Alle PMC si suole riconoscere la capacità di stabilizzare le aree di conflitto in cui sono intervenute; a ben vedere, sarebbe più corretto affermare che sono in grado di fornire sollievo momentaneo a regimi in condizioni disperate. Il risultato conseguito da EO - avere costretto l’UNITA in Angola ed il RUF in Sierra Leone a sedere al tavolo di negoziati – viene ricordato a sostegno della tesi della stabilità. Tuttavia si può parlare difficilmente di una riappacificazione nel caso sierraleonese: a meno di sei mesi dal disimpegno di EO, il golpe del maggio del ’97 sprofondò il paese in un nuovo ciclo di violenze ed atrocità. Alla luce di un’attenta analisi delle dinamiche delle “nuove guerre”, il reale apporto di una milizia privata in termini di efficacia può venire relativizzato. Come ha riconosciuto David Shearer, in molte realtà caratterizzate da conflitto latente, assenza di un potere centrale, forze armate inaffidabili e corrotte, la temporanea cessazione delle ostilità e i cessate-il-fuoco
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Singer rivela questi particolari in seguito ad interviste con personale della compagnia. Si veda Peter W. Singer, Corporate Warriors, cit., p. 165.
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Queste indiscrezioni non confermate provengono da Johan Van Zyl, un ex ufficiale dei servizi segreti sudafricani poi passato a lavorare per Lifeguard e che, licenziato nel 1998, avrebbe minacciato a rivelare i retroscena di alcune operazioni della compagnia. Van Zyl è deceduto in circostanze oscure, a causa di un incidente automobilistico, dopo aver rivelato di sentirsi sorvegliato e minacciato. Cfr. Xavier Renou, La privatisation de la violence, cit., p. 180.
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sono in realtà delle tregue tattiche e fanno parte di uno schema tipico: le motivazioni che spingono al dialogo le parti in causa sono dovute alle sfavorevoli condizioni politico-militari in un dato momento (ad esempio, indisponibilità di approvvigionamenti, esigenze di riarmo, etc.) più che da una autentica volontà di pace e riconciliazione21. In definitiva, la natura commerciale delle compagnie e l’appartenenza a network multinazionali con interessi tra i più svariati – alla base di una neutralità solo apparente delle PMC e di una affidabilità rivolta solo ai suoi azionisti – fanno sì che la stabilizzazione portata dagli interventi neo-mercenari sia anzitutto strumentale agli investimenti economici stranieri.
Guardando al tipo di servizi offerti dalle PMC, emerge spesso che alcune attività sarebbero state alla portata dell’ONU o di altre forze non-mercenarie: Renou fa notare che se l’ECOMOG, piuttosto che Sandline, avesse ricevuto gli elicotteri dalla comunità internazionale, sarebbe probabilmente riuscita ad ottenere gli stessi risultati della PMC britannica, senza quegli elementi di instabilità intrinseci a ogni forza mercenaria: rischio di diffusione incontrollata di armi, radicalizzazione del governo e delle opposizioni, tensioni con i paesi vicini – dal momento che difendere uno stato può significare mettersi contro un altro22. Si aggiunga, inoltre, che mentre gli eserciti nazionali ricevono forme di addestramento integrato e nozioni di base sulla storia e la società della realtà in cui si apprestano ad intervenire, lo stesso non avviene per i neo-mercenari: la mancata conoscenza della cultura locale, l’ignoranza o il disprezzo verso popoli diversi sono spesso alla base di abusi e crimini da parte delle forze di “pace”23.
Ciò è utile ad introdurre il tema dell’improponibilità dell’uso dei mercenari come forze di peacekeeping. Malgrado gli sforzi dei fautori di questa opzione, non solo problemi di carattere pratico, ma anche contraddizioni in termini non danno credito alla reale fattibilità di una assimilazione tra peacekeepers e neo-mercenari. Anzitutto, dato il carattere sempre più integrato delle operazioni di pace, si ritiene
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David Shearer, “Dial an Army”, The World Today, August/September 1997, p. 204 e “Private Armies”, cit., p. 66.
