I MINORI E LA PARTECIPAZIONE 1 I minori nella Costituzione e nell’ordinamento giuridico italiano
LA PARTECIPAZIONE NEL PROCESSO DI COSTRUZIONE DELLE POLITICHE SOCIAL
1. Partecipazione e sistemi di Welfare state
Il welfare state può essere inteso come quel sistema di scelte che determina il modo in cui una organizzazione sociale, quale quella statuale, definisce i diritti sociali che ritiene irrinunciabili per i suoi membri, individua i propri obiettivi di benessere, i soggetti che concorrono alla loro realizzazione, le risorse da destinare al funzionamento dell'impianto così delineato, individuando le azioni finalizzate a produrre l'auspicato benessere e la tutela sociale. Può essere inteso come responsabilità assunta dallo Stato verso la soddisfazione dei bisogni fondamentali dei suoi cittadini in modo sistematico. Come ogni manifestazione umana e sociale, non è facile pervenire a una definizione univoca del concetto e a una classificazione delle diverse tipologie che possa essere durevole nel tempo e coerente nello spazio. Si tratta, infatti, di un concetto che può essere inteso in senso estensivo o restrittivo, che nel tempo ha assunto significati diversi rispetto ai diritti che ha inteso proteggere. La sua concretizzazione vive situazioni di crisi contemporanee a fasi di sviluppo nei diversi Paesi del mondo.
All'attuale crisi che si evidenzia in Europa si affianca, per esempio, una sua espansione nei Paesi sud americani; e a partire da una definizione più ristretta, che vede il welfare coincidere con la sicurezza sociale, si contrappone una definizione allargata che fa riferimento all'intervento dello Stato nei meccanismi di riproduzione economica e di redistribuzione e ri-allocazione delle risorse, al fine di bilanciare le opportunità di vita tra i cittadini438.
Dall'approccio bismarckiano, basato sul principio contributivo-assicurativo, a quello beveridgiano, basato sul principio dell'uguale protezione, passando per le teorizzazione di Titmuss, che afferma un sistema di protezione sociale universalistico, e Marshall, che vede i diritti sociali come il terzo livello dei diritti di cittadinanza, 438Saraceno C., Il welfare, Il Mulino, Bologna, 2013.
sono state diverse le speculazioni teoriche e scientifiche rivolte a individuare i diversi modelli di welfare state a seconda della tipologia delle prestazioni, dei destinatari, dei criteri di accesso alle prestazioni e delle modalità di finanziamento, così come le teorizzazioni sulle possibilità di sviluppo e di uscita dalla crisi del welfare439.
Alle spalle dei diversi modelli si possono rinvenire le diverse tipologie dei sistemi societari. Le teorie della società mettono in luce come possa incidere sull'idea di welfare state il diverso modo di concepire il sistema economico e l'intervento dello Stato nella e sulla società. E ciò incide sui percorsi comunitari, sulle biografie individuali, ed anche sull'accesso ai poteri decisionali.
Le tre teorie fondamentali libertaria, liberale e collettivista danno un'impronta differente sulla quale si inscrivono i diversi sistemi di welfare440.
Le teorie libertarie intendono la società come basata sulla libertà individuale per cui il benessere sociale è dato dalla possibilità di esercitare i diritti di proprietà e dal funzionamento del mercato, in un sistema che enfatizza il primato della libertà individuale e del libero mercato e che intende la ricerca della giustizia sociale inutile e dannosa. In questo quadro il compito dello Stato si deve limitare a garantire la tutela della libertà individuale e a mantenere l'ordine e la sicurezza.
Le teorie liberali rappresentano una forma più sfumata di libertarismo e si rifanno a due assunti di base: il capitalismo è il sistema comparativamente più efficiente; determina, però, costi sociali che l'intervento dello Stato può mitigare. L'azione combinata del mercato e dello Stato può garantire, per i teorici delle teorie liberali, massima efficienza e massima equità.
Le teorie collettiviste pongono, invece, al centro l'uguaglianza, il concetto di libertà, in senso negativo ma anche positivo, e rivolgono una critica al mercato, concepito come luogo dell'interesse individuale e non di quello collettivo.
Il prevalere dei diversi orientamenti posti alla base del contratto sociale orienta l'intervento pubblico nella vita dei cittadini, che cambia notevolmente a seconda di come si combinino, in termini di prevalenza, obiettivi di efficienza, equità, giustizia 439Ivi.
