I MINORI E LA PARTECIPAZIONE 1 I minori nella Costituzione e nell’ordinamento giuridico italiano
4. Partecipazione, socializzazione, formazione dell’identità
Il genere umano si distingue dal resto del mondo animale per essere scarsamente programmato dal punto di vista biologico. Per tale motivo, secondo Gehlen, presenta una necessità continua di esteriorizzarsi in azioni atte a difendersi da ciò che lo circonda338 e di produrre cultura, ossia trasformare la natura e creare il
mondo sociale.
Questa visione antropologica dell'uomo che manifesta l'esigenza di colmare deficienze e inadeguatezze biologiche attraverso la formazione e la trasmissione della cultura, precede e sottende lo studio delle teorie e dei fenomeni umani, tra i quali la socializzazione. Questa può essere intesa, in termini generali, come il processo attraverso il quale l'individuo diventa membro di un gruppo sociale, passando da una fase istintiva o pulsionale ad uno stadio più sociale e controllato, ovvero un processo che assolve alla mediazione tra individuo e società.
All'interno di questa concezione generale si inscrivono numerose teorie che si differenziano per il diverso modo di intendere il bambino e per la diversa funzione attribuita alla stessa socializzazione rispetto alla società nel suo insieme. Emergono le due differenti macro impostazioni teoriche della struttura e dell'azione e la diversa visione della capacità e delle potenzialità del bambino nell'essere, prendere o avere parte al processo di socializzazione, ovvero del diverso modo di intendere il minore quanto a creatività e capacità di autonomia versus assoggettazione alle forze sociali che ne condizionano e controllano l'agire.
Si possono individuare due impostazioni o sistemi di teorie, una di matrice deterministica e una di impronta costruttivista e costruzionista.
Il modello deterministico vede il bambino come un “novizio, un selvaggio che va da un lato educato affinché diventi un membro competente della società in grado di contribuire al suo mantenimento, dall'altro va controllato per reprimerne le pulsioni più aggressive che possono costituire un pericolo per l'ordine sociale”339. Il bambino,
secondo questa impostazione, è considerato passivo, un libro bianco che gli adulti 338Cesareo V., Sociologia. Teorie e problemi, Vita e Pensiero, Milano, 1993.
compilano, mentre a lui non resta che socializzare ed essere socializzato, recependo e immagazzinando norme e valori sociali in un processo consequenziale e lineare.
A partire dall'approccio culturalista secondo il quale la personalità degli individui è il frutto della cultura alla quale appartengono, ovvero la socializzazione è un processo di incorporazione progressiva dei tratti generali caratteristici della cultura del gruppo di origine, che definisce l'appartenenza sociale di base340, richiamano tale
visione anche l'approccio funzionalista e quello riproduttivo o dell'habitus. Il primo vede la società come un sistema sociale composto da sottosistemi tra loro integrati, per cui la socializzazione assolve allo scopo di addestrare i bambini ai ruoli sociali, proprio per il mantenimento della funzionalità sociale più complessiva; mentre l'approccio riproduttivo guarda alla socializzazione come a un meccanismo funzionale alla riproduzione delle diseguaglianze sociali, ovvero al mantenimento del potere delle classi dominanti341.
Nel primo spiccano gli studi di Parson che vede la socializzazione come un sistema di relazioni dinamiche attraverso le quali, secondo Dubar, la persona viene indotta o motivata a partecipare e diviene “portatore del proprio sistema sociale, e assicura l'interiorizzazione nella personalità dei quattro imperativi funzionali (AGIL)”342, mentre nel secondo si distinguono quelli di Bordieu che parla di capitale
culturale in dote ai bambini appartenenti alle classi sociali più importanti, al quale si associa il capitale umano e quello sociale. Tale approccio, secondo Satta, a differenza dei primi due, è conflittuale perché pone in evidenza il fatto che non tutti i bambini possono ricevere tali capitali e quindi non possono di fatto accedere alle stesse posizioni di potere e di riconoscimento sociale, a conclusione del processo di socializzazione343.