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Ad esempio, secondo Howe, il rifiuto di EO ad intervenire a fianco delle forze armate sudanesi per reprimere la guerriglia del Sudan People’s Liberation Army (SPLA) fu dovuto al rischio di danneggiare l’Uganda (ritenuta finanziatrice dello SPLA), dove Branch Energy aveva effettuato cospicui investimenti. Vedi Herbert M. Howe, “Private security forces and African stability: the case of Executive Outcomes”, The Journal of Modern African Studies, No. 36, Vol. 2, June 1998, pp. 329- 331 e “Global Order and Security Privatization”, Strategic Forum, No. 140, May 1998, p. 1.
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Xavier Renou, La privatisation de la violence, cit., p. 197 e ss. Analogamente, il ruolo avuto in Croazia dalla MPRI avrebbe potuto essere svolto da personale regolamentato dalle Nazioni Unite o da consiglieri militari provenienti dagli eserciti nazionali di altri paesi.
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che le PMC potranno assumere solamente quelle più limitate e low-cost24, non avendo al proprio interno le competenze necessarie a portare avanti programmi di smobilitazione, disarmo e re-inserimento sociale dei combattenti – tra i più comuni dopo le missioni di peacekeeping. Dal punto di vista giuridico-internazionale, vale la pena ricordare che, allo stato attuale, solo il Consiglio di Sicurezza dell’ONU può imporre l’uso della forza per ristabilire la pace. Occorre poi aggiungere che non è realistico pensare che la comunità internazionale – e i paesi più ricchi - si faccia carico delle spese legate a queste prestazioni con l’obiettivo di ristabilire la pace nel mondo. Se così fosse, infatti, molti membri della stessa comunità internazionale non terrebbero un atteggiamento ambiguo, per non dire di collusione, verso le cause della conflittualità nelle periferie del nuovo ordine mondiale. Ancora una volta, il concetto del “disinteresse” del mondo occidentale deve essere relativizzato: laddove subentrano interessi strategici, l’intervento delle grandi potenze direttamente con i loro uomini e i loro mezzi resta garantito. Se queste non intervengono, è perché la pace e la stabilità non rientrano nei loro interessi, oppure perché la situazione del paese in questione li lascia del tutto indifferenti. Anche la tesi dell’uso di osservatori dell’ONU preposti a monitorare le attività della PMC lascia insoddisfatti: i costi dell’osservazione resterebbero collettivi e si omette che degli addetti della sicurezza privata inquadrati sotto l’egida delle Nazioni Unite finirebbero inevitabilmente per essere condizionati alla diplomazia dei paesi membri, alle procedure dell’istituzione e alla sua burocrazia, nonché agli equilibri di forza delle grandi potenze, vanificando in tal modo tutti i benefici, veri o presunti, del ricorso all’opzione privata. Come si vedrà più avanti, la riflessione su una eventuale regolamentazione delle PMC come strumenti di mantenimento della pace non può che rientrare in quella più generale sulla riforma delle Nazioni Unite e sulla democratizzazione dei suoi processi decisionali25.
Inoltre, la presunta efficacia delle PMC non può non tener conto del delicato equilibrio tra le istituzioni civili e militari dei paesi assistititi e della alterazione che ne consegue. Come ricordato sopra, EO ebbe un ruolo diverso presso le forze armate dei suoi due principali clienti: in Angola, promosse forme di confidence-building all’interno delle FAA, mentre in Sierra Leone esacerbò i contrasti tra gli ufficiali delle RSLMF. L’impossibilità di giungere ad una mediazione tra gli interessi del corpo politico e quelli delle forze armate giunse invece a decretare l’insuccesso delle
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Cfr. Steven Brayton, “Outsourcing War: Mercenaries and the Privatization of Peacekeeping”, Journal of International Affairs, Vol. 55, No. 2, Spring 2002, p. 325.
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operazioni a Bougainville, dove l’intervento a fianco del governo di Papua Nuova Guinea si arenò sul nascere in seguito a un sollevamento dell’esercito. Diversi fattori contribuiscono a creare tensioni tra mercenari e forze armate dei paesi assistiti, specie se presso l’esercito vi è la percezione di un prestigio, un’autonomia o degli interessi corporativi messi a rischio: le disparità delle retribuzioni, il considerare il personale privato come rivale ed ostacolo alle aspirazioni di carriera, o semplicemente un concorrente nella pratica di spoliazione autorizzata delle risorse, come in Sierra Leone, sono motivi di astio e conflittualità26.
