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Nel dibattito sulla privatizzazione della sicurezza le difficoltà di controllo sono strettamente interconnesse con le questioni di neutralità ed affidabilità.

La natura corporativa delle PMC e gli stretti legami con compagnie multinazionali dagli svariati interessi economici (petrolio, diamanti, minerali pregiati, costruzioni, armi e munizioni) permettono di rilevare il ruolo essenziale dei neo-mercenari nella scalata definitiva alle risorse del continente africano. Questi timori hanno spinto a definire le PMC forze ri-colonizzatrici pronte a diventare il braccio armato delle diverse compagnie petrolifere e minerarie. Nel quadro di una spietata concorrenza e della prevedibile rivalità nella corsa alle ricchezze africane12, si pensa altresì che il coinvolgimento delle PMC possa prolungare i conflitti, indebolire il controllo statale sugli eserciti nazionali e fornire legittimità a quegli attori non-statuali armati che saranno responsabili esclusivamente verso i propri clienti, i propri manager e i propri azionisti. In questo caso la privatizzazione della

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Diversi scandali hanno segnato negli ultimi anni la stretta collaborazione instauratasi tra l’esercito statunitense e i contractors, come l’abbattimento, per errore, di un piccolo aereo di missionari nei cieli del Perù, ad opera di una PMC americana impegnata nella lotta al narcotraffico. Quasi tutti i casi si sono risolti con la totale impunità dei responsabili, essendo difficile identificare le responsabilità e i quadri normativi da applicare. Il più grave di questi scandali ha coinvolto la DynCorp in Bosnia, il cui personale è stato accusato di traffico di armi, violenza sessuale e sfruttamento della prostituzione: un responsabile della compagnia giunse a filmarsi mentre abusava di due donne. Nessuno fu mai processato, anche perché la compagnia, godendo di una forma di extra-territorialità, mise i colpevoli al riparo della giustizia bosniaca. Al contrario, i colleghi che avevano svelato il crimine furono puniti con il licenziamento.

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Alex Vines, “Mercenaries, Human Rights, and Legality”, in Abdel-Fatau Musah - J. ‘Kayode Fayemi (eds.), Mercenaries, cit., pp. 188-193.

Eroi della nuova colonizzazione - “gli dei dell’ingordigia” come li ha definiti Pratap Chatterjee (“G.O.D.s of Greed: Gold, Oil, and Diamonds”) - sono il britannico Tony Buckingham, a capo di un impero economico già in parte analizzato, e il franco-mauriziano Jean Raymond Boulle che, da semplice commerciante si è trasformato negli anni in uno dei maggiori finanzieri con interessi minerari dell’Africa. Per una dettagliata analisi delle rivalità e le lotte delle maggiori compagnie minerarie per accaparrarsi le ricchezze dell’Africa, si veda Johan Peleman, “Mining for Serious Trouble: Jean Raymond Boulle and His Corporate Empire Project”, in Abdel-Fatau Musah - J. ‘Kayode Fayemi (eds.), Mercenaries, cit., pp. 155-169 e Pratap Chatterjee, “Mercenary Armies and Mineral Wealth”, Covert Action Quarterly, Fall 1997.

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sicurezza assume un profilo strategico dal punto visto politico-economico internazionale. L’alleanza tra i diversi attori, evidenziata nel secondo capitolo a proposito della Sierra Leone, si fonda in termini economici sul baratto del debito del paese cliente con le sue ricchezze, ad appannaggio degli attori commerciali e militari stranieri - una manovra che Singer assimila, nella teoria economica, al “debt equity

swap”13. In termini politici, questo meccanismo equivale ad un “imperialismo su invito” in forma reiterata, in cui colui che controlla l’accesso al mercato internazionale (i potentati economico-militari stranieri) acquisisce una posizione di forza sulle controparti locali14.

Queste considerazioni stridono con la presunta “neutralità” delle PMC in quanto forze del mercato. Infatti, i clienti della sicurezza privata devono essere dotati di sufficiente capacità finanziaria, ossia devono essere ricchi di risorse petrolifere e minerarie. Senza la cospicua disponibilità finanziaria derivante dalle risorse della Sierra Leone e le straordinarie possibilità di profitto, difficilmente si sarebbe potuto immaginare l’intervento di EO. La tesi cui si è pervenuti, pertanto, è che solo paesi ricchi di minerali preziosi o comunque in grado di offrire grosse possibilità di sfruttamento economico potranno sostenere finanziariamente l’intervento di PMC straniere. Tutto ciò dimostra ancora una volta la natura essenzialmente interessata dei servizi resi dalla PMC e la difficoltà di considerare gli eserciti privati affidabili forze di peacekeeping.