Accomuna invece tali approcci la medesima posizione assegnata al bambino che non ha spazio di azione e il cui sviluppo è frutto di un processo di socializzazione esterno.
340Dubar C., La socializzazione. Come si costruisce l'identità sociale, Il Mulino, Bologna, 2004, così definisce l'approccio culturalista, rifacendosi agli studi di Kardiner e di Lefort e Linton.
341Satta C., op. cit., pagg.11-14. 342Dubar C., op. cit., pag.62-63. 343Satta C,. op. cit., pagg. 12-13.
Gli approcci costruttivista e costruzionista, si fondano invece su una diversa immagine del bambino come soggetto attivo, che si relaziona con il mondo esterno e costruisce una propria rappresentazione della realtà.
Piaget, Vygotskij, ma anche Habermas, Mead, Berger e Luckman, esprimono tale orientamento attraverso teorie differenti tra loro, ma convergenti nel ritenere superata una visione della socializzazione come processo unicamente rivolto all'interiorizzazione dei valori, all'incorporazione dei modi di essere di un gruppo e della sua visione del mondo344.
Piaget345 parla dello sviluppo cognitivo del bambino che si evolve per gradi,
stadi, progressivi di acquisizione di abilità, il cui avvicendamento viene definito processo di equilibrazione e avviene attraverso le attività concrete che il bambino svolge per rispondere agli stimoli e ai problemi esterni. La costruzione continua non è lineare e riguarda sia la dimensione individuale sia quella sociale, ovvero la sfera cognitiva e quella affettiva.
La socializzazione si caratterizza per garantire un processo omeostatico attivo di adattamento discontinuo a forme mentali e sociali sempre più complesse, tramite assimilazione e accomodamento.346 Questo percorso di socializzazione porta con sé il
passaggio dall'egocentrismo all'inserimento sociale e dai rapporti di costrizione a quelli di cooperazione (dalla sottomissione all'ordine sociale all'autonomia personale nella cooperazione volontaria).347 La teoria di Piaget è costruttivista e costruzionista:
egli infatti vede il sistema sociale come un “sistema di attività, le cui interazioni elementari consistono in senso proprio in azioni che si modificano reciprocamente secondo certe leggi di organizzazione e equilibrio”348
Tale approccio relazionale-costruzionista si riflette nella definizione della socializzazione che, in definitiva, può essere intesa come un processo discontinuo di costruzione individuale e collettivo delle condotte sociali, che si articola nelle dimensioni cognitiva (struttura della condotta, regole), in quella affettiva (energia 344Dubar C., op. cit., pag. 97.
345Piaget J., Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia, Einaudi, Torino, 1996. 346Satta C., op. cit., pag. 13.
347Dubar C., op. cit., pagg. 17-21. 348Ivi, pag. 26.
della condotta, valori) e infine in quella espressiva o conativa (significati della condotta, segni)349.
L'approccio di Vygotskij350individua lo sviluppo in un processo collettivo che
il bambino realizza interagendo con i contesti concreti e con la cultura. L'interiorizzazione spiega il modo con cui i bambini sviluppano le abilità psichiche e sociali (prima a livello interpsichico e poi intrapsichico), mentre lo sviluppo prossimale è il campo in cui si gioca la partita tra le abilità reali del bambino e quelle che potrebbe esprimere con l'ausilio di altri. La zona prossimale è quella in cui avviene il passaggio da un livello all'altro realizzabile solo grazie all'interazione con gli altri ed è quella che caratterizza il pensiero di Vygotshij sulla socializzazione come sviluppo collettivo e condiviso.351
L'interazione, insieme all'incertezza, sono invece i presupposti sui quali si fondano le teorie che vedono la socializzazione come costruzione sociale della realtà. L'individuo si configura come un soggetto non che si conforma alla cultura e la riproduce o ottimizza le sue risorse per mantenere o raggiungere le posizioni di potere in base alla società in cui vive, ma piuttosto che si “confronta con questa duplice esigenza e deve imparare a farsi riconoscere dagli altri e a realizzare le migliori prestazioni possibili”.352
Per Habermas la dialettica alla base della socializzazione non si colloca tra l'individuo e il suo ambiente e neanche, come sostenuto da Piaget, tra maturazione soggettiva e stimoli oggettivi, ma nella dinamica tra attività strumentali353 e la natura
delle attività comunicative, come sistemi di potere e legittimità, ma anche di liberazione reciproca.354
Per Mead la socializzazione si sviluppa come costruzione di un sè in relazione all'altro, all'interno della relazione o comunicazione con gli altri. Lo studio di Mead si fonda sul concetto di sé e sul rapporto tra il sé e l'azione, che è di tipo dinamico, 349Ivi, pagg. 26-27.
350Vygotskij L. S., Il processo cognitivo, Bollati Boringhieri, Torino, 1992. 351Satta, C., op. cit., pagg. 13,14.
352Cit. Dubar C., pagg. 97-98.
353Quì richiama il sistema di agire razionale rispetto allo scopo in linea con la definizione di Max Weber.
circolare. Nella prospettiva di Mead la mente è composta dall’io, dal me e dal sé: il me è l'organizzazione interiorizzata degli atteggiamenti degli altri nei nostri confronti, l'io è la risposta a questi atteggiamenti, mentre il sé si sviluppa dal continuo scambio tra l'io ed il me, ed è un'organizzazione interiorizzata autonoma e più complessa, elemento indispensabile per l'autoriconoscimento e per l'identità.355E' il sé che permette all'individuo
di essere oggetto delle proprie azioni, di potersi raffrontare agli altri, di osservare ed interpretare la realtà e di reagire alle situazioni in base alle indicazioni che riceve da ciò che lo circonda.
Le tappe della socializzazione partono secondo Mead dall'assunzione da parte del bambino dei ruoli interpretati da chi lo circonda (altri significativi) che il bambino non imita passivamente, piuttosto li ricrea, all'assunzione dei ruoli organizzati, dove l'altro diventa la forma di organizzazione dei modi di agire il gruppo, la comunità (altro generalizzato) per finire con il riconoscimento che si ha come membro di una società, non come membro passivo che ha interiorizzato i valori e ruoli, ma come membro attivo che svolge un ruolo utile e riconosciuto. Secondo Mead “socializzandosi, gli individui creano la società tanto quanto riproducono la realtà”.356
La società si costruisce restando fedele alla propria comunità solo attraverso “l'azione coordinata di individui socializzati che costruiscono e inventano nuove relazioni, produttrici di sociale”357.
Il pensiero di Mead è anche il substrato delle successive teorizzazioni ad opera di Berger e Luckman. La socializzazione primaria è l'immersione nel mondo vitale quale conoscenza del mondo e universo simbolico e culturale, attraverso la quale il bambino acquisisce un sapere di base, per mezzo dell'apprendimento primario del linguaggio. La socializzazione secondaria è invece l'interiorizzazione dei sottomondi istituzionali e acquisizione dei saperi legati agli specifici ruoli, che può costituire una frattura con la socializzazione primaria quando i mondi appresi si discostino da quelli primari. Ciò richiede un duplice processo di mutamento della realtà e di destrutturazione/ristrutturazione dell'identità.
355Mead G.H., Mente, sé e società, Giunti, Firenze, 1996. 356Cit. Dubar, C., op. cit., pag. 118.
Berger e Luckman sostengono che l'identità è un fenomeno che nasce dalla dialettica tra l'individuo e la società e che proprio per questo è formata da processi sociali determinati dalla struttura sociale; ma, allo stesso tempo, le identità prodotte dall'azione reciproca di organismo, coscienza individuale e struttura sociale, a loro volta si ripercuotono sulla struttura sociale, conservandola, modificandola o rimodellandola358.
