4. Partecipazione e servizio sociale
4.4 Partecipazione, funzioni e orientamenti del servizio sociale
Essere assistenti sociali implica possedere una visione degli obiettivi da raggiungere, ma anche della società e delle cause/effetti dei fenomeni sociali, cui si accompagna l'adozione di riferimenti teorici che consentano la loro realizzazione.
L'autodeterminazione, la partecipazione e l'emancipazione degli individui, dei gruppi e delle comunità rappresentano una tensione costante per il servizio sociale che si rivolge alla promozione del cambiamento, alla coesione sociale, nonché all'empowerment e alla liberazione delle persone.
Tali funzioni, universalmente valide, non vanno però interpretate a prescindere dai contesti sociali e dai diversi momenti storico-politici, tanto che,proprio i fattori storici, socio- economici, culturali, territoriali, politici e personali vengono individuati come opportunità e/o barriere per il benessere e lo sviluppo umano. Il servizio sociale, in tale quadro concettuale, assume il compito di sviluppare una coscienza critica e strategie di azione indirizzate a fronteggiare le barriere strutturali e personali che impediscono l'inclusione e la coesione sociale.
Nella definizione internazionale viene così richiamato ciò che Dal Pra Ponticelli scrive a proposito dell'intervento promozionale, “rivolto sia al potenziamento del potere del singolo individuo (liberato dal bisogno partendo dalle sue risorse personali e ambientali), sia a un'azione di promozione sociale per favorire la partecipazione alla vita democratica di tutte le componenti della società”242
La conoscenza e l'operatività poggiano sui modelli teorici come “orientamento nell'analisi dei dati di una determinata realtà”243, cui l'assistente sociale può far
riferimento attraverso un processo di scelta.
I modelli, nel loro emergere e divenire in un processo di costante validazione e passaggio teoria-pratica-teoria, contengono elementi afferenti i principi e i valori propri della professione, si rifanno alle teorie delle scienze sociali nonché alla teorizzazione della prassi e tengono conto del contesto in cui la professione si esercita. I modelli racchiudono e propongono visioni diverse e si possono rappresentare
242Cit. Dal Pra Ponticelli M., Introduzione al servizio sociale, op. cit. pagg. 84-85.
243Cit. Dal Pra Ponticelli M., Voce Modelli di servizio sociale in (a cura di) “Nuovo dizionario di servizio sociale”, op. cit. pag. 372.
come una sintesi, prendendo spunto dagli studi di Payne244, tra teorie sul servizio
sociale (identità, valori, funzioni, obiettivi, contesti di lavoro organizzativi e politici), teorie sull'esercizio della professione (e quindi su come si traduce in pratica il servizio sociale) ovvero su come si fa servizio sociale (scritte e esperienziali) e teorie sulla società, ovvero sull'oggetto di studio e di intervento del servizio sociale (dati empirici e teorie delle scienze sociali). Come sostiene Donati, il lavoro sociale non è mai neutro rispetto alla società, per cui è implicito che “le metodologie e i contenuti che propone nascano da una certa visione, consapevole o no, esplicitata o meno, della società”.245
Seppur i valori e i principi rappresentino il fondamento della professione e siano stati presenti fin dalle origini del servizio sociale non sempre la traduzione nell'operatività ha trovato il modo di valorizzarli e preservarli.
Un focus sulla partecipazione e sull'autodeterminazione mette in luce come l'organizzazione dei servizi, la legislazione sociale e anche alcuni modelli teorici storicamente succedutisi non ne abbiano consentito il rigoroso rispetto (si pensi ad esempio agli Enti assistenziali, alla burocratizzazione e standardizzazione delle prestazioni, ai modelli deterministici impostati sullo schema diagnosi-cura o a quelli prevalentemente individuali che escludono il raggio di azione sulla relazione tra la persona e il suo sistema di vita).
Altri approcci teorici, con il contributo della psicologia sociale e della sociologia, hanno orientato maggiormente la pratica nel rispetto degli spazi di partecipazione, sia all'interno del singolo percorso esistenziale, sia nei processi collettivi e comunitari. Anche in Italia si è passati da modelli di servizio sociale caratterizzati da un'impostazione di tipo medico (studio-diagnosi-trattamento), che hanno visto il servizio sociale investito di una funzione di cura in situazioni di disagio prevalentemente individuale da affrontare in senso riparativo-terapeutico, nella convinzione che le cause del disagio e le risorse per affrontarle fossero in capo solo o prevalentemente alla persona, ad una seconda fase che ha invece visto prevalere i
244Payne M., Modern social work theory: a critical introduction, Macmilla, London, 1991.
245Donati P. L'intervento sociale in una società reticolare: nuovi profili metodologici e professionali, in (a cura di), Sanicola L., “Reti sociali e interventi professionali”, Liguori, Napoli, 1994, pag. 40.
modelli sistemici e la comparsa di approcci integrati e unitari.
Le teorie ecologiche-sistemiche hanno contribuito notevolmente a “superare la dicotomia e l'oscillazione di polo tra intervento centrato sull'adattamento del soggetto e intervento orientato al cambiamento sociale, spostando l'attenzione sulle transazioni nel loro processo relazionale”.246Così come il paradigma relazionale ha offerto nuove
prospettive al servizio sociale, coniugando l'umano al sociale e l'intervento tecnico al valore della dignità ed originalità ed al rispetto dell'identità della persona247. La
diagnosi relazionale consente al servizio sociale di assumere una funzione di guida rivolta allo sviluppo dell'autonomia e della possibilità di scelta delle persone, costruendo rapporti, relazioni, collaborazioni con le presenze significative, sia a livello formale che informale.248
Anche l'impostazione costruttivista ha contribuito a delineare nuove prospettive per il servizio sociale. Come si è avuto modo di accennare nell'approfondimento sociologico, questo gruppo di teorie affermano una prospettiva co-evolutiva uomo-società, mediata dalla conoscenza. Per il servizio sociale ciò significa adottare un punto di vista dinamico relazionale, in cui sia gli utenti che i servizi sono intesi come co-costruttori della realtà, co-artefici della definizione sia dei bisogni che dei problemi all'interno di un setting che assume di per se stesso una valenza costruttiva.
La teoria costruttivista, infatti, “attribuisce alle esperienze di bisogno e di benessere il valore soggettivamente e interattivamente riconosciuto da ogni particolare contesto sociale”249. Ciò significa che gli assistenti sociali non possono definire a
priori i problemi e le strategie per farvi fronte senza la partecipazione delle persone coinvolte, con le quali costruiscono la realtà delle forme di disagio da fronteggiare e le opzioni o piste per la loro risoluzione.250
Dal Pra Ponticelli, a proposito del costruzionismo sociale, afferma che il dialogo, il racconto, la narrazione divengono fondamentali per la costruzione della 246Cit. Campanini A., Servizio sociale e sociologia: storia di un dialogo, Lint, Trento, 1999, pag. 75. 247Ivi, pag. 75.
248Ivi, pag. 76.
249Cit. Gui L., Le sfide teoriche del servizio sociale. I fondamenti di una disciplina, Carocci, Roma, 2004, pag. 100.
realtà. Il linguaggio fa emergere la propria rappresentazione della realtà e consente, nell'interazione con l'assistente sociale, di arrivare ad una rappresentazione sociale tramite un processo il cui l'obiettivo non è tanto quello di poterla confrontare con la realtà oggettiva, ovvero cercare la verità dei fatti, quanto consentire una mediazione ed un raffronto tra diverse rappresentazioni che in un processo interattivo-riflessivo emergono.
E' all'interno di questo processo che può nascere una conoscenza condivisa alla base della quale vi è l'idea che “l'individuo è un attivo costruttore dei propri progetti di vita, di strategie di fronteggiamento e di soluzione dei problemi esistenziali ...”251
Parton e O' Byrne, a partire dalle indagini e dagli studi di Seligman e Howe, intravedono alla base del modello costruttivista del servizio sociale il fatto che la qualità dell'esperienza vissuta dagli utenti nel rapporto con i servizi è data non solo da una buona relazione che si instaura, elemento peraltro basilare, ma dalla possibilità garantita alla persona di poter parlare e soprattutto di essere compresa e accettata. “Dialogo e linguaggio sono la chiave per attribuire significato alla propria vita e riprendere il controllo”252
Parton e O' Byrne riprendono la teoria di Berger e Luckman a proposito del “processo attraverso il quale le persone definiscono se stesse, le loro identità e il loro ambiente, partecipando al mondo sociale, interagendo con gli altri e assegnando certi significati a determinati aspetti della loro vita”253A partire da ciò hanno elaborato un
modello di intervento in cui l'assistente sociale non perde il proprio ruolo di esperto, ma riconosce esperto della propria situazione l'utente e esercita il proprio ruolo mettendo in campo le proprie conoscenze teoriche, la propria esperienza professionale, avendo cura di evitare qualsiasi intervento che provochi disempowerment e con l'obiettivo di partire sempre dalle aspirazioni, motivazioni e obiettivi dell'utente. Aiutare l'utente a riconoscere e comprendere se stesso richiede una pratica professionale processuale che sappia valorizzare limiti e potenzialità del ruolo ed utilizzo di se stessi come “strumenti di lavoro”.254
251Cit. Dal Pra Ponticelli M., Nuove prospettive per il servizio sociale, Carocci, Roma, 2010, pag. 77. 252Cit. Parton N., O'Byrne P., Costruire soluzioni sociali, Edizioni Erickson, Trento, 2005, pag 19. 253Ivi, pag. 25.
