garantire in tutto il territorio nazionale. Le principali innovazioni introdotte riguardano il superamento di ogni logica che produce beneficenza e passività, mentre si rimarca l'obiettivo della responsabilizzazione di tutta la comunità di fronte ai problemi sociali e l'acquisizione del concetto di territorialità come elemento di co-gestione dei servizi sociali e incubatore di sviluppo di comunità locali.
Le comunità hanno giocato un ruolo importante nello sviluppo della storia del welfare state italiano. I cambiamenti più importanti sono nati spesso dal basso, ovvero dalla partecipazione di cittadini, professionisti, società civile che hanno espresso critiche ai sistemi in vigore, reclamando riforme e cambiamenti. Ne è un esempio la
contestazione popolare che ha caratterizzato gli anni '60. A partire dalle lotte studentesche (1968) e dagli scioperi e manifestazioni operaie del cosiddetto autunno caldo (1969) si è sviluppato un più generale clima di innovazione all'interno del quale emergevano istanze precise di interventi contro la marginalizzazione e la segregazione nelle istituzioni totali dei soggetti più indifesi, contro la settorializzazione e categorizzazione delle prestazioni e contro il centralismo degli enti di assistenza.
E' a partire da questi movimenti popolari che si è assistito ad un processo di trasformazione culturale, sociale e politica sfociata nella nascita di un vasto movimento di riforme in vari settori e nell'emanazione di alcune importanti leggi. In particolare, il riordino dell’assistenza pubblica viene avviato attraverso l’istituzione delle Regioni; ed i servizi sociali assumono da questo momento un carattere universalistico e locale (vengono istituiti nel territorio di vita dei cittadini, dove nascono i bisogni ma anche dove sono collocate le risorse).468
Agli inizi degli anni ‘80 il nuovo sistema istituzionale si rafforza, ma nella seconda metà della stessa decade inizia a manifestare segni di difficoltà riconducibili ad un sistema politico che si fonda su logiche clientelari e sul voto di scambio, ad un sistema di interventi pubblici che porta allo spreco di denaro pubblico, ad un sistema sociale profondamente mutato per la natura dei bisogni sempre più complessi e di difficile lettura469.
La legge 328/2000 nasce, quindi, in un contesto di crisi e sotto una pressione sociale che richiede il contenimento della spesa pubblica e l'abbandono del sistema universalistico. Nonostante ciò, i principi ispiratori della normativa sono stati individuati nell'universalità selettiva come priorità di accesso alle prestazioni per le persone che vivono condizioni di particolare difficoltà, nell'eguaglianza di trattamento, nella libera scelta dei servizi e nella partecipazione, intesa come diritto al controllo della qualità dei servizi e come contributo per favorire il raggiungimento degli obiettivi della legge da parte di tutti i soggetti sociali.
L'impianto normativo afferma, poi, il principio del pluralismo organizzativo e richiama ad un'azione di collaborazione, coordinamento, concertazione nella 468Neve, E., Il servizio sociale. Fondamenti e cultura di una professione, Carocci, Roma, 2008.
programmazione, produzione e valutazione dei servizi. A questo proposito viene dato ampio riconoscimento al ruolo del terzo settore, anche nella programmazione e realizzazione concertata degli interventi, con l'affermazione del principio della sussidiarietà orizzontale.
La normativa introduce il piano di zona quale strumento formale attraverso il quale i Comuni, di intesa con le ASL, possono costruire il sistema integrato di servizi facendo riferimento, ai bisogni e ai problemi, agli obiettivi strategici, agli strumenti e alle risorse da attivare, in uno specifico ambito territoriale.
