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IL CONTRATTO DI FRANCHISING

4. La tutela: I Imperatività, II Forma, III Durata

Atteso che, nei fatti e nella visione del Legislatore, i franchisee sono in un posizione di endemica debolezza nei confronti del franchisor (parallelamente a come si è visto esserlo il subfornitore nei confronti del committente), è opinione condivisa che la L. 129/2004 sia volta a fornire una specifica tutela a suo favore (così come si è visto fare la L. 192/1998 per il subfornitore): “Dopo la legge sulla subfornitura ed il decreto

legislativo sui ritardi di pagamento ecco un nuovo intervento del legislatore in tema di contratti tra imprese, che muove dal presupposto che una delle imprese contraenti necessiti di tutela” 13.

Nella normativa in esame è ravvisabile una serie di strumenti di protezione a favore della parte debole, tra i quali in particolare: l‟imperatività di alcune norme, la forma scritta, una specifica disciplina della durata del rapporto e la previsione di c.d. doveri di disclosure.

È facile ricondurre tali strumenti ai fattori di debolezza indicati cui sono volti a rimediare: l‟imperatività delle norme e la forma scritta sono riconducibili alla duplice esigenza di arginare il potere contrattuale del franchisor e di garantire che il franchisee sia quantomeno edotto di tale potere; la disciplina della durata del rapporto è chiaramente volta a tutelare gli investimenti specifici del franchisor; i doveri di disclosure tendono, infine, a porre rimedio al gap informativo che subisce il franchisee nei confronti del franchisor.

Circa il primo strumento, ossia l‟imperatività delle norme, si ritiene che la disciplina del franchising posta dalla L. 129/2004 non sia derogabile dalle parte.

Tale assunto si fonda innanzitutto sulla sopraesposta interpretazione teleologica che vede nella L. 129/2004 uno strumento di tutela per la parte debole e troverebbe positivo riscontro in una serie di specifiche previsioni. In primo luogo rileverebbe a tal

13

Per tutti si veda De Nova G., La nuova legge sul franchising, I contratti, 8-9/2004, pag. 761: “Dopo la legge sulla subfornitura ed il decreto legislativo sui ritardi di pagamento ecco

un nuovo intervento del legislatore in tema di contratti tra imprese, che muove dal presupposto che una delle imprese contraenti necessiti di tutela”.

186 proposito l‟art. 3,1° comma, che sancisce la nullità del contratto verbale; imponendo così la forma scritta ad substantiam come requisito del contratto non derogabile dalle parti. In secondo luogo rileverebbe la norma transitoria di cui all‟art. 9, che impone l‟adeguamento dei vecchi contratti alla nuova disciplina: l‟imperatività della disciplina in esame sarebbe, quindi, persino retroattiva, dovendosi applicare anche ai contratti stipulati prima della sua entrata in vigore. Infine, rileverebbe l‟art. 1,1° comma, che, in un‟ottica antielusiva, stabilisce l‟applicazione della legge a tutti contratti di franchising, comunque denominati. Non varrebbe a nulla la volontà delle parti di configurare il rapporto come un contratto diverso dal franchising se, nella sostanza, si tratta invece di un franchising: si applicherebbe comunque la normativa sul franchising, confermando anche da questo punto di vista la sua imperatività.

La preoccupazione del Legislatore che il contenuto del contratto sia verificabile ed effettivamente conoscibile (e quindi in forma scritta) e che la legge si applichi anche ai contratti di affiliazione commerciali stipulati prima della sua entrata in vigore, nonché a tutti i contratti successivi, anche se qualificati in modo diverso, sarebbe un chiaro ed in equivoco segno che tale disciplina non può essere assolutamente derogata dalle parti.

Circa il secondo strumento di tutela della parte debole, ossia la forma scritta, si rileva che, come detto sopra, l‟art. 3,1 stabilisce che “Il contratto di affiliazione

commerciale deve essere redatto per iscritto a pena di nullità”.

A tale previsione si affianca quella dell‟art. 3,2° comma, il quale stabilisce il contenuto sostanziale minimo che deve il contratto di franchising, in modo tale da garantire che la forma scritta sia effettiva e che siano espressi per iscritto tutti gli elementi del contratto, impedendo che il testo formalmente scritto presenti un contenuto del tutto insufficiente, in modo che, poi, il vero contenuto del contratto sia, di fatto, determinato oralmente o per fatti concludenti:

“Il contratto deve inoltre espressamente indicare:

a) l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso che l’affiliato deve sostenere prima dell’inizio dell’attività;

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b) le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties, e l’eventuale indicazione di un incasso minimo da realizzare da parte dell’affiliato;

c) l’ambito di eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali ed unità di vendita direttamente gestiti dall’affiliante;

d) la specifica del know-how fornito dall’affiliante all’affiliato;

e) le eventuali modalità di riconoscimento dell’apporto di know-how da parte dell’affiliato;

f) le caratteristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica e commerciale, progettazione ed allestimento, formazione;

g) le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto

stesso”.

Attesa la finalità di tutela che pacificamente si attribuisce alla normativa, per la forma del contratto di franchising valgono tutte le considerazioni svolte nel capitolo precedente per la forma del contratto di subfornitura, cui si rimanda, le quali portano a qualificare tale invalidità come nullità relativa, azionabile solo ed esclusivamente dalla parte nel cui interesse essa è stabilita (ossia il franchisee).

Infine, circa il terzo strumento di tutela, ossia la specifica disciplina della

durata del rapporto, si deve richiamare tutto quanto detto nei capitoli precedenti circa

la necessità, per l‟impresa che ha effettuato investimenti specifici, di mantenere in vita il rapporto per un tempo sufficiente almeno a rientrare di tali investimenti, non altrimenti convertibili in altri impieghi (almeno non senza ingenti costi e perdite).

La controparte, forte del fatto che l‟altra parte di fatto non può uscire dal rapporto, si trova, quindi, in una posizione di forza che le potrebbe consentire di piegare il rapporto a suo esclusