• Non ci sono risultati.

La natura spesso collaborativa del rapporto soldati versus ribelli aiuta a comprendere le dinamiche di uno stato in declino attanagliato da crisi e corruzione, e le risposte messe in campo.

Le origini della crisi dello stato-nazione in Sierra Leone vanno ricercate in quelle più generali che hanno interessato lo stato-nazione africano indipendente e precedentemente delineate (I Capitolo). Certi elementi di questa debolezza strutturale sono stati particolarmente acuti in Sierra Leone, come la presenza di un’economia rivolta all’esportazione e di una classe compradora straniera, l’alto livello di corruzione delle élites politiche e la conseguente nascita di un sistema statale parallelo, ossia lo “shadow state”. In sostanza, lo sfruttamento straniero in epoca coloniale e post-coloniale si era combinato con una cattiva gestione delle risorse socio-economiche e con l’accumulazione selvaggia, portate avanti con politiche

20

Idem, pp. 107-131.

21

179

etniche e di alienazione delle proprie risorse, che avevano inevitabilmente condotto all’impoverimento e alla destabilizzazione sociale22. Alla vigilia della ribellione del RUF, la recessione aveva profondamente colpito tutti i settori della popolazione, con un netto peggioramento delle condizioni di vita che avevano posizionato il paese come fanalino di coda nella lista dell’indice di sviluppo umano.

Secondo molti storici, furono gli anni di Stevens (1968-85), definiti i “Seventeen-year plague of locust”23 che aprirono la strada della crisi. Abile ed astuto, Stevens sosteneva che “Force is the only language the ordinary man understands”24. Egli agiva ora con le lusinghe e la corruzione, ora con il pugno di ferro, ricorrendo alle false accuse di tradimento e alla condanna a morte degli oppositori, nonché al rifugio temporaneo nella vicina Guinea nei casi più disperati. L’erosione istituzionale fu portata avanti con una certa razionalità, svuotando il parlamento di legittimità, intimidendo o corrompendo i giudici e basandosi sull’uso spregiudicato delle licenze governative di estrazione. In definitiva, il sistema di accumulazione prescelto prevedeva la sistematica conversione delle risorse pubbliche nazionali in ricchezza privata25.

Quando Stevens, nel 1985, lasciò le redini del potere nelle mani del successore da lui designato, il fedele generale Joseph Momoh, la situazione generale mutò di poco. La recessione economica si fece più acuta – in concomitanza con una inferiore disponibilità di risorse esterne e di aiuti allo sviluppo - e alla borghesia libanese nel ruolo di partner commerciale dell’élite sierraleonese, Momoh sostituì i non meno rapaci israeliani. Alle nazionalizzazioni dell’epoca di Stevens, subentrò un’ondata di privatizzazioni e le casse dello stato furono prese in consegna dalla

22

Abdel-Fatau Musah, “A Country Under Siege: State Decay and Corporate Military Intervention in Sierra Leone”, in Abdel-Fatau Musah - J. ‘Kayode Fayemi (eds.), Mercenaries: An African Security Dilemma, London, Pluto Press, 2000, p. 79.

Anche il cleavage etnico Nord-Sud, in particolare tra i Temne e i Mende, ha contribuito ad indebolire storicamente il quadro istituzionale della Sierra Leone indipendente. Se con le leadership di Albert e Milton Margai (provenienti dal Sud del paese), subito dopo l’indipendenza, iniziarono a consolidarsi le posizioni del gruppo etnico Mende e del Sierra Leone People’s Party (SLPP) nel governo, nella burocrazia e nell’esercito, si ebbe un ribaltamento con l’istaurarsi di Siaka Stevens al potere, a partire dal 1967. L’occupazione dei posti di rilievo da parte di Stevens e del suo All People’s Congress (APC), espressione degli interessi dei Temne del Nord, sancì l’instaurazione di un vero e proprio regime intenzionato a ricorrere ad ogni stratagemma pur di mantenersi al potere. Si inserisce in quest’ottica la decisione di Stevens di demolire l’influenza del SLPP nella sua roccaforte di Kailahun, da dove partirà la ribellione del RUF, attraverso lo smantellamento della ferrovia: il Sud del paese fu lasciato senza infrastrutture e deliberatamente abbandonato. Una scelta di cui lo stesso Stevens ebbe a pentirsi e che aprì la strada a quel senso di frustrazione e ingiustizie su cui faranno leva i ribelli. Si veda anche Lansana Gberie, A Dirty War in West Africa, cit., p. 34.

