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Diversamente dall’OUA, l’Economic Community of West Africa States (ECOWAS)20 rappresenta un chiaro esempio di organizzazione economica a carattere regionale, fondata sui principi di cooperazione e liberalizzazione degli scambi, che ha progressivamente e parallelamente sviluppato meccanismi di sicurezza. Questi, da strumenti inizialmente ad hoc21, hanno poi preso forma di strutture permanenti di

peacekeeping, come testimoniato dal vertice di Lomé del dicembre 1997 e un anno

più tardi dalla proposta di un “Mechanism for Conflict Prevention, Management, Resolution Peacekeeping, and Security”, (“ECOWAS Mechanism”). Se il trattato istitutivo dell’ECOWAS del 1975 non includeva indicazioni relative alla sicurezza, più tardi si venne sviluppando l’idea dell’impossibilità del raggiungimento degli obiettivi economici se non in una realtà di pace e armonia tra gli stati membri. Pertanto nel 1978 venne adottato il Protocollo di Non Aggressione per regolare eventuali conflitti tra gli stati membri, e nel 1981 il Defence Protocol, esteso anche ai conflitti interni sostenuti dall’esterno e alle aggressioni agli stati membri da parte di paesi non-ECOWAS. Quest’ultimo strumento prevedeva la nascita dell’Allied Armed Forces of the Community (AAFC), un esercito di peacekeeping formato da unità degli eserciti degli stati membri.

Tuttavia, per ragioni di carattere politico e finanziario, nessuno di questi strumenti è mai stato pienamente operativo. Lo stesso Defence Protocol è stato visto con sospetto da molti leader dell’ECOWAS, a testimonianza degli innumerevoli

cleavages che da sempre hanno costituito un elemento di debolezza

dell’organizzazione: questi possono essere grossomodo riassunti nella diffidenza degli stati membri (specialmente quelli francofoni) verso la Nigeria per timore della

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Istituita con il Trattato di Lagos del 1975, modificato nel 1993, l’ECOWAS/CEDEAO promuove la cooperazione e l’integrazione degli stati membri in vista di una completa unione economica della regione prevista nel 2009. Dei 15 stati membri dell’ECOWAS, 5 sono anglofoni (Gambia, Sierra Leone, Liberia, Ghana e Nigeria), 8 francofoni (Mali, Burkina Faso, Niger, Senegal, Guinea, Costa d’Avorio, Togo e Benin) e 2 lusofoni (Capo Verde e Guinea-Bissau). La Mauritania ha lasciato l’organizzazione nel 2002. Gli organi principali dell’organizzazione sono la Conferenza dei Capi di Stato e di Governo e il Segretariato Esecutivo, con sede ad Abuja (Nigeria). Vedi Calendario Atlante De Agostini, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 2003, p. 90.

21

Emmanuel Kwesi Aning, “Towards the New Millennium: ECOWAS’s Evolving Conflict Management System”, African Security Review, Vol. 9, No. 5/6, 2000

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sua posizione dominante, nonché la stessa frattura tra stati francofoni ed anglofoni. Questi timori avevano portato gli stati di lingua francese al varo della ormai defunta Communauté économique de l’Afrique de l’Ouest (CEAO) e di una organizzazione di difesa e sicurezza nota come Accord de non-agression et d’assistance en matière de défense (ANAD)22.

Alla luce di quanto detto, non stupisce l’adozione di meccanismi non ortodossi alla vigilia della nascita di ECOMOG. Il suo dispiegamento nel 1990 fu infatti una “risposta improvvisata”23 alla crisi scoppiata in Liberia con l’invasione del National Patriotic Front of Liberia (NPFL) di Charles Taylor nel dicembre 1989. Questi, inizialmente con un centinaio di uomini, portò avanti una vittoriosa ribellione destinata ad espandersi e ad assediare il governo dittatoriale di Samuel Doe, giocando sull’impopolarità e brutalità di quest’ultimo, un sergente dell’esercito che grazie a un golpe violento ai danni di William Tolbert era divenuto nel 1980 il primo presidente non americo-liberiano dall’indipendenza. Il conflitto civile che seguì per anni sarebbe stato destinato a divenire un classico esempio di “nuova guerra”, con le consuete caratteristiche: collasso del potere centrale, rivalità etnica (in particolare tra Gio e Mano, ossia le etnie che appoggiavano Taylor, e i Krahn cui apparteneva Doe), dislocazione della popolazione, “signori della guerra”, terrore come strumento di annientamento ai danni delle popolazioni civili, nonché guerra come strumento di prosecuzione e perpetuazione di interessi economici trans-nazionali, attraverso il ben documentato collegamento di Taylor e della sua “Greater Liberia” con i network commerciali internazionali dei diamanti, del legname pregiato e della gomma. La frammentazione politico-militare sarà un altro tratto essenziale del conflitto, con una proliferazione parossistica di gruppi, tutti privi di progetti politici e di coerenza ideologica: oltre al NPFL e alle Armed Forces of Liberia (AFL), nascerà l’Independent National Patriotic Front of Liberia (INPFL) di Prince Johnson, staccatosi da Taylor, il Liberian Peace Council (LPC) di Gorge Boley, l’United Movement for Democracy and Liberation in Liberia (ULIMO), nelle varianti di ULIMO-J, sotto la guida di Roosevelt Johnson a maggioranza Krahn, e ULIMO-K, una fazione di etnia Mandingo capeggiata da Alhaji Kromah. Questi gruppi, che acquistavano grandi quantità di armi – soprattutto leggere e di piccolo calibro – sul mercato nero grazie alla vendita di materie prime pregiate, contribuiranno ad

22

Eric G. Berman – Katie Sams, Peacekeeping in Africa, cit., pp. 75-82.

