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I MINORI E LA PARTECIPAZIONE 1 I minori nella Costituzione e nell’ordinamento giuridico italiano

8. Servizio sociale e partecipazione dei minor

Dall'analisi del contesto normativo internazionale e italiano e dalla composita letteratura in materia emerge la necessità di individuare ed adottare specifiche strategie e grossi cambiamenti nella cultura politica, sociale e istituzionale in Italia. Le Istituzioni devono produrre le norme e creare o rinforzare la cultura istituzionale attraverso adempimenti sostanziali e formali, così come i tecnici del servizio sociale sono investiti di un compito riflessivo e teorico di non poco conto, ovvero lo studio dei modelli operativi che possano dare corpo e corso all’evoluzione culturale presente nelle leggi, quand'anche non precederle.

La necessità di individuare giusti spazi e modi per l'ascolto attivo dei bambini può essere intesa come un modo per ridurre la disparità di potere intergenerazionale403

all'interno di una visione democratica della società, e diventa ancor più essenziale per il servizio sociale, quando si debba confrontare con storie di vita contrassegnate spesso da situazioni di forte disagio, che richiedono interventi di sostegno familiare, di riparazione e di responsabilizzazione a seguito della commissione di un reato, e/o di collocamento fuori dalla famiglia. Consentire ai bambini e ai ragazzi che si trovino in tale situazioni di poter dire la loro rispetto al proprio progetto di vita richiama direttamente il tema dell'autopercezione e dell'autostima. “Affinché si possano avviare progetti di tutela e di aiuto efficaci non si può prescindere dalla partecipazione del minore, la cui narrazione può fornire punti di vista alternativi, talvolta originali, ma non per questo inaccoglibili e/o inattuabili”404.

402Rodger J., Il nuovo welfare societario. I fondamenti delle politiche sciali nell'età postmoderna, Edizioni Erickson, Trento, 2004, pagg. 101-116.

403Belotti V., Rappresentare le voci dei bambini, in “Minori e Giustizia” Franco Angeli, Milano, 2013, n° 3, pagg. 7-17.

404Palomba F., Piazza M., Servizio sociale e partecipazione dei minori alle decisioni che li

riguardano: perchè l'advocacy, in “Esperienze di giustizia minorile” Ministero della Giustizia,

In altri termini, per il raggiungimento di risultati positivi occorre quindi comprendere le opinioni, gli orientamenti e le prospettive future dei minori; al contrario, escluderli dai processi decisionali accresce le probabilità di fallimento, per i vissuti di impotenza e scarsa autostima che ciò potrebbe ingenerare.

La partecipazione passa dall'ascolto, ma affinché possa dirsi pienamente compiuta necessita di ulteriori azioni come la sicurezza che le opinioni espresse siano realmente state prese in considerazione, nonché l'esplicitazione delle motivazioni che sottendono il loro accoglimento o respingimento nella formulazione della decisione.

Anche questo fa parte della relazione di aiuto tra l'assistente sociale e il minore, relazione che ha a che fare con il cambiamento, non sempre atteso o desiderato.

Il prendersi cura, all'interno della relazione d'aiuto soprattutto con i minori, può avere il significato, secondo Casartelli405 di accogliere le emozioni, tollerare l'ansia che

deriva dalla propria situazione, dal cambiamento così come dal non agire, sollecitare la capacità di pensiero e attivare uno spazio relazionale all'interno del quale il minore è nella condizione di offrire le proprie rappresentazioni di sé, della propria storia di vita e dei problemi da affrontare. L'assistente sociale in questo senso è un testimone privilegiato, e sostiene il processo narrativo e la ricerca di senso e significato della storia.

E', questo, l'aspetto relazionale del lavoro, forse il più impegnativo perché costringe il professionista a porsi costantemente in gioco nella relazione con l’altro; ma è anche il modo più corretto per poter svolgere in maniera autentica il mandato delle professioni di aiuto.

Come già detto, il servizio sociale professionale è profondamente radicato nella cultura dell'autodeterminazione e dell'autonomia personale che richiede di sviluppare una tensione verso il lavoro con (e non su) la persona, i gruppi e la comunità. Il senso della pratica professionale non è quindi fornire prestazioni, ma comprende “un sistema complesso di interventi realmente personalizzati, in cui la 405Casartelli A., Accompagnare il cambiamento nei servizi, in (a cura di) De Ambrogio U., Pasquinelli S., “Progettare nella frammentazione. Approcci, metodi e strumenti per il sociale”, i Quid , Prospettive sociali e sanitarie, IRS, Milano, 2010, n° 6, pag. 77 e segg.

relazione professionale e di fiducia che si instaura con le persone e con la società, diventa il principale strumento e veicolo di empowerment”406.

L'esercizio professionale degli assistenti sociali si propone dunque come “tra- mite tra le persone che hanno bisogno di aiuto e le risorse sociali, tra l’individuo e la società”, per favorirne i collegamenti ed aiutare le persone a sviluppare le proprie ca- pacità, nella prospettiva di "rendersi consapevoli dei bisogni" e "prendere in mano le soluzioni" più opportune per sé”.407

Ranieri aggiunge che, nell’ambito del lavoro sociale, si ha a che fare con problemi di vita e non con problemi tecnici. La differenza è che, mentre questi possono essere superati attraverso soluzioni oggettive e predeterminate, i problemi di vita riguardano lo star bene in senso pieno e non possono prescindere dalle conoscenze esperienziali, e quindi dal sapere soggettivo delle persone, dal come loro si percepiscono in base alla loro esperienza di vita, dall’idea che hanno di ciò che possa essere bene per sé, dalla loro motivazione al cambiamento.408

E' nella direzione della democratizzazione del servizio sociale che si è assistito all'evoluzione di modelli teorici sempre più orientati alla reale partecipazione dell'utente e a modalità operative ripensate proprio a partire dal rapporto tra il professionista assistente sociale e la persona minore d'età.

Le linee guida elaborate dal Consiglio Nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali, per esempio, individuano specifiche azioni a garanzia del minore e della famiglia, ponendo sempre in primo piano l'informazione e la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti e, in particolare all'art. 13, l'ascolto del minore. Si specifica che è importante “ascoltare i vissuti, i sentimenti, i problemi e le aspettative del minore, accoglierlo in un luogo idoneo e considerare per quanto possibile i suoi desideri”409

La pratica professionale si srotola attraverso l'ascolto attivo in tutto il processo di aiuto, si tratti della fase di raccolta delle informazioni, della fase valutativa, di 406Braida C., Palomba F., Professionisti motivati e responsabili, pronti a cambiare per rimettere al

centro la persona”, in “Etica per le professioni, Welfare nuova risorsa”, 2013, n°1, pagg. 48-56.

407Gui L., Servizio sociale e partecipazione comunitaria autentica: un riferimento al contributo

teorico di Guliano Giorio, in (a cura di) Lazzari F, Merler A., Franco Angeli, Milano, 2003.

408Ranieri M.L., Il valore delle conoscenze esperienziali, in (a cura di ) Donati P., Folgheraiter F. e Ranieri M.L., “La tutela del minori”, Edizioni Erickson, Trento, 2011, pagg. 87-100.

409Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali, Linee guida per la regolazione dei processi di

quella contrattuale o di verifica e riprogettazione.

Nel lavoro con i minori l'assistente sociale ha necessità di usare una speciale lente, che è quella del loro superiore interesse. “Tutto ciò che apprende, scambia, condivide con il minore è cioè la base su cui si fonda il lavoro di accompagnamento, all'interno o di un procedimento penale, civile, amministrativo o extragiudiziale o di quella cornice tesa a garantire quanto definito nell'art. 3 della Convenzione ONU”410.

Ritorna all'attenzione il tema delle due linee di tendenza (protezione/protagonismo) che sono già state trattate, la cui traduzione operativa non può che essere quella di riconoscerle in una dimensione dinamica, perché entrambe coinvolgono il minore in uno spazio che valorizza e tiene in considerazione le sue capacità, le sue motivazioni e le sue aspirazioni, in cui la personalizzazione dell'intervento può essere letta come garanzia di partecipazione e protagonismo.

In questo senso, pensando alle dimensioni protezione/partecipazione, ma soprattutto richiamando il principio alla base dell'intervento sociale con i minori che è quello del loro superiore interesse, ci si può chiedere se, in una relazione così orientata, l'ascolto possa essere davvero neutro e il minore possa sentirsi davvero libero di esprimere le sue opinioni.