440Per la trattazione sulle teorie della società e i sistemi di welfare si fa riferimento al testo Rodger, J.J.,
Il nuovo welfare societario. I fondamenti delle politiche sciali nell'età postmoderna, Edizioni
sociale e libertà individuale. In questo senso si possono sviluppare approcci più o meno centrati sull'utilitarismo, il contrattualismo, il libertarismo, il socialismo. Per i seguaci delle teorie libertarie lo stato sociale è un'inutile via all'eguaglianza in quanto determina dipendenza, viola la libertà individuale e riduce la solidarietà privata; per i liberali ed i social-democratici, seppur con motivazioni diverse, lo stato sociale è invece necessario e può concretizzarsi con diverse formule rispetto alla produzione e al finanziamento pubblico e privato.
Gli orientamenti culturali, filosofici e politici, se rapportati al welfare state e alle misure di protezione e sicurezza, non rappresentano modelli puri e non sono esenti dall'aver prodotto interventi simili, pur partendo da posizioni differenti. Tanto che alcuni principi essenziali si ritrovano adottati da governi guidati dalla destra conservatrice o dalla sinistra social-democratica, in particolare nell'età moderna e nel periodo compreso tra il 1945 e il 1970, tanto da far parlare, già negli anni '60, di un vicina fine delle ideologie.441
Il welfare state ha assunto storicamente e geograficamente forme diverse ed ha prodotto risultati diversi. Un'analisi storica sugli aspetti economici e sociali consente di classificare alcune macrotipologie di modelli.
Esping-Andersen442adotta un criterio di analisi a partire dalla tripartizione tra
regime liberale (residuale), conservatore Si distinge per la socializzazione dei rischi e il familismo) e socialdemocratico (si fonda sull'universalismo, sulla demercifiazione e generosità dei sussidi).443.
Altra classificazione è la tripartizione tra modello moderno, antimoderno e post moderno. Quello moderno si pone come obiettivo quello di creare un sistema di servizi universalistico in ambito sanitario, educativo e abitativo, anche per rispondere alle esigenze del sistema economico. Gli attori sono lo Stato, la famiglia e la comunità. Il periodo storico di riferimento sono gli anni che vanno dal 1945 al 1975, in cui si afferma il modello fordista caratterizzato da un accordo tacito tra imprese e lavoratori. Si fonda su un abbassamento del costo del lavoro ed un aumento di
441Bell D., The End of Idiology, New York Free Press, 1960.
442Esping Andresen G., I fondamenti sociali delle economie post-industriali, Il Mulino, Bologna, 2000. 443Ivi.
sicurezza sociale, che dovrebbe favorire uno stimolo ai consumi di massa e pertanto una produzione di beni di massa. Lo Stato assume in questo modello responsabilità proprie dei sistemi naturali di appartenenza (famiglia e comunità) quale per esempio la solidarietà intergenerazionale. I settori del non profit e del for profit rivestono in questo modello un carattere marginale. Si riteneva, infatti, che solo lo Stato potesse garantire uguaglianza, giustizia e pari opportunità attraverso la pianificazione sociale: “si trattava di valutare i problemi individuali e di calcolare sistematicamente quali fossero le migliori modalità di allocazione dei beni pubblici, nel rispetto dei principi dell'universalismo”.444 Lo Stato disegna in tal modo un sistema di welfare sul
fondamento della solidarietà e incita i propri cittadini a riconoscere il valore dell'altruismo, della solidarietà e del bene comune.
Il modello antimoderno parte dal considerare la modernizzazione come il fattore che ha destrutturato gli assetti sociali tradizionali e posto le basi per il declino della famiglia tradizionale. Sotto il profilo della scienza economica si enfatizza il ruolo del mercato per cui ogni interferenza può determinare una riduzione del benessere. Il mercato modella le interazioni sociali, l''intervento dello Stato è considerato disgregante, mentre la famiglia è e deve riprendere il suo ruolo di protagonista, messo a repentaglio dalla modernità e dall'ingerenza dello Stato nelle sue naturali mansioni di cura e di socializzazione”.445 Le maggiori espressioni di questo
approccio le troviamo nelle politiche tatcheriane e reganiane.
Il modello post moderno si affaccia in un momento storico in cui si registra un crollo delle ideologie libertarie, liberale e socialdemocratiche e prende avvio da una critica alla modernità, evidenziando come le pretese umanitarie mascherino in realtà esigenze diverse quali il controllo sociale e il mantenimento dello status quo, anche attraverso l'inflessibilità delle burocrazie pubbliche. 446 Si sviluppa su tre filoni: stato
sociale post fordista, analisi post strutturalista, politiche sociali post moderne.
Il primo filone parte dalle teorizzazioni sul fordismo e sullo stato keynesiano criticati il primo per la produzione ed il consumo di massa basato sull'utilizzo delle 444Cit. Rodger J.J., Il nuovo welfare societario. I fondamenti delle politiche sociali nell'età
postmoderna, Edizioni Erickson, Trento, 2004, pag. 31.
445Ivi, pagg. 25-32. 446Ivi, pagg. 35-37.
catene di montaggio su basi scientifiche ed il secondo per la rigidità dell'organizzazione del lavoro, per l'eccesso del potere sindacale, la stagflazione. Si afferma quindi un sistema post fordista che si basi sulla maggiore flessibilità del lavoro e su nuovi stili di organizzazione, di riduzione del potere sindacale e di privatizzazione dei servizi.
Anche l'analisi sullo stato sociale risente e si imposta su quella economica, laddove si individua nelle sue espressioni un tentativo di contrastare le mutate condizioni economiche del post fordismo, attraverso, per esempio, la privatizzazione dei servizi alla persona e l'adozione del sistema contrattuale che governa le esternalizzazioni e gli appalti al terzo settore.
L'analisi post strutturalista parte invece dal presupposto che non è la realtà economica a plasmare il welfare state, ma bensì è l'idea di welfare che plasma la realtà introducendo un ambito di riflessione sul sistema di classificazione normalità- devianza; il linguaggio e i discorsi professionali dei servizi e degli operatori contribuiscono a classificare e far auto-percepire gli utenti come meritevoli/immeritevoli, normali/devianti, funzionali/disfunzionali. Ciò si traduce in interventi diversi a seconda delle categorie che lo stesso sistema sociale crea, in base all'utilità degli utenti e alla loro partecipazione ai processi produttivi.
Le politiche sociali post moderne partono dal fatto che si assiste a forme di polarizzazione del lavoro, alla rottura degli equilibri sociali, alla mancanza di rappresentanza. Il welfare state, secondo questa analisi, deve fondarsi su alcuni principi: personalizzazione, coinvolgimento, co-progettazione e ruolo attivo della società civile. Leonard sostiene la necessità di un welfare postmoderno orientato all'emancipazione, che dovrebbe investire in misura minore nei grandi programmi e porgere invece maggiore attenzione ai processi sociali, proprio con la finalità di favorire la partecipazione comunitaria al dibattito sulla definizione dei bisogni e delle priorità, insomma sugli obiettivi e sulle finalità del welfare. Un welfare, quello post moderno, che si costruisce dal basso e che vede lo Stato mantenere il ruolo di coordinatore dei servizi e garante dei diritti di cittadinanza, ma in un contesto in cui le comunità si attivano e i movimenti sociali fanno emergere le istanze dal basso.447
Lo sviluppo del welfare state è avvenuto secondo delle linee similari, ma molto differenziate nei diversi Paesi, con esiti e ricadute diversificate pur nell'ambito di medesime impostazioni determinate dalle diverse condizioni di partenza, dalle culture nazionali, dai differenti percorsi di costituzione degli Stati moderni. Un punto di vista omogeneo può essere rappresentato dal passaggio dalla sfera privatistica a quella pubblica del sistema di protezione sociale. I diversi sistemi hanno messo in evidenza, a fronte di questa rivoluzione culturale, modalità diverse di intendere l'intervento pubblico per i differenti ruoli attribuiti ai diversi attori del welfare: famiglia, stato, mercato, terzo settore. A seconda di questa differente attribuzione di ruoli, ma non solo, si possono rinvenire, come già descritto, modelli che hanno adottato una visione che incorpora la partecipazione attiva e altri dove questa dimensione appare davvero poco esplorata.
Gli attori del welfare vengono individuati nei soggetti collettivi che contribuiscono al benessere e alla sicurezza sociale, in un'ottica, ormai sedimentata, che rifiuta la tendenza a concepire la politica sociale come costituita esclusivamente dagli interventi realizzati dalla Pubblica Amministrazione. Spesso si pongono gli stessi obiettivi e concretamente svolgono attività similari, fatto che può portare a un duplice meccanismo di complementarietà e di competizione.448
Ma le modalità concrete con le quali si realizzano i differenti sistemi di welfare costituiscono o costruiscono modelli di cittadinanza differenti. Il reddito di cittadinanza, la scuola dell'obbligo garantita a tutti, l'universalità del sistema sanitario sono aspetti del benessere individuale e sociale che, a seconda di come si combinano e del livello di soddisfacimento in cui vengono posti, presentano differenze rilevanti e sostanziali nell'esercizio e nel godimento dei diritti di cittadinanza. Il peso che si riversa sui quattro attori classicamente intesi ha conseguenze non solo sulla quantità e sulla qualità del welfare prodotto, ma anche sui diritti di cittadinanza sociale che promuove e garantisce.
