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IL CONTRATTO DI FRANCHISING

3. La debolezza del franchisee

Come si è visto nel capitolo 4, una delle caratteristiche proprie dei rapporti tra imprese è che spesso le parti non sono in una situazione di parità di forza contrattuale perché una delle due si trova in una condizione di debolezza nei confronti dell‟altra.

Si è visto altresì che, generalmente, tale disparità deriva dagli investimenti specifici che la parte debole ha eseguito per instaurare lo specifico rapporto contrattuale con la parte forte, investimenti specifici che, essendo conformati ed adattabili solo ed esclusivamente a quella specifica relazione industriale o commerciale, di fatto la tagliano fuori dal mercato rendendola, così, dipendente dalla controparte.

Ciò avviene anche nei rapporti di franchising, nei quali l‟aspirante franchisee effettua degli investimenti, che possono essere anche molto rilevanti, allo scopo esclusivo, e non fungibile, di commercializzare la formula del franchisor.

Sul punto è stato correttamente osservato che “Ogni qualvolta il

soddisfacimento dei bisogni dell’attività commissionata postuli – come nel caso dei franchisees – investimenti «idiosincratici», perché non suscettibili di rapida ed indolore riconversione a modalità di sfruttamento alternative, si profila all’orizzonte un rischio di soggiogazione, rappresentato dalla semplice minaccia dell’improvvisa interruzione del rapporto, la quale produrrebbe l’effetto di trasformare automaticamente gli investimenti in sunk costs: la necessità di ammortizzare gli investimenti espone chiaramente il franchisee all’altrui leverage, rendendolo ultrareattivo allo spettro del recesso unilaterale del franchisor”7.

Nei rapporti di franchising, però, si rinvengono almeno altri due fattori che contribuiscono, insieme a quello degli investimenti specifici, a determinare lo stato di soggezione della parte debole, che è il franchisee: il primo è il deficit informativo che il franchisee sconta nei confronti del franchisor, il secondo è il potere contrattuale di controllo e direzione che quest‟ultimo tipicamente si riserva sull‟attività del primo.

7

Colangelo G., Prime note di commento alla normativa in materia di franchising, Corriere Giuridico, n. 7/2004, pag. 853.

181 Circa il primo aspetto, si osserva, infatti, che le parti che si apprestano a stipulare un contratto di franchising, generalmente, presentano un forte divario informativo sia dal punto di vista interno al rapporto, ossia riguardo al contenuto ed alle proprietà della formula commerciale oggetto del contratto, sia dal punto di vista esterno al rapporto, ossia riguardo alle condizioni e alla caratteristiche del relativo settore di mercato.

Il franchisor ha, ovviamente, piena e completa conoscenza sia della formula commerciale oggetto del contratto che della rete di imprese che la commercializza, in quanto egli stesso le ha create e sperimentate sul mercato, mentre il franchisee ha conoscenza solo di quelle scarse ed imprecise informazioni che si possono percepire dall‟esterno della rete.

Il franchisor quindi ha tutti quei i dati e quelle informazioni necessarie per la valutazione dell‟affare: egli sa quale sia il contenuto effettivo della formula commerciale (se vi siano e quali siano i diritti industriali tutelati, i marchi e i brevetti registrati oppure il know how riservato, nonché il loro valore), sa quali sono i costi ed i ricavi della produzione/commercializzazione del prodotto/servizio, conosce il livello della domanda e dell‟offerta nel mercato, ossia, fondamentalmente, egli conosce le potenzialità del business.

Al contrario, il franchisee, che per concludere l‟affare si appresta ad affrontare investimenti specifici che possono essere anche molto cospicui, non ha accesso alcuno a tali dati e tali informazioni, necessari per valutare l‟affare ed il relativo rischio.

