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Per Mockler, così come ogni uomo perbene era pronto a morire per il proprio signore nel medioevo, così, teoricamente, nei tempi moderni ogni uomo perbene era pronto a morire per la sua nazione. Di conseguenza, prosegue l’autore inglese, morire per un altro paese, per di più nell’età del nazionalismo, appariva quanto meno paradossale16.

Tuttavia, nel 1831 fu pubblicato un famoso decreto con cui il maresciallo Soult, Ministro della Guerra del governo francese, istituiva una “legione di stranieri

nota come Legione Straniera per il servizio fuori dalla Francia”17. Utilizzata in tutte le campagne militari, soprattutto coloniali, intraprese dalla Francia, dall’occupazione dell’Algeria alla crisi di Suez, la Legione è rimasta avvolta in un alone di fascino e mistero sempre crescente, che ha avuto riscontro anche nella letteratura e nel cinema. La sua notorietà anche fuori dai confini nazionali, se da un lato è stata alimentata dall’indiscussa lealtà dei suoi mercenari al mito della grandeur francese, dall’altro è stata legata anche agli esiti delle singole operazioni militari non sempre vittoriose né scevre da documentate atrocità, come la partecipazione al fianco dei golpisti dell’Organisation de l’Armée Secrète (OAS) nella repressione algerina18.

Malgrado l’esperienza della Legione Straniera, il XIX secolo e il consolidamento dello stato-nazione segnarono la crisi definitiva del mercenariato

16

Anthony Mockler, op. cit., pp.107 e 127-132

17

Cfr. Patrick Turnbull, The Foreign Legion, London, Heinemann, 1964, pp. 1-2. Assai ricca è la letteratura sulla Legione Straniera francese. Per una più esaustiva analisi delle sue operazioni si veda anche Robin Hunter, True Stories of the Foreign Legion, London, Virgin Books, 1995.

18

Anthony Mockler, op. cit., pp. 131-143 e Patrick Turnbull, op. cit., pp. 233-246.

L'Organisation de l'Armée Secrète (OAS) era un'organizzazione clandestina francese, creata il 20 gennaio 1961 dopo un incontro a Madrid, al riparo del regime franchista, da Jean-Jacques Susini e Pierre Lagaillarde. La sigla OAS comparve sui muri di Algeri il 16 marzo 1961. L'emblema era la croce celtica e lo slogan L'Algérie française. L'organizzazione raggruppava i fautori del mantenimento della presenza coloniale francese in Algeria e i veterani della guerra già perduta in Indocina nel 1954. All'indomani del putsch militare di Algeri (aprile 1961), l'organizzazione fu presa in mano dal generale Raoul Salan, e perpetrò sia in Francia che in Algeria numerosissimi attentati ed assassini: alla fine di settembre 1961 si contavano più di 1.000 attentati con 15 morti e 144 feriti. L'organizzazione continuò ad opporsi con la violenza all'applicazione degli accordi di Évian per il cessate-il-fuoco, ancora convinta di riuscire a dissuadere i francesi d'Algeria dall'andarsene. Ma proprio l'ondata terrorista (e la constatazione della sua inutilità) convinsero gli europei a partire e segnarono la sconfitta dell'OAS, la cui strategia non ebbe in definitiva alcuna influenza sulla soluzione prescelta per la decolonizzazione algerina, nonostante il colpo di coda rappresentato dall'ultimo attentato al presidente de Gaulle, il 22 agosto. La sua vicenda si concluse con 44 condanne a morte, di cui solo 4 eseguite. Tutti i condannati superstiti ottennero nel 1968 l'amnistia generale da de Gaulle. Tra il maggio 1961 ed il settembre 1962, l’OAS aveva ucciso 2.700 persone, di cui 2.400 Algerini.

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classico. A partire dalla Rivoluzione Francese, l’opinione comune, mossa dagli ideali di nazione e di patria, divenne sempre più ostile verso chi combatteva “per la paga”, e il reclutamento e l’impiego dei mercenari divennero pratiche del tutto aborrite. Anche il XX secolo, con la definitiva istituzionalizzazione degli eserciti nazionali, lasciò poco spazio ai soldati di professione, o almeno vi fece ricorso in imprese militari poco trasparenti e comunque osteggiate dalle opinioni pubbliche occidentali. Si fa riferimento all’impiego di compagnie mercenarie, per conto delle metropoli, in funzione controrivoluzionaria nei processi di decolonizzazione dell’Africa e dell’Asia. Non è un caso che nella disfatta di Dien Bien Phu, o in generale nella Guerra di Indocina, alla quale partecipò la Legione Straniera, solo un soldato su cinque fosse francese per nascita19.

Se l’esperienza indocinese e quella algerina videro un ritorno all’uso degli

affreux come ultimo tentativo della Francia di mantenere le sue colonie, in quasi tutti

gli altri casi il ricorso ai mercenari nella seconda metà del XX secolo fu dettato dai tentativi delle potenze occidentali di stroncare sul nascere la possibilità che governi progressisti o di ispirazione socialista si instaurassero nelle ex colonie. L’acceso anticomunismo o il razzismo che animava molti mercenari degli anni cinquanta e sessanta si saldò alle strategie occidentali volte alla salvaguardia di aree di influenza ideologiche e commerciali.