Nelle scienze sociali, il termine identità, è stato introdotto recentemente con molteplici varietà interpretative, fino alla messa in discussione dell'utilità della sua stessa definizione359.
L'identità può essere definita, nell'ambito delle scienze sociali, come “l'aspetto centrale della coscienza di sé, come rappresentazione della specificità del proprio essere individuale e sociale. E' l'appropriazione e la definizione, da parte del soggetto, delle caratteristiche specifiche della propria personalità e della collocazione di sé, in rapporto agli altri nell'ambiente sociale; è in sostanza il sistema di rappresentazioni in base al quale l'individuo sente di esistere come persona, si sente accettato e riconosciuto come tale dagli altri, dal suo gruppo e dalla sua cultura di appartenenza”360.
Le scienze sociali si caratterizzano, rispetto all'insieme delle discipline che focalizzano l'attenzione sul tema dell'identità, per la centralità dell'aspetto relazionale e intersoggettivo.
Per Sciolla, i concetti di carattere sociale, personalità di base e identità, pur affrontando il medesimo problema relativo al rapporto tra individuo e società, tra struttura sociale e personalità individuale, offrono soluzioni diverse. Mentre i primi due concetti si rifanno ad una concezione deterministica del loro rapporto (le strutture psichiche degli individui risultano plasmate secondo le esigenze della società), con il concetto di identità si stabilisce un nuovo rapporto tra individuo e società, che evidenzia l'interdipendenza tra la dimensione soggettiva e quella oggettiva (struttura sociale e culturale). Nelle scienze sociali il termine identità è quindi utilizzato per 358Berger P., Luckman T., op. cit., pagg. 255,257.
359Remotti F.,“L'Ossessione identitaria”, in “Rivista Italiana di Gruppoanalisi”, XXV, 2011.
360Cit. Tessarin N., Identità, in (a cura di) Demarchi F., Cattarinussi B., “Dizionario di Sociologia”, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI),1987, pag. 970.
descrivere il legame tra problematica macro (complessità del sistema sociale) e problematica micro (complessità dell'attore sociale e del processo decisionale)361.
Il concetto dell'identità tiene dunque conto della dimensione inter e intra soggettiva e può essere definito come “il risultato al tempo stesso stabile e provvisorio, individuale e collettivo, soggettivo e oggettivo, biografico e strutturale, dei diversi processi di socializzazione che, congiuntamente, costruiscono gli individui e definiscono le Istituzioni”362. Sono attinenti al concetto di identità quindi aspetti del
vissuto soggettivo e cioè come ci si vede (identità predicativa di sé) e rappresentazioni simboliche e loro rielaborazioni soggettive, ovvero come si viene visti dagli altri (identità attribuita dall'altro) nonché aspetti quali etichettamento, profezia autoavverante, transazioni tra identità virtuali, traiettorie vissute e identità attuali.
Fanno parte, insomma, del concetto di identità gli atti di attribuzione e gli atti di appartenenza, gli aspetti virtuali e gli aspetti reali, le transazioni tra identità attribuite o proposte e le identità assunte o incorporate; tra identità ascritte e identità desiderate. Se si guarda al processo relazionale si può dar vita a cooperazione e riconoscimenti o a conflitti e mancati riconoscimenti, mentre se si guarda al processo biografico si può verificare continuità e riproduzione o rotture e nuova produzione.363
Questo binario biografico e relazionale si congiunge nella misura in cui si tiene in giusta considerazione la dimensione spazio-temporale: “l'identità sociale non è trasmessa da una generazione a quella successiva; essa è costruita da ogni generazione in base alle categorie e posizioni ereditate dalla generazione precedente, ma anche attraverso le strategie identitarie messe in atto nelle istituzioni che gli individui attraversano e che contribuiscono a trasformare concretamente”.364