Inoltre, la commercializzazione dei servizi di sicurezza obbedisce strettamente a logiche capitalistiche e ad una concezione delle relazioni internazionali di chiaro stampo occidentale: non a caso Gran Bretagna, Stati Uniti e Sudafrica (oltre che Francia Israele, etc.), i paesi di origine delle maggiori PMC appartengono, in generale, alle medesime alleanze geopolitiche. Difficilmente, una PMC occidentale si metterebbe al servizio di gruppi islamici fondamentalisti, di guerriglie di estrema sinistra, o di “stati canaglia”. Questa lettura rientra nella più vasta interpretazione delle odierne PMC come strumenti di politica estera dei governi occidentali.

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Peter W. Singer, Corporate Warriors, cit., p. 167.

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L’espressione “Imperialism by invitation” si deve a Michael Doyle e al suo Empires, Ithaca (Ny.), Cornell University Press, 1986. Essa si riferiva al ruolo delle élites pre-coloniali africane del XIX secolo che, vivendo le zone costiere dell’Africa occidentale, furono le prime ad stringere relazioni commerciali con l’Europa: queste alleanze con attori stranieri venivano utilizzate per rafforzare le proprie posizioni all’interno. Denotando un certo parallelismo con la Sierra Leone degli anni novanta, terra di conquista degli eserciti privati, nel 1881 i capi locali del Camerun scrissero al Primo Ministro britannico nei seguenti termini: “We are tired of governing this country ourselves, every dispute leads to war, and often to great loss of lives, so we think it is best thing to give up the country to you British men who no doubt will bring peace, civilization, and Christianity to the country”. Doyle è citato in William Reno, “Internal Wars, Private Enterprise, and the Shift in Strong State – Weak State Relations”, International Politics, Vol. 37, No. 1, March 2000, pp. 69-70.

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L’accesa rivalità tra le compagnie occidentali, specchio, se vogliamo, della competizione tra i diversi i paesi occidentali in Africa (prima fra tutte quella tra Francia e Stati Uniti) e nel mondo, non permette tuttavia di definire esauriente questa interpretazione.

Resta il fatto che la stessa teoria delle relazioni internazionali, con i suoi strumenti tradizionali, risulta impreparata ad affrontare la privatizzazione della sicurezza: la struttura d’affari rappresentata da questa industria, il venir meno del concetto weberiano di sovranità, l’esistenza di un potere militare sempre più diffuso contribuiscono ad alterare i tradizionali equilibri di potere. Il coinvolgimento di attori non statuali muta il rapporto tra “stato forte” e “stato debole”, attraverso il processo di empowerment che fornisce legittimità al ruolo degli intermediari armati; parimenti, con la privatizzazione dell’assistenza militare e con le PMC diminuisce la dipendenza tra i diversi membri all’interno di un’alleanza: ad esempio, il disimpegno delle SADF e delle truppe cubane a fianco, rispettivamente, dell’UNITA e del governo del MPLA in Angola, alla fine degli anni ottanta, è stato immediatamente colmato da altri attori militari (mercenari, PMC) provenienti dall’estero. Un’altra sfida agli equilibri internazionali è rappresentata dal timore di possibili relazioni tra PMC e reti criminali o terroriste. Se questi rischi - nonché l’interesse di alcune compagnie a traffici illeciti di ogni sorta - erano già paventati nei numerosi rapporti dell’incaricato speciale dell’ONU sul problema dei mercenari, occorre aggiungere che dopo l’11 settembre la possibilità che PMC non controllate da alcun governo o compagnie “canaglia” addestrino gruppi islamici integralisti costituisce una seria preoccupazione per i governi occidentali e soprattutto per gli Stati Uniti15.

In ordine, poi, alle preoccupazioni di un’assenza di affidabilità dei neo- mercenari, la non imputabilità degli atti compiuti da queste forze, la provenienza dei mercenari, la disponibilità di alcuni di essi a partecipare ai combattimenti o a passare da una parte all’altra in conflitto rappresentano ancora dei tabù insormontabili per molte società ed opinioni pubbliche. E’ facile rilevare che la natura commerciale dell’assistenza offerta, e quindi la permanenza di una compagnia in una regione, dipendono unicamente dalla capacità finanziaria del governo committente; se la compagnia ritiene di trovarsi in una situazione di grave rischio, o se va incontro a perdite ritenute eccessive, può optare per un ritiro anticipato. In Sierra Leone, GSG

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Alcune PMC come Spearhed Ltd. hanno fornito assistenza ai cartelli della droga di Colombia e Messico in materia di controspionaggio e warfare elettronico. La britannica Sakina Security Ltd, invece, ha assistito sull’uso di armi ed esplosivi gruppi riconducibili alla jihad islamica, mentre la PMC fondata dall’americano Kelvin Smith addestrò alcuni membri di un gruppo radicale che in seguito confluirono in al-Qaeda. Cfr. Peter W. Singer, Corporate Warriors, cit., p. 181.