In questa ottica si inseriscono gli interventi mercenari che a partire dalla secessione del Katanga (1960-1963) hanno interessato tutta la storia recente della Repubblica Democratica del Congo (RDC).

All’indomani dell’indipendenza, nel 1960, soldati prezzolati prevalentemente belgi, francesi e inglesi furono lo strumento - all’interno di un paese con un’autorità politica centrale ancora debole, con interessi economici e politici di élites regionali (Moise Tshombe e la Conféderation nationale des associations du Katanga, CONAKAT20), spesso unite a velleità geopolitiche e neo-coloniali occidentali - per soffocare nascenti regimi progressisti ritenuti difficilmente controllabili. Gli eventi che portarono alla eliminazione di Patrice Lumumba, “profeta disarmato” e primo capo di governo democraticamente eletto dell’Africa post-coloniale21, costituirono

19

Anthony Mockler, op. cit., p. 143.

20

Anna Maria Gentili, Il leone e il cacciatore: storia dell’Africa sub-sahariana, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1995, p. 365.

21

Immediatamente dopo la proclamazione dell’indipendenza, le immense ricchezze dell’ex Congo belga continuarono ad attirare le attenzioni di molti paesi occidentali, tanto che Washington cercò subito di colmare il vuoto lasciato dai belgi, giustificando la sua presenza nell’area con l’esigenza di controbilanciare il contemporaneo intervento di paesi non allineati e soprattutto della Cina popolare, sempre meno celato a partire dall’appoggio fornito alla rivolta dei Simba. Al di là della fondatezza

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uno tra gli esiti più drammatici di quelle alleanze di potere, le cui strategie erano volte a concedere un processo di decolonizzazione solo di facciata. La stessa secessione della ricchissima regione mineraria del Katanga, forse l’episodio che fece registrare il più intenso intervento mercenario di questo periodo, fu ispirata dagli ingenti interessi economici della belga Union Minière e trovò in Tshombe l’alleato politico di riferimento. Questi poté contare su oltre cinquecento mercenari calamitati dalle promesse di cospicui contratti di ingaggio. Celebri capi mercenari quali Schramme, Denard, Faulques e Trinquier – che in seguito faranno parte del famigerato “Commando Five” - sfruttando atteggiamenti ambigui dei loro stati maggiori e delle loro cancellerie, per tre anni tennero impegnate le truppe delle Nazioni Unite22.

Sebbene il Katanga venisse mantenuto all’interno dello stato congolese, la sconfitta non impedì ai mercenari di partecipare, questa volta a fianco del neo- presidente Mobutu, alla repressione della rivolta dei Simba, partita dalle regioni nord-orientali e guidata dall’ex ministro Pierre Mulele. Questi, richiamandosi all’eredità di Lumumba e facendo appello a un misto di marxismo, nazionalismo e pratiche misteriche, diede vita a quella che è stata definita la più grande jacquerie del secolo23.

Le deboli istituzioni centrali del Congo-Zaire, sia politiche che militari, costituirono sempre terreno fertile per gruppi mercenari che, attratti da possibilità di facile guadagno hanno imperversato nel paese fino alla ribellione che rovesciò Mobutu nel 1997.

Se il caso congolese è esemplare per le modalità in cui si è espresso il mercenariato in Africa nell’ultimo secolo, un esame meritano anche le vicende delle voci di un presunto coinvolgimento nell’assassinio di Lumumba - il 17 gennaio 1961 – della Casa Bianca, allora presieduta da Dwight D. Eisenhower, pare certo che a Bruxelles ambienti economici e politici, come anche la Chiesa cattolica avessero l’intenzione di mettere a tacere il giovane leader congolese. La recente riapertura del caso, in Belgio, ha contribuito a rivelare quali erano le diffidenze dei paesi occidentali nei confronti di un uomo di grande statura politica, amato e rispettato, per il quale la lotta di liberazione nazionale significava anche riscatto dalla subalternità coloniale e dal senso di inferiorità che il colonialismo aveva creato. L’impegno a fianco dei diseredati e l’adesione alla causa di quelli che Fanon definiva allora “Les dannés de la terre”, tuttavia, non si trasformavano in Lumumba in atteggiamenti esclusivisti e manichei verso i vecchi colonizzatori. Sebbene questi ritenesse possibile inserire le sue politiche di emancipazione sociale e di una più equa redistribuzione dei profitti in un quadro di cooperazione con belgi ed europei rispettosi dell’Africa e del suo popolo (a tal proposito non predicò la cacciata della Union Minière ma ne auspicò una politica di controllo nazionale dei proventi), la sua lezione, ritenuta di “cattivo esempio”, finì per scontrarsi, ed inevitabilmente per soccombere, dinanzi al grande capitale e agli interessi occidentali. Vedi Colette Braeckman, “Il Belgio di fronte al suo passato coloniale”, Le Monde-diplomatique – il manifesto, N° 1, Anno XI, gennaio 2002, p. 19, Alex Duval Smith, “Eisenhower ordered Congo killing”, The Independent, 14 August 2000 e Anna Maria Gentili, op. cit., pp. 365-368.

