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Tra stato e mercato: l’intervento neo-mercenario nell’Africa sub-sahariana

All’alba del XXI secolo l’Africa sub-sahariana continua a riproporre forme di

warfare vecchie e nuove che contribuiscono a mantenere il continente in uno stadio

di costante sottosviluppo e in un processo di continuo impoverimento rispetto al resto del mondo. L’ultimo grave tentativo di intervento neo-mercenario risale al marzo del 2004, quando sessanta uomini di diversa nazionalità, in prevalenza sudafricani, furono arruolati in un progetto di golpe ai danni del dittatore della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema. Il progetto fallì clamorosamente, concludendosi con l’arresto dei golpisti, ma i suoi retroscena lasciano supporre che, qualora fosse andato a buon fine, avrebbe istaurato nella piccola repubblica ricca di petrolio un complesso di relazioni tra attori esterni (compagnie petrolifere occidentali) ed élites locali, assai simile a quello della Sierra Leone1.

La combinazione di politiche neo-liberali e della governance basata sul modello occidentale viene considerata da molti donatori la formula con cui combattere la povertà, difendere l’ambiente, promuovere i diritti umani e debellare le disuguaglianze etniche, religiose, culturali e di genere, eliminando così le cause dell’insicurezza2. Come si è visto, alle dottrine economiche neo-liberali - corresponsabili dell’instaurarsi di forme nuove e altamente conflittuali di appropriazione delle risorse – va associato il ritorno in auge del mercenariato.

Tuttavia, così come non è possibile presupporre come dato assoluto il monopolio statuale sull’uso della violenza organizzata, allo stesso modo, non tutti sono disposti a ravvisare nell’emergere della privatizzazione della guerra il trionfo definitivo del mercato sullo stato. Permangono infatti comunità scientifiche, ad esempio quella francese, dove il dibattito sulla privatizzazione della sicurezza non si fa risalire tanto ad una contrapposizione dicotomica “stato versus mercato” o

1

Il golpe avrebbe portato al potere Severo Moto, principale oppositore di Obiang Nguema e co- finanziatore dell’operazione dal suo esilio di Madrid. I mercenari furono arrestati mentre il loro aereo, diretto a Malabo in Guinea Equatoriale, faceva scalo ad Harare, in Zimbabwe. Si scoprì che dietro il progetto di colpo di stato, oltre ai soliti noti del mercenariato africano degli anni ottanta e novanta, quali Simon Mann e Nick du Toit, c’era anche Mark Thatcher, figlio dell’ex premier britannico Margaret Thatcher, nella veste di co-finanziatore del colpo di stato. Tutti i protagonisti del tentato golpe sono stati condannati a lunghe pene detentive, alcuni in Zimbabwe, come Mann, mentre altri e più sfortunati, come du Toit, nella Guinea Equatoriale. Mark Thatcher, arrestato in Sudafrica, è stato presto rilasciato dietro cauzione e con l’ordine di lasciare il paese. La vicenda, con i contorni di un’autentica spy-story, parve uscita dalla penna di Federick Forsyth e dal suo celebre Dogs of War. Si veda John Carlin, “Il complotto dell’oro nero”, trad. it., in Internazionale, N° 589, 6 maggio 2005, pp. 34 – 37.

2

Abdel-Fatau Musah - J.‘Kayode Fayemi, Conclusion, in Abdel-Fatau Musah - J.‘Kayode Fayemi (eds.), Mercenaries. An African Security Dilemma, London, Pluto Press, 2000, pp. 257-258.

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“pubbico versus privato”, quanto piuttosto all’esistenza di una sorte di limbo in cui la commistione di interessi pubblici e privati suggerirebbe l’esistenza di “enterprises de

coercition para-privées”. Questo concetto presuppone il ruolo di centralità dello

stato, senza il quale le PMC non esisterebbero, nonché l’esistenza di reti di interessi trasversali pubblico-privati e trans-nazionali, in grado di incarnare “le meilleur des

deux monde”: l’efficacia (presunta) del mercato e legittimità (presunta anch’essa) del

sistema statuale. E’ evidente che secondo questa impostazione la privatizzazione di funzioni pubbliche, lungi dal ridursi ad un mero “ritirarsi dello stato”, perpetui in realtà il potere delle élites politiche, permettendo loro di rinegoziare le frontiere ufficiali del pubblico e del privato a loro vantaggio. La privatizzazione diventa pertanto l’occasione per un “ri-dispiegamento dello stato”, attraverso la finzione di attori chiamati privati3.