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rifiutò di adempiere agli obblighi previsti dal contratto dopo che in un’imboscata del RUF venne ucciso il suo comandante. In breve, tutti i fattori che inducono ad una interruzione delle operazioni non tengono in alcun conto le conseguenze sulla stabilità16.

Altre questioni di affidabilità sono legate alla possibilità che gli interessi di un cliente e quegli della compagnia non coincidano: questo nodo fondamentale ricade nel paradosso rappresentato dalla sicurezza privata, ovvero la pretesa di voler assicurare la pace e la stabilità attraverso gruppi che per definizione lucrano sulle situazioni conflitto. Xavier Renou fa notare che l’unica forma di affidabilità possibile delle PMC non è quella verso i propri clienti, bensì verso i propri azionisti17. Dall’intervento di EO in Sierra Leone si possono trarre diversi esempi di quanto gli interessi commerciali influenzino negativamente le decisioni militari: liberata Freetown dal RUF, la decisone militarmente più corretta sarebbe stata inseguire i ribelli nella giungla; la compagnia sudafricana, invece, diresse i propri uomini nell’area di Kono per liberarla e permettere a DiamondWorks di riprendere le attività estrattive. In un’altra occasione, EO decise di liberare con l’uso della forza tre impiegati della consociata Lifeguard caduti nelle mani del RUF nel gennaio 1996: l’operazione fallì e costò la vita a moltissimi civili.

In sintesi, sono due i rischi che si profilano nel rapporto tra compagnia e cliente: quello, già esaminato, dell’abbandono della compagnia, nel caso in cui questa reputi che siano venute meno le condizioni (economiche, politiche, militari) che avevano portato all’intervento, e quello della subordinazione del cliente alla PMC. Il caso di EO in Sierra Leone ricade nella seconda tipologia, se si considerano come fattori probanti il continuo ricorso ad agenti privati stranieri da parte delle

élites politiche, la pesante influenza di EO nei processi decisionali del governo e il

ricrearsi di meccanismi di sfruttamento neo-coloniale. Non a caso, l’ipoteca delle proprie risorse nazionali ad agenti esterni, senza alcuna considerazione per costi e conseguenze future, è parso a molti osservatori “A Faustian bargain”18. EO esercitò costantemente una pesante influenza nella politica interna di Freetown. Si ritiene che

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David Shearer, “Private Armies and Military Intervention”, Adelphi Papers N. 316, London, International Institute for Strategic Studies, February 1998, p. 70.

17

Xavier Renou, La privatisation de la violence, cit., pp. 171-173 e ss.

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Questo patto scellerato, evidenziato da Karheen Pech e Yusef Hassan (“Sierra Leone’s Faustian Bargain”, Weekly Mail & Guardian, May 20, 1997), si basa su quel sistema triangolare di condivisone dei profitti analizzato da William Reno: lo stato cliente che fornisce la legittimità alla PMC e ipoteca le sue risorse sotto forma di pagamento; la PMC che garantisce l’uso della forza; le multinazionali straniere che contribuiscono a finanziare l’intervento armato e incassano i proventi delle attività estrattive. Tuttavia, le stesse élites sierraleonesi erano parte integrante di questo sistema.

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nel 1996 la PMC abbia contribuito a rovesciare il regime di Strasser, dal quale era stata originariamente chiamata ad intervenire, a favore del generale Maada Bio, considerato più capace e un miglior partner dai dirigenti della compagnia. Sebbene non sia trapelato nulla sulla portata di tale coinvolgimento, pare che EO in realtà sapesse del golpe ma non ne rivelò i piani né vi si oppose, malgrado fosse tenuta a farlo in base agli accordi19.

Nel momento in cui si inseriscono considerazioni diverse da quelle militari, non c’è da stupirsi se l’intervento di una PMC può in realtà alimentare e prolungare il conflitto. Si sospetta che Lifeguard avesse trasferito nelle mani del RUF, per ordine della stessa Branch Energy, armamenti per decine di migliaia di sterline, all’interno di un patto di mutuo rispetto: in cambio delle armi, il RUF si sarebbe impegnato a non ostacolare le attività estrattive nella regione controllata dai ribelli20.

Ancora una volta, la contraddizione tra bene pubblico e utilità privata emerge in tutta la sua gravità nel momento in cui il monopolio dell’uso della violenza organizzata passa dalle mani di un soggetto pubblico ad uno privato.