A fronte di un modello sociale europeo caratterizzato da uno stato interventista, che finanzia le politiche sociali con un elevato livello di imposizione fiscale per garantire un sistema di protezione ampio, le differenze tra i diversi Paesi europei sono 448Borzaga C., Fazzi L., Manuale di politica sociale, Franco Angeli, Milano, 2005.
evidenti, nonostante le linee di indirizzo e le diverse raccomandazioni. Queste, però, hanno comunque avuto il pregio di produrre l'introduzione almeno di misure minime in quei Paesi che risultavano fortemente carenti sul piano della protezione sociale449.
Si richiama, così, il ruolo dello Stato che, per il potere autoritario che detiene, può intervenire nell'azione degli attori economici privati e svolgere essenziali funzioni quali regolamentare, redistribuire, assicurare e produrre welfare. L'azione dello Stato è tuttavia soggetta ad alcuni limiti, per la pressione dei gruppi più forti della popolazione, ed è esposta all'inefficienza nella produzione dei servizi pubblici, dettata dal monopolio e dalla difficoltà di introdurre alcuni principi manageriali di gestione nei servizi pubblici.
Un altro rischio può essere rappresentato dal fatto che, quando è particolarmente incisivo, l'intervento pubblico può avere l'effetto di sostituirsi alle decisioni degli individui, può costringerli ad un certo comportamento, anche quando avrebbero le risorse e le conoscenze per fare scelte diverse.450Queste osservazioni sui
limiti e sui rischi di uno Stato che produce servizi possono essere ricompresi in un unico denominatore rappresentato dalla mancanza di partecipazione dei cittadini non solo alle scelte ma anche alla gestione dei servizi.
La partecipazione viene invece da molti ricondotta al ruolo sempre più importante che ha assunto il terzo settore, ossia la categoria nella quale rientrano quelle realtà che si identificano per una costituzione formale, una natura privata, un autogoverno ed il vincolo di non distribuzione degli utili. Nascono con l'obiettivo di produrre beni che né lo stato né il mercato possono procurare o di produrli con un'attenzione maggiore ai bisogni delle persone di cui spesso si fanno portavoce.
Nell'ottica di sistema, il terzo settore non è alternativo o concorrenziale al sistema pubblico, ma si trova in una situazione di complementarietà ed interdipendenza nel raggiungimento di finalità comuni.
Le organizzazioni del terzo settore sono teoricamente portatrici di specifici vantaggi: rispetto al mercato producono beni e servizi che presentano elevati livelli di asimmetria informativa e possono attirare gli utenti che potrebbero ritenere che il 449Saraceno C., op. cit.
mercato possa avere come unico scopo quello di aumentare il profitto anche a scapito della qualità; rispetto allo Stato, agendo in ambiti territoriali ristretti e a diretto contatto con i problemi e con le persone che li esprimono, potrebbero riuscire a cogliere le istanze altrimenti inascoltate e soddisfare anche la domanda non standardizzabile, cogliendo più rapidamente i mutamenti sociali rispetto alla pubblica amministrazione. Anche nell'intervento del terzo settore possiamo rilevare alcuni limiti: vincoli alla crescita, paternalismo, tendenza ad un'interpretazione del proprio ruolo come sforzo benevolo di chi fornisce e non come preciso diritto di chi riceve.451
E' anche vero che la vicinanza alle persone, la possibilità di una prossimità spesso quotidiana nonché la permanenza nei contesti familiari e sociali, potrebbero rappresentare, anche per il sistema dei servizi, un importante azione nell'ottica partecipativa e di advocacy sociale che il terzo settore potrebbe svolgere a servizio della comunità tutta. Perché la comunità non è e forse non può essere identificata come soggetto o attore del welfare, anche se svolge un ruolo fondamentale e delicato nella genesi delle problematiche sociali così come nella prognosi e nella loro cura.