In buona sostanza, il franchisor sa, o almeno in condizione di sapere, se la sua formula commerciale è un successo oppure un fiasco ed in che misura lo sia, l‟aspirante franchisee invece no. Egli, finché non entra a far parte della rete, non può sapere effettivamente quale sia il valore e quale sia la concreta consistenza commerciale della formula che si appresta a commercializzare/produrre: lo saprà solo quando sarà entrato nella rete, ossia solo dopo aver eseguito significativi investimenti ed avendo assunto specifiche obbligazioni nei confronti del franchisor per entrare nella sua rete.

In termini poco ortodossi, il franchisee è quindi esposto al rischio che il franchisor gli “venda” (in senso atecnico) una scatola vuota.

182 Il concetto è stato così efficacemente esposto: “…mentre il potenziale affiliante

è generalmente dotato di competenze sufficientemente approfondite, tali da permettergli di valutare l’opportunità e la convenienza dell’affare – e di prevedere, in particolare, con notevole approssimazione il risultato economico che riuscirà ad ottenere con la conclusione dell’accordo – il potenziale affiliato - soprattutto quando si tratti di franchising «domestico» - per la propria posizione nel mercato, per le proprie (ridotte) dimensioni e la propria relativa inesperienza, si trova spesso in una situazione tale da rendergli alquanto difficile una valutazione equilibrata ed approfondita dei termini dell’affare. Com’è stato osservato, l’aspirante affiliato è spesso un new comer del settore, privo di esperienza specifica, se non addirittura di esperienza commerciale in generale; si tratta, in altri termini, di un soggetto spesso privo non solo di esperienza specifica nel settore in questione, ma anche di esperienza commerciale in generale, il quale finisce in tal modo per trovarsi, inevitabilmente, nelle mani del franchisor”8.

Circa il secondo aspetto, quello relativo al potere contrattuale del franchisor, si rileva che tipicamente i contratti di franchising sono predisposti in modo tale da attribuire al franchisor un forte potere di controllo e di direzione dell‟attività del franchisee, al fine, legittimo e meritevole di tutela, di garantire al primo che la sua formula commerciale e la sua rete commerciale mantengano inalterati i livelli di qualità, efficienza ed immagine che la caratterizzano.

Il franchisor concede ai franchisee l‟utilizzo della propria formula commerciale, ma non la cede loro, sicché ne rimane titolare e da essa continua a trarre profitto. Egli, quindi, nutre il fondamentale interesse che la formula commerciale mantenga sul mercato il successo cui l‟ha portato, o addirittura lo incrementi, e per questo motivo, nei contratti che stipula con i suoi franchisee, si riserva penetranti e dettagliati poteri di controllo e di indirizzo, onde garantire che la sua formula sia commercializzata in modo uniforme, omogeneo ed ai livelli qualitativi richiesti9.

8

Pandolfini V., Gli obblighi informativi nella nuova legge sul franchising, I contratti, 1/2005, pag. 74.

9

Sul punto si veda ancora Pandolfini V., Gli obblighi informativi nella nuova legge sul franchising, I contratti, 1/2005, pag. 75. “D’altra parte, la situazione di tendenziale

«debolezza» del franchisee nei confronti del franchisor è confermata dal fatto che, nel settore del franchising, l’esigenza della standardizzazione è particolarmente sentita, sì da costituire

183 Il franchisee, quindi, pur essendo un‟impresa formalmente autonoma ed indipendente, è generalmente soggetto, per contratto, ad un severo potere di direzione e controllo del franchisor, che ne limita, di fatto, la libertà d‟azione.

Pare che il Legislatore della L. 129/04 sia ben consapevole di queste considerazioni, di questi fattori di debolezza del franchisee, e, conseguentemente, è stato affermato che la Legge in esame “…prende le mosse proprio dalla necessità di

un intervento correttivo teso a riequilibrare la disparità di potere contrattuale che si manifesta nella fase successiva alla stipulazione del contratto. L’immagine di un contraente privo di alternative soddisfacenti e, per questo, imprigionato nel contratto ed esposto all’abuso di controparte si profila, infatti, in modo paradigmatico nel franchising, dove il franchisee, a fronte dei capitali investiti (senza possibilità di riconversione) per poter esercitare l’attività commerciale, verte in una situazione di endemica debolezza, che presenta tutte le caratteristiche della dipendenza economica”10.