La manipolazione degli interessi pubblici e privati, mediante l’uso a fini privati di strumenti pubblici, è alla base di ulteriori tesi atte ad interpretare fenomeni che si verificano alla periferia del nuovo ordine mondiale e specialmente in Africa. Uno di questo è il “commercialismo militare”4, ossia l’uso crescente degli eserciti nazionali in alcuni stati come mezzo di accaparramento di risorse finanziarie a beneficio delle élites politiche di quei paesi. Si inscrivono in questo quadro, che corrisponderebbe ad uno stadio successivo all’uso delle PMC, il dispiegamento di truppe angolane, ugandesi, ruandesi e zimbabweane nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) tra il 1998 e il 2003. Lo sfruttamento delle immense ricchezze minerarie della RDC ha garantito per anni gli interessi patrimonialistici degli stati interventisti, attraverso imprese a capitale statale come la Osleg di Harare, impegnata nel traffico di oro e diamanti. In questo schema, l’esistenza di considerazioni economiche alla base di interventi militari non è residuale, bensì motiva lo stesso, tanto da orientarne le azioni e regolarne la catena di comando, come testimoniato da numerose battaglie per il controllo delle risorse minerarie condotte per procura tra milizie filo-ugandesi e filo-ruandesi. Appare evidente come il commercialismo militare si alteri le consegne tradizionali degli eserciti per rimodellarle a favore delle

3

Cfr. Christian Olsson, “Vrai procès et faux débats: perspectives critiques sur les argumentaires de légitimation des enterprises de coercition para-privées”, Cultures & Conflicts, n° 52, 4/2003, pp. 11, 14 e 44. Questa lettura viene condivisa anche da Dave Whyte, “Lethal Regulation: State-Corporate Crime and the United Kingdom Government’s New Mercenaries”, Journal of Law and Society, Vol. 30, No. 4, December 2003, pp. 575-600. Per un’analisi delle PMC operanti nel mercato francese, si veda Philippe Chapeau, “De Bob Denard aux sociétés militaires privées à la française”, Cultures & Conflicts, n. 52, 4/2003, pp. 49-66 e François Dominguez –Barbara Vignaux, “La nebulosa dei mercenari francesi”, Le Monde diplomatique – Il manifesto, settembre 2003, pp. 4-5.

4

Cfr. Chris Dietrich, “The Commercialisation of Military Deployment in Africa”, African Security Review, Vol. 9, No. 1, 2000.

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esigenze commerciali e finanziarie delle alte sfere delle forze armate e dei loro partner politici. Chris Dietrich sostiene che l’estensione di interessi commerciali attraverso il dispiegamento di truppe in paesi come l’RDC rischia di costituire il

trend degli interventi militari all’estero, superando la realtà degli interventi neo-

mercenari. Secondo alcuni studiosi, tra l’altro, una serie di ragioni precluderebbe alle PMC composte da soldati di fortuna (EO) concrete possibilità di sviluppo. Innanzi tutto, una loro crescita eccessiva genererebbe non poche preoccupazioni nei governi committenti. Inoltre, la stessa efficacia militare delle compagnie, spesso molto pubblicizzata, sembra destinata a declinare senza la possibilità di rinnovo in assenza di un apparato militare permanente. Pertanto, la privatizzazione degli apparati di sicurezza andrebbe a tutto vantaggio di quei gruppi che escludono il combattimento e concentrano le loro attività nell’addestramento militare, nella fornitura di consiglieri, di logistica e nel campo delle comunicazioni.

Lo schema considerato da Dietrich per la Regione dei Grandi Laghi sembrerebbe estendersi anche alla Nigeria e al suo ruolo crescente di potenza regionale nell’Africa occidentale, come sembrano suggerire alcuni atteggiamenti tenuti dalle forze armate di Abuja in Liberia e Sierra Leone. Benché le diverse configurazioni di alleanze e di potere politico economico negli stati deboli dell’Africa sub-sahariana possano dare esiti diversi (interventi di PMC, casi di commercialismo militare, etc.), il ruolo svolto dalle PMC mantiene la sua centralità, come dimostrato in diverse occasioni, prima fra tutte quella in Sierra Leone. Il fenomeno del neo-mercenariato, pertanto, continua a richiedere una seria riflessione quanto mai necessaria da parte della comunità internazionale. In questa sede, non si potranno escludere tutte quelle considerazioni critiche che oggi vengono mosse contro la privatizzazione della sicurezza.