Questa riflessione nasce dal fatto che possono verificarsi situazioni in cui il minore non riesce a esprimersi appieno perché, per esempio, non vuole deludere l'assistente sociale o perché vive la sua presenza in sintonia o in conflitto con la sua famiglia, con la scuola o con altri suoi contesti di vita.

A partire da questa riflessione si è fatto strada anche in Italia l'intervento di advocacy indipendente, che non è sostitutivo del lavoro del servizio sociale professionale, ma bensì una importante risorsa alla quale si può accedere in alcuni momenti, in particolare quando per esempio debbano essere assunte decisioni rilevanti o quando l'assistente sociale ritenga opportuno che sia importante per quel ragazzo/bambino poter avere un suo portavoce.

L'intervento di advocacy ha infatti come obiettivi principali garantire al minore di potersi esprimere liberamente ma anche di potersi accertare che le sue opinioni siano prese nella dovuta considerazione. La restituzione rispetto al suo 410Palomba F., Piazza M., op. cit.

coinvolgimento è un momento fondamentale e necessario per scongiurare che si sviluppi, agli occhi del bambino o del ragazzo, un non-sense rispetto al valore e alla ragione del suo coinvolgimento411.

Il modello attinge in particolare dall'esperienza anglosassone. Intorno agli anni '80/'90, soprattutto nei Paesi anglosassoni, si fa sempre più strada negli addetti ai lavori e nella società civile l'idea di pensare a interventi di accompagnamento e sostegno ai minori, rispettosi del diritto ad essere protagonisti del loro processo di crescita, così come partecipi dei processi decisionali che li riguardano. Tale necessità ha portato all'adozione di una nuova filosofia di lavoro, in linea con le convenzioni internazionali, tradotta in piani, programmi, interventi che, dapprima in forma embrionale e sperimentale, sono stati poi adottati e finanziati, anche per la validità che hanno espresso nei termini di efficacia ed efficienza, dimostrata da numerose ricerche valutative.

Molti di questi programmi sono stati tradotti in regole e la loro funzionalità è stata riconosciuta tanto da portare alla nascita di appositi servizi con carattere di stabilità. Questa realtà ha inciso pesantemente nella pratica del servizio sociale la cui azione si è rivolta a sviluppare detti servizi e a utilizzarli nell'attività di case management, se non ad avviarli e accompagnarli, anche attraverso la supervisione.

L'advocacy è un modello che nasce per assicurare che la voce delle persone, e in particolare degli utenti dei servizi, sia presa in dovuta considerazione, sopratutto quando sia necessario assumere, da parte delle Istituzioni, decisioni che li riguardano. Herbert, definisce l'advocacy come “l’azione di parlare a sostegno delle preoccupazioni e dei bisogni dell’uomo. Quando le persone sono in grado si parlare per sé l’advocacy è finalizzata ad assicurarsi che le persone vengano ascoltate; quando hanno difficoltà ad esprimersi, l’advocacy si propone di aiutarli; quando non sono in grado di farlo per nulla, significa sostituirsi e parlare per loro conto”412.

411Cerantola L., “Servizi Sociali a misura di bambino e di famiglia”, in “Cittadini in Crescita”, Istituto degli Innocenti, Firenze, 2001, n°3, pagg. 85 e segg.

412 Herbert M.D., Standing Up for Kids Case Advocacy for Children and Youth, Strategies and

La posizione di fragilità all'interno della società in cui si possono trovare in certi momenti della loro vita le persone, ancor più i minori, soprattutto quando necessitino di interventi a loro tutela quando sono altri contesti, e non quelli naturali, a dover assumere le decisioni importanti sul loro futuro, richiede un'importante attività di affiancamento e interventi di advocacy. Questi ultimi possono infatti incidere favorevolmente sulla comprensione e sull'ascolto, talvolta trascurati sia per questioni legate a complesse relazioni di potere e quindi a questioni legate a ruoli e appartenenze, sia per una ragione culturale che vede i minori immaturi e incapaci di sapere e di rappresentare cosa sia meglio per loro o come soggetti da proteggere per la loro situazione di fragilità e che li ritiene oggetti di intervento più che soggetti portatori di diritti. In un tale quadro, non è così infrequente che il minore non possa o riesca a far emergere la propria opinione413.