Questa innovazione cambia alla radice il sistema del governo delle politiche sociali, che passa da una struttura tradizionale di government in cui spicca un'impostazione fortemente gerarchizzata e centralizzata a una di governance maggiormente imperniata su scambi e reti, di cui la programmazione negoziale o partecipata è parte e valido esempio. Il piano di zona è stato individuato come lo strumento idoneo a realizzare una governance territoriale in grado di costruire un sistema di interventi coerente con i bisogni delle comunità territoriali e allo stesso tempo di garantire forme di partecipazione attiva nella progettazione delle politiche sociali.470
Per Bifulco il piano di zona si indirizza verso tre direttrici: il coordinamento interistituzionale, la negoziazione, la regia che valorizza il ruolo delle Amministrazioni locali.471 Sotto quest'ultimo aspetto, la normativa non contiene
indicazioni precise o vincoli rispetto alle modalità di coinvolgimento del terzo settore e della cittadinanza nel processo di programmazione. E', però, lo stesso strumento individuato a richiamare e sollecitare il ruolo delle Amministrazioni locali nella costruzione di arene decisionali che sappiano coniugare la pluralità dei soggetti e delle istanze formulate con l'esigenza di ricomporre la frammentarietà e la parzialità.
Le amministrazioni comunali giocano, quindi, un ruolo fondamentale rispetto alle azioni tese a valorizzare e mobilitare i contesti locali, ad allestire spazi di confronto e di partecipazione alle scelte, a ricomporre interessiplurali in un quadro di 470Bifulco L, Partecipazione e piani di zona, in (a cura di), Bifulco L., Facchini C, “Partecipazione sociale e competenze. Il ruolo delle professioni nei piani di zona”, Franco Angeli, Milano, 2013, pagg. 54-55.
priorità, a governare i processi rispetto a linee di sviluppo definite.472
Gli studi sull'implementazione dei piani di zona473 hanno messo in luce alcuni
aspetti importanti che evidenziano limiti, difficoltà o buone pratiche di programmazione partecipata.
Le tematiche affrontate mettono in luce la relazione tra il processo e le risorse investite dalle Regioni, anche in termini di legittimazione e sostegno politico, per la realizzazione del sistema a livello territoriale, e le difficoltà legate alla intermunicipalità e ai meccanismi di mediazione e accomodamento richiesti da una pratica cooperativa. Nella maggioranza dei casi il terzo settore è stato coinvolto solo in modo saltuario e nella sola fase di definizione dei bisogni, e le pratiche partecipative sono state tradotte come meri meccanismi di consultazione o partecipazione solo formale.
In particolare, si è evidenziato un ruolo istituzionale ancora centrato, talvolta, su una visione utilitaristica e strumentale degli attori sociali rispetto ai propri fini e ai propri bisogni.
Non mancano, però, esperienze innovative di co-programmazione che dipendono dalle competenze dei professionisti e dei politici, preposti a impostare e gestire lo strumento partecipativo, e dal modo con il quale viene impostato il processo (incentivazione o scoraggiamento alla partecipazione, accesso all'arena politica, grado di apertura rispetto alle possibilità di incidere sulle scelte, misura della formalizzazione su cui si basa). Le dimensioni esplorate nelle ricerche attengono ai soggetti, alle competenze, alle modalità, alle impostazioni, alle risorse, ai ruoli, alle dinamiche relazionali e alle funzioni simboliche.
Emerge un quadro composito costituito da esperienze diversificate che fanno
472Ivi, pagg. 55,56.
473Bifulco L., Facchini C., op. cit.; Lazzari F., Gui L., (a cura di), Partecipazione e cittadinanza. Il
farsi delle politiche sociali nei piani di zona, Franco Angeli, Milano, 2013; Ruggeri F., Stato sociale assistenza cittadinanza. Sulla centralità del servizio sociali, Franco Angeli, Milano, 2013; Branca
G, Piga M.L., (a cura di), I nodi della programmazione condivisa, Esperienze e riflessioni, Franco Angeli, Milano, 2015; Montemurro F., Dieci anni di operatività sono stati sufficienti al piano di
zona per trasformare qualitativamente le politiche sociali locali?, Welfare on line, 5, pagg. 2/4. www.nuovowelfare.it; Paci M., (a cura di), Welfare locale e democrazia partecipativa, Il Mulino, Bologna, 2008; Mirabile, (a cura di), Italie sociali, Donzelli, Roma, 2005; Prospettive sociali e
emergere, pur all'interno delle difficoltà dei vincoli e degli insuccessi, come la programmazione delle politiche sociali e dei servizi alla persona, attraverso lo strumento dei piani di zona, sia un ambito privilegiato in cui far esprimere tutte le potenzialità della democrazia partecipativa.