Lasciando da parte le considerazioni di carattere militare, occorre infine concentrarsi sull’efficienza economica e sui costi degli interventi neo-mercenari. L’argomentazione portata avanti dai fautori della sicurezza privata, relativa ad una riduzione dei costi negli interventi dei neo-mercenari, viene ribaltata da molti studiosi di area che hanno analizzato il ricorso ai mercenari, specialmente quello in Sierra Leone. Se il neo-mercenariato si rivela un mezzo più economico delle missioni delle Nazioni Unite, ci si è chiesti “per chi esso fosse più economico”27. Il prezzo delle operazioni di EO in Sierra Leone non tiene conto di coloro che indirettamente sono stati costretti a pagarlo. Mentre la stragrande maggioranza della popolazione languiva in condizioni disperate di miseria e guerra, le sue risorse erano saccheggiate, fatte proprie da un manipolo di affaristi e ipotecate a favore di multinazionali che alimentavano un meccanismo bel oleato di sfruttamento neo- coloniale. Fino al 2005, la Sierra Leone ha avuto il triste primato del paese al mondo con l’indice di sviluppo umano più basso.
Oltre al costo per la collettività, vi sono contraddizioni più sottili intrinseche all’uso della sicurezza privata. Il prezzo dei neo-mercenari, infatti, dovrebbe tenere conto non soltanto dei servizi offerti, ma anche del progressivo indebolimento delle capacità operative del settore della difesa, che obbliga a dipendere sempre più dai servizi della sicurezza privata e di conseguenza a trasferirvi sempre maggiori risorse, alimentando un circolo vizioso ai danni della spesa pubblica. I profitti generati dalla
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Nel dibattito sulla privatizzazione della sicurezza negli Stati Uniti, si iniziano a mettere in discussione i dogmi che hanno contribuito a portare in auge il fenomeno: si ha l’impressione che i contractors possano recare danno all’immagine delle forze armate degli Stati Uniti nel mondo, anche a causa degli scandali che hanno costellato oltre un decennio di stretta collaborazione a fianco all’esercito. Si ritiene inoltre che certi benefici di politica estera, legati alla possibilità di una minor sovra-esposizione delle forze armate in determinate aree, sia dopotutto relativa: ad esempio, il fatto di inviare in America Latina specialisti militari americani, al posto dell’esercito, non riduce la “politicità” dell’intervento, se si considera l’opposizione degli alleati (Unione Europea) ad un continuo ricorso all’outsourcing, o il fatto che parecchi contractors siano stati rapiti e uccisi dai guerriglieri marxisti durante le operazioni. Cfr. Peter W. Singer, Corporate Warriors, cit.
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Cfr. ‘Funmi Olonisakin, “Arresting the Tide of Mercenaries: Prospects for Regional Control”, in Abdel-Fatau Musah - J. ‘Kayode Fayemi (eds.), Mercenaries, cit., pp. 234-235.
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sicurezza privata, invece, vengono spesso investiti in paradisi fiscali offshore, generando rendite immense che non verranno mai tassate. Le malversazioni, poi, sono all’ordine del giorno, come evidenziato dalle PMC americane accusate spesso di iper-fatturazione, bassa qualità dei servizi erogati, scarsa trasparenza nelle gare d’appalto e palesi favoritismi e corruzione nella corsa all’accaparramento dei contratti più remunerativi. Non deve stupire, pertanto, se non solo alla luce dell’esperienza africana, ma anche di quella dei contractors statunitensi molti studiosi si sono convinti che sia un “mito”28 il risparmio di risorse nel sub-appalto in operazioni militari.
In ultima analisi, anche gli aspetti economici della privatizzazione della sicurezza, generando esternalità negative, riduzione dei diritti sociali (gli impiegati del settore privato hanno meno diritti del personale dell’esercito) e nuove forme di precariato (la natura tipicamente da new economy con la quale sono organizzate molte PMC) rappresentano una grave sfida allo stato-nazione e ai suoi tradizionali poteri.