23

Cfr. John D. Hirsch, Sierra Leone: Diamonds & the Struggle for Democracy, Boulder, (Co.), Lynne Rienner, 2001, p. 29.

24

La frase è citata in Jimmy D. Kandeh, “Ransoming the State: Elite Origins of Subaltern Terror in Sierra Leone”, Review of African Political Economy, Vol. 81, No. 26, 1999, p. 359.

25

180

Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale26. Il governo era sull’orlo della bancarotta, anche in seguito al coinvolgimento militare in Liberia in seno a ECOMOG. Fu proprio una protesta militare, nell’aprile del 1992, dei veterani di ECOMOG in attesa di mesi arretrati di stipendio che indusse il pavido Momoh ad una fuga ignominiosa nella vicina Guinea.

Si trattò del primo golpe militare e dell’inizio della crisi. Il National Provisional Ruling Council (NPRC) ora al potere fu inizialmente accolto con entusiasmo da coloro che si vedevano liberati da quasi venticinque anni di sclerotica dittatura dell’APC, ma ben presto si dimostrò incapace sia di governare la crisi economica che di fronteggiare la minaccia del RUF27. Piuttosto, iniziarono quelle relazioni pericolose con i ribelli che porteranno al fenomeno dei sobels e alla definitiva collusione tra RUF e potere politico-militare. Guidato da militari poco più che ventenni, come Valentine Strasser, il NPRC fallì sia nel rovesciare quel sistema patrimonialista che, come il RUF, dichiarava di aborrire, sia nell’ottenere consensi in quelle aree che l’APC aveva abbandonato a se stesse. Il ricorso ai servizi di EO testimonierà l’incapacità del NPRC in materia di sicurezza. Emerse chiaramente come NPRC e RUF fossero due facce della stessa medaglia: accomunati dal rifiuto di un sistema politico corrotto, ma anche da quelle contraddizioni che impedivano loro di fare a meno di quel sistema.

L’arrivo al potere nel 1996, dopo regolari elezioni, di Ahmed Tejan Kabbah, un ex funzionario delle Nazioni Unite esponente di un redivivo Sierra Leone People’s Party (SLPP), dovette considerarsi una esperienza effimera. Se la limitata parentesi democratica non fu in grado di dimostrare l’emancipazione di quel governo dalla cultura politica corrotta e cleptocratica propria della dittatura, il golpe del 26 maggio del 1996 non diede adito a dubbi. Il neo-proclamato Armed Forces Ruling Council (AFRC) - con la nomina di un ex militare golpista alla presidenza, Johnny Paul Koromah (liberato dagli insorti dalla Pademba Road Prison dove era recluso per un tentativo di colpo di stato) e del leader e fondatore del RUF Foday Sankoh (un ex

26

Joseph Momoh, riconosciuto come un leader inetto anche se meno autoritario del suo predecessore, sposò in pieno il neo-liberismo, in un paese la cui politica economica non bastava lontanamente a soddisfare i bisogni primari dei suoi cittadini. In un’occasione, Momoh affermò “Education in not a right, but a privilege”. Cfr. Paul Richards, Fighting for the Rain Forest, cit., p. 36.

Mentre i figli delle élites venivano mandati a studiare in Gran Bretagna, i criteri di accesso all’università più importante del paese, il Fourah Bay College – la prima università e per anni autentico centro pulsante della vita culturale di tutta l’Africa occidentale – premiavano regolarmente i più ricchi e coloro che potevano vantare un contatto con i politici.

27

Le coscrizioni in massa par far fronte alla minaccia ribelle, già avviate sotto il regime di Momoh, riempirono l’esercito di nuovi elementi lumpen e di adolescenti, alimentando l’inaffidabilità delle forze armate e il crescente fenomeno dei bambini-soldato.