Valorizzare le conoscenze esperienziali delle persone, peraltro, non toglie professionalità agli operatori, che mantengono specifiche competenze rispetto alla consapevolezza metodologica del processo finalizzato a far emergere le conoscenze soggettive, consapevolezza metodologica che si orienta alla loro rielaborazione e alle possibili declinazioni operative255.
Shein analizza l'aiuto come teatro e rimarca l'importanza della scelta del ruolo da parte di chi si trovi nella posizione di helper. Individua sostanzialmente tre modi diversi di assumere e proporre il proprio ruolo di helper: come risorsa esperta che fornisce informazioni o servizi; come un medico che fa diagnosi e prescrive le cure; come consulente di processo che si focalizza sulla costruzione di una relazione paritetica e assume il ruolo di chiarificazione rispetto all'aiuto opportuno e possibile256.
L'assistente sociale incarna, invece, il ruolo di guida relazionale257; si orienta
verso il coinvolgimento della persona e della famiglia nel contesto della vita quotidiana e verso un'effettiva partecipazione comunitaria258. Inteso in questo senso il
professionista assistente sociale tende a costruire un rapporto dialogico finalizzato alla comprensione del contesto relazionale in cui la persona è inserita, chiave di volta per produrre cambiamenti e bersaglio esso stesso dell'intervento. Adottare un approccio relazionale significa portare la prospettiva reticolare e relazionale all'interno anche delle istituzioni e dei servizi259.
La prospettiva socialista-collettivista ha dato nuovi impulsi al servizio sociale per una pratica che si caratterizzi in senso anti-oppressivo. Il servizio sociale viene visto all'interno di questo sistema di teorie e modelli (femminismo nel servizio sociale, empowerment, advocacy), come un’importante risorsa di supporto e collaborazione nella società, per facilitare l'uscita dalla marginalità e dalle situazioni disagiate o svantaggiate tramite l'acquisizione del potere sulle proprie vite.
Quale che sia la prospettiva adottata, sembra ormai assodato il rifiuto di
255Cit. Ranieri M.L., Il valore delle conoscenze esperienziali, in (a cura di) Donati P., Folgheraiter F., Ranieri M.L., “La tutela dei minori”, Edizioni Erickson, Trento, 2001, pag. 100.
256Schein E. H., Le forme dell'aiuto, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2009, pagg. 41-46. 257Donati P., Fondamenti di politica sociale, Carocci, Roma, 1993.
258Campanini A., Servizio sociale e sociologia: storia di un dialogo, op. cit., pag. 51. 259Dal Pra Ponticelli M., Nuove prospettive per il servizio sociale, op. cit., pagg. 71-72.
qualsiasi impostazione deterministica, l'interesse per la relazione tra la persona e l'ambiente, nei termini di interazione e influenzamento reciproco, il riconoscimento delle potenzialità dell'essere umano emozionali, cognitive, comunicative. A ciò si accompagna la non meno strutturata proiezione verso il lavoro di comunità, nella duplice accezione del lavoro con la comunità, meglio noto come sviluppo di comunità, e per la comunità, meglio noto come lavoro di rete260.
Oggi il servizio sociale in Italia adotta un'ottica trifocale, che vede come propri oggetti di conoscenza e di intervento la persona e la sua famiglia, la comunità e le forme istituzionali dell'aiuto. La trifocalità “evoca un approccio unitario, al contempo capace di mantenere tre fuochi di attenzione”261e si traduce nel coniugare “assistenza
e promozione, lavoro con le persone … e lavoro con il contesto relazionale … senza rinunciare a strutturare e ristrutturare costantemente le forme organizzate e istituzionali della promozione e dell'aiuto sociale”262. Il servizio sociale si muove in
questo spazio esposto ai cambiamenti in ciascuna delle tre dimensioni. Ciò richiede una continua attività di ripensamento e passaggio dalla teoria alla pratica, ovvero una pratica riflessiva.