22

Anthony Mockler, op. cit., p. 161.

23

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relative alla secessione del Biafra in Nigeria nel 1967. In un contesto simile a quello katanghese, l’episodio del Biafra - nel corso del quale morirono di guerra e di fame oltre un milione di persone – costituì l’unico caso in cui i mercenari intervennero dalla parte “più debole” in conflitto. Questi ultimi, meno di un centinaio e dotati di poche e vecchie armi, finirono per soccombere alle preponderanti forze nigeriane specialmente nelle ultime fasi del conflitto, quando Lagos ottenne consenso politico e aiuti militari britannici e sovietici24.

Oltre agli interventi mercenari in Congo-Kinshasa e in Nigeria, e in genere a tutti quelli che miravano a bloccare i processi di autodeterminazione dei nascenti paesi africani, occorre ricordare anche altre operazioni militari mercenarie che, pur interessando paesi africani più piccoli e meno rilevanti dal punto di vista strategico ed economico, si sono rivelate talvolta decisive giungendo a minacciare la sopravvivenza di alcuni regimi25. Il mercenario sudafricano di origini irlandesi Mike Hoare, soprannominato “Mad Mike”, fu a capo di truppe mercenarie che tentarono invano di rovesciare il governo filo-socialista delle Seychelles nel 1977 e nel 1981. La stessa sorte toccò al Benin che, sempre nel 1977, rispose ad un intervento di mercenari europei – guidati dal francese Robert “Bob” Denard, allora noto con lo pseudonimo di “Ten. Col. Gilbert Bourgeois”, probabilmente un ex agente dei servizi di controspionaggio francesi - con l’intento di abbattere il regime filo-marxista di Matthew Kerekou, il quale accusò Stati Uniti e Francia di essere responsabili di un complotto volto a “ricolonizzare l’Africa”26.

In quest’ultimo tipo di interventi vanno citate le ripetute azioni contro i governi delle isole Comore, nel 1975, nel 1978 (in questa occasione venne assassinato il presidente Soilih) e nel 1995, tutte guidate da Denard, che amava definirsi “il corsaro della repubblica”. Dietro tutti questi complotti, infatti, è difficile immaginare l’assenza di una longa manus, o quanto meno di una tacita approvazione di alcune cancellerie europee – nella fattispecie Parigi – interessate a mantenere le proprie aree di influenza27. Non a caso Denard, mercenario di lungo corso e sempre

24

Anthony Mockler, op. cit., pp. 258-281.

25

Una rassegna dettagliata in italiano delle avventure mercenarie nel corso degli anni sessanta e settanta alle Comore e alle Seychelles, definite di “mercenariato artigianale”, è in Gabriella Pagliani (con la collaborazione di Aldo Pigoli), Il mestiere della guerra. Dai mercenari ai manager della sicurezza, Milano, Franco Angeli, 2004, pp. 109 – 118.

26

Cfr. West Africa, 28 March 1977, p. 631, cit. in David J. Francis, “Mercenary intervention in Sierra Leone: providing national security or international exploitation?”, Third World Quarterly, Vol. 20, No. 2, 1999, p. 320.

27

Abdel Fatau-Musah - J.’Kayode Fayemi, “Africa in Search of Security: Mercenaries and Conflicts – An Overview” in Abdel Fatau-Musa - J.’Kayode Fayemi (eds.), Mercenaries. An African Security Dilemma, London, Pluto Press, 2000, p. 22.

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vittorioso alle Comore, fu rapidamente sconfitto nel 1995 grazie all’intervento congiunto delle forze speciali francesi che, senza spargimento di sangue, sbaragliarono i mercenari golpisti e smentirono in tal modo le allusioni sulla presunta complicità dell’Eliseo, pure probabile in tempi passati, con Denard e i suoi uomini28.

Questi, per quaranta anni autentica bête noire di molti governi africani e in seguito condannato da una corte parigina per aver preso parte a campagne militari mercenarie29, intendeva tutelare lucrosi affari alle isole Comore. Proprietario di grosse aziende agricole, di casinò, di ditte di import-export e di villaggi turistici, Denard – deceduto a Parigi il 13 ottobre 2007 - poteva contare su una fitta rete di importanti amicizie e connessioni finanziarie anche in Sud Africa. Diversamente che in passato le isole Comore, “l’arcipelago dei profumi che a lungo ha avuto l’odore

dello zolfo”30 cominciava ad assumere, nella seconda metà degli anni novanta,

innanzi tutto un’importanza economica e commerciale e poi anche politica e strategica. Parimenti, la natura corporativa delle grandi compagnie d’affari aveva l’esigenza di operare in un quadro di relativa stabilità o comunque con un regime disposto alla perpetuazione di determinati interessi. Da qui la scelta di mettere un esercito privato al servizio di grossi potentati economici, preannunciando quello che sarà un meccanismo ben rodato nel caso delle compagnie militari private.