Secondo autorevole dottrina, la posizione di endemica debolezza del franchisee richiederebbe e giustificherebbe l‟estensione dell‟applicazione dell‟istituto dell‟abuso di dipendenza economica anche ai rapporti di franchising oltre che a quelli di subfornitura per i quali è espressamente previsto. In questa visione, l‟istituto dell‟abuso di dipendenza economica sarebbe uno strumento di portata generale da applicare non solo alla subfornitura ma a tutti i rapporti interimprenditoriali in cui una parte si trova in posizione di soggezione economica, tipicamente per aver effettuato degli investimenti specifici, con tutte le conseguenze che ne derivano (ampliamente esaminate nel capitolo quarto del presente lavoro).

È stato, infatti, osservato che il franchisee non necessiterebbe di una specifica forma di tutela, in quanto “A ben vedere … il nostro ordinamento, già da alcuni anni,

si è fornito di uno strumento dotato di potenzialità enormi a fronteggiare i rischi di hold up, che solo un tormentato iter legislativo ed una giurisprudenza incerta hanno

sostanzialmente la regola; tale fenomeno si spiega, come è stato osservato, anche con l’interesse del franchisor, soprattutto qualora dirigano una rete distributiva notevolmente ramificata, a garantire una certa uniformità, sia per quanto concerne il prezzo e la qualità del prodotto, sia per quanto attiene alla struttura e alla gestione della rete distributiva”.

10

Colangelo G., Prime note di commento alla normativa in materia di franchising, in Corriere Giuridico, n. 7/2004, pag. 855.

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sinora mantenuto in naftalina: il riferimento è all’abuso di dipendenza economica, istituto che l’art. 11 della legge 5 marzo 2001, n. 57 ha definitivamente estratto dalle pastoie della legge sulla subfornitura, per conferirgli la collocazione che gli spetta, ovvero di disciplina applicabile a tutti i rapporti contrattuali tra imprese aventi natura commerciale”11.

La disciplina dell‟abuso di dipendenza economica dettata dalla Legge sulla subfornitura sarebbe, quindi, applicabile anche ai rapporti di franchising e sarebbe pertanto sufficiente a proteggere anche le parti deboli di tale tipologia di rapporto tra imprese.

Al contrario, alcune voci hanno sostenuto che l‟abuso di dipendenza economica sarebbe invece, per definizione, non applicabile anche ai rapporti di franchising. Infatti, sulla base di un‟interpretazione strettamente letterale delle norme, si è affermato che il tenore testuale della definizione legislativa del franchising, la quale espressamente stabilisce che le parti del franchising sono soggetti “economicamente

indipendenti” (art. 1, 1), potrebbe un ostacolo ermeneutico all‟applicazione di un

istituto che invece, di nome e di fatto, si basa sulla dipendenza economica12.

Tuttavia tale argomento, meramente lessicale, non pare essere convincente, in quanto non tiene conto della profonda differenza che assumono le due nozioni di “dipendenza economica” nella disciplina dell‟abuso e di “indipendenza economica” nella disciplina del franchising: con la prima si indica la situazione in cui un‟impresa forte sia in grado di imporre unilateralmente la propria volontà contrattuale su un impresa debole, con la seconda si indica la condizione che due imprese siano soggetti giuridici distinti, non riconducibili ad un'unica entità economica.

Quindi, il termine“indipendenza economica” della Legge sul franchising non è il contrario del termine “dipendenza economica” della Legge sulla subfornitura, sicché non v‟è incompatibilità ontologica tra le due fattispecie: anche se letteralmente suona paradossale, tra due imprese economicamente indipendenti (ai sensi della Legge sul franchising) può sussistere una dipendenza economica (ai sensi della Legge sulla subfornitura).

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Colangelo G., Prime note di commento alla normativa in materia di franchising, in Corriere Giuridico, n. 7/2004, pag. 856.

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