Da più parti, dopo un periodo in cui si è parlato dell’evoluzione di welfare nei termini di universale, residuale, mix, si inizia a parlare di welfare societario, i teorici del quale, focalizzano l'attenzione sull'interazione tra gli interventi pubblici e su come questi vengono recepiti dal tessuto sociale, a livello individuale ma anche delle relazioni nella comunità.
La crisi del modello classico di welfare, dettato non solo da problematiche di ordine economico ma anche da questioni di etica e morale, si traduce nell'adozione di nuovi paradigmi aperti e centrati sull'intreccio tra garanzie statali e coscienza collettiva, tra politiche attive, nuovi modelli di cittadinanza e nuova morale economica. Il welfare societario le racchiude tutte, con sfaccettature differenti e sviluppi controversi e molteplici. Se la centratura è sulla comunità, e questo tratto può essere affine ai diversi modelli, le diverse vision del welfare societario portano, però, a esiti molteplici e differenziati, proprio rispetto alla cultura e al ruolo che si assegna alle comunità. La comunità come luogo di privatizzazione della responsabilità, come contesto di cura, come fonte di co-responsabilità del diritto/dovere di protezione, 451Ivi.
come spazio in cui si realizza la partecipazione decisionale ma anche si attribuisce dovere di solidarietà e sussidiarietà, fermo restando il ruolo centrale dello Stato che si assottiglia o rinforza a seconda delle diverse impostazioni.
In Italia da qualche hanno si parla invece di welfare generativo, teorizzato dalla Fondazione Zancan452, che prefigura un sistema di attenzione sui diritti individuali
all'interno della più ampia sfera dei diritti sociali.
A fondamento del welfare generativo c'è un preciso riferimento alla persona e al contributo che può offrire nei termini di partecipazione alla vita e al progresso della società, anche quando viva in situazioni di difficoltà e sia nella condizione di dover richiedere un sostegno allo Stato. Anzi, sarebbe proprio questo momento a poter segnare l'avvio di un lavoro di co-costruzione di un sistema di interventi e di opportunità che ne consenta l'attivazione, anche al fine di evitare inutili e dannosi percorsi di assistenzialismo, dipendenza e passività auto ed etero percepita. Ciò richiede una diversa impostazione rinvenibile nel superamento dell'unica modalità di funzionamento sinora conosciuta, e legata alla funzione dello Stato, di raccogliere e di ridistribuire le risorse. Concetto ribadito nel documento “Verso un Welfare generativo, da costo a investimento”453: “la sostenibilità del nostro sistema di protezione sociale è
stata fino a ora affidata alla raccolta fondi basata sulla solidarietà fiscale, sulla solidarietà tra lavoratori, sul concorso alle spese da parte degli aiutati, sulle imposte sui consumi”. Questa logica appartiene ad un'ottica prevalentemente amministrativa e si è tradotta nell'amministrazione di molti diritti con pochi doveri, indirizzando spesso le risorse al trasferimento di denaro in base al possesso di determinati requisiti burocratico-amministrativi, talvolta a prescindere dal lavoro di mediazione professionale e dalla dimensione progettuale dell'intervento sociale,454 così
producendo dipendenza anziché autonomia e svalutando il potenziale umano invece 452Vecchiato T., Vincere la povertà con un nuovo Welfare generativo. in “Lotta alla povertà. Rapporto
2012”, Collana della Fondazione Emanuela Zancan, Il Mulino, Bologna 2012.
Vecchiato T., Un nuovo lessico, per una nuova cultura di Welfare, in “Welfare nuova risorsa”, Rivista Etica per le professioni, 2013, n°1, pagg. 7/18.
Documento Verso un welfare generativo, da costo a investimento, Fondazione E. Zancan, 2013. Altri riferimenti bibliografici, documenti e pubblicazioni inwww.fondazionezancan.it.
453Cit. da Documento Verso un welfare generativo, da costo a investimento, Fondazione E. Zancan, 2013, pag. 3.
che promuoverne la dignità.
Il welfare generativo, in una fase di crisi del sistema italiano orientata a studiare come diminuire o ridurre i diritti, piuttosto che concentrarsi su come far fruttare il capitale sociale e la fiscalità a disposizione, si pone in termini di sfida: raccogliere, redistribuire, rigenerare, rendere, responsabilizzare diventano le direzioni da percorrere nel passaggio da costo a investimento. Tutto ciò significa agire, innovare, sperimentare e destinare risorse per soddisfare i diritti individuali dentro una