L’advocacy può, da questo punto di vista, essere intesa come una pratica professionale che si propone di rappresentare il punto di vista e i diritti dei minori, sostenendoli nel partecipare alle decisioni che li riguardano.414

Si differenzia quindi dalla rappresentanza legale e dall'assessment partecipata

415, perché queste non possono configurarsi come azioni dirette a portare la voce delle

opinioni del minore e i relativi operatori sono professionalmente e giuridicamente responsabili e tenuti a prendere delle decisioni sulla sua vita e su quella dei familiari. Allo stesso tempo anche i bambini e i ragazzi potrebbero non riuscire a essere del tutto autentici, sapendo di essere oggetto di tutela o di controllo o che i propri genitori sono oggetto di valutazione da parte di quegli stessi operatori.

E' invece ciò che assicura l'intervento di advocacy, che si caratterizza per l'indipendenza (l’operatore di advocacy non deve avere responsabilità di decisione sugli interventi nei confronti del minore e della sua famiglia). Ciò significa che non deve convincerlo della bontà di una determinata scelta, ma svolge il compito di 413Dalrymple J., La voce dei minori. Partecipazione e interventi di tutela, in (a cura di) Donati P., Folgheraiter F., Ranieri M.L., “La tutela dei minori”, Edizioni Erickson, Trento, 2011, pagg.129- 138.

414Boylan J., Dalrymple J., Cos’è l’Advocacy nella tutela minorile, Ed. Valentina Calcaterra, Edizioni Erickson, Trento 2009.

rappresentare il suo punto di vista, anche quando fosse in contrasto con quello dei familiari o degli operatori, di assisterlo affinché possa prendere una decisione consapevole e scegliere come riferire le proprie determinazioni, aspirazioni, desideri, agli adulti che dovranno prendere delle decisioni sulla sua vita416.

In sintesi, l’advocacy si propone di portare la voce417 dei minori nei contesti

formalichesi prendono cura di lui e dove si prendono le decisioni sul suo futuro e ha la finalità di assicurare che i bambini abbiano adeguate informazioni per potersi fare una propria opinione, garantire loro l’opportunità di esprimere il proprio punto di vista, fare in modo che la loro opinione sia considerata con rispetto e far sì che i bambini sappiano che la loro opinione verrà presa in considerazione.

L'advocacy è anche uno strumento utilizzato nell'approccio delle family group conference: un modello di lavoro con le famiglie nelle situazioni che necessitano di interventi a tutela dei minori.

L'innovatività di questo modello di decision making sta nel coinvolgimento del minore e della sua famiglia al processo decisionale, che si traduce nell'individuazione, a cura della stessa famiglia, di un progetto di aiuto personalizzato. Per famiglia si intendono tutte le persone ritenute significative, individuate e invitate dal nucleo familiare o da chi detiene la responsabilità genitoriale. Le riunioni di famiglia, alle quali partecipa un facilitatore, hanno lo scopo di comporre il quadro della situazione, individuare le difficoltà e trovare delle soluzioni che spesso prevedono specifici impegni a carico ma volontariamente assunti dalle stesse persone che compongono quel setting. Il minore partecipa, accompagnato e supportato dal suo portavoce418.

L'advocacy e le family group conferencing sono approcci accomunati dal coinvolgimento attivo dei minori, che vedono i bambini soggetti attivi e capaci di esprimere le proprie idee su cosa è bene per sé, e di instaurare significative relazioni di reciprocità e fiducia con gli adulti. Sono approcci centrati sul minore, che partono

416Ivi, pag. 10.

417“Portavoce” è la traduzione in italiano proposta da Calcaterra V., per operatore di advocacy.

418Sul tema, Maci F., Lavorare con le famiglie nella tutela minorile. Il modello delle family group

dalla rappresentazione che il minore ha e dà del suo problema (che non sempre è quello individuato dagli operatori), che si fondano sul suo punto di vista e sui suoi desideri e che si declinano in relazioni dinamiche, interattive e capaci di fondare l'aiuto sulla fiducia.

“Trasformare i sentimenti di impotenza dei minori in possibilità di riprendere il controllo della propria vita ”mediante processi relazionali diversi tra minore e operatori, “significa promuovere processi di empowerment che restituiscano dignità e valore al minore e al lavoro degli operatori”419