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ostacolare le numerose tregue ed accordi di pace, essendo spesso impossibile ottenerne il rispetto da parte di tutti.

La decisione di fornire una qualche risposta al conflitto in corso non ebbe subito il consenso da parte di tutti i paesi dell’ECOWAS. Gli interventisti, su iniziativa del presidente nigeriano Ibrahim Babangida, spinsero la Conferenza dei Capi di Stato e di Governo dell’ECOWAS a stabilire al Summit di Banjul (maggio 1990) un Standing Mediation Committee (SMC), del quale facevano parte Ghana, Mali, Nigeria e Togo, allo scopo di attivare le procedure di mediazione. Dallo SMC nascerà ECOMOG, il 7 agosto 1990, in un clima di aspri contrasti. La legittimità dell’intervento, per alcuni lesivo dei principi di non interferenza riconosciuti dall’ONU e dall’OUA, venne subito messa in dubbio, in quanto esso avrebbe contrastato con la natura di organizzazione economica e non militare dell’ECOWAS e col fatto che lo SMC non rappresentava tutti i paesi membri. Il carattere trans- nazionale della crisi (fattore sufficiente a far scattare i meccanismi di intervento previsti dal Defence Protocol) sarebbe tuttavia emerso nel giro di poco tempo, rivelando il carattere pretestuoso di molte critiche24. E’ pure vero, però, che se lo stesso protocollo permetteva a Doe di richiedere aiuto, questi si era appellato direttamente alla Nigeria e non all’ECOWAS; a quel punto Lagos aveva deciso di intervenire sotto l’ombrello dell’organizzazione regionale25.

Perduto il sostegno di Mali e Togo, ECOMOG sbarcò a Monrovia il 24 agosto del 1990 con 3.000 uomini provenienti inizialmente da cinque paesi (Gambia, Ghana, Nigeria, Sierra Leone e Guinea) per dare avvio alla “Operazione Liberty”. Ogni paese doveva essere in grado di affrontare a proprie spese i primi tre mesi di intervento versando delle quote in un fondo speciale per le emergenze; in pratica, la Nigeria finì per coprire circa il settanta per cento dei costi dell’intera operazione. L’intervento, che sarebbe durato otto anni sebbene ne fosse stato preventivato appena uno, si articolò attraverso quattro fasi. La prima prevedeva il comando ghanese, che ebbe un atteggiamento tipico da forza di peacekeeping (malgrado, secondo molto osservatori, non ci fosse alcuna pace da mantenere), e raggiunse modesti risultati. Seguì una fase più pro-attiva della forza di pace, che agì da peace enforcer. Si ebbe un momentaneo ritorno alla normalità, le organizzazioni umanitarie poterono soccorrere le popolazioni; dal punto di vista politico-diplomatico, Taylor si indebolì

24

‘Funmi Olonisakin, Reinventing Peacekeeping in Africa, cit., p. 112.

25

Christopher Tuck, ‘“Every Car Or Moving Object Gone”. The ECOMOG Intervention in Liberia’, African Studies Quarterly, Vol. 4, Issue 1, 2000.

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e di converso ECOMOG ottenne il sostegno di OUA e ONU26. Al termine di questa fase, la forza dell’ECOWAS tornerà al peacekeeping e ad un periodo di stagnazione: non ci saranno gli sviluppi sperati degli accordi di Yamoussoukro e di Ginevra. Questi dimostreranno piuttosto la scarsa propensione del NPFL ad una soluzione negoziata del conflitto, nella convinzione da parte di alcuni gruppi armati che i benefici di una continuazione della guerra sarebbero stati superiori rispetto a quelli derivanti da un accordo di pace. Le tregue di Taylor furono tattiche, dettate più dalla necessità di riorganizzare le proprie forze che da una autentica volontà di mettere fine al conflitto. Non a caso, l’”Operazione Octopus” sferrata dal NPFL nell’ottobre 1992 costituì un grave smacco ad ECOMOG che si vide assediata per mesi a Monrovia. L’ultima fase del conflitto vedrà un ritorno di ECOMOG al peace

enforcement, con armamenti pesanti ed attacchi continui e con l’aggiunta dei

contingenti di Uganda e Tanzania. Le Nazioni Unite optarono per un maggiore coinvolgimento nel paese africano con la nascita della United Nations Observer Mission in Liberia (UNOMIL) e si ebbero gli accordi di Cotonou e di Abuja. Questi ultimi, nel 1995/96, furono i più importanti in quanto aprirono la strada alle elezioni presidenziali del luglio 1997, dall’esito beffardo. Taylor vinse con una maggioranza del 70 per cento: la popolazione liberiana, stanca da quasi un decennio di violenze, scelse l’ex signore della guerra nel timore che, se Taylor non avesse vinto, si sarebbe ripreso il potere con la forza27.

Nell’indifferenza degli occidentali – catturati dai ben più contingenti scenari mediorientali della prima Guerra del Golfo e dal conflitto nella ex Jugoslavia - la guerra civile in Liberia aveva causato 200.000 morti e 1.200.000 rifugiati su una popolazione prima della guerra di appena 2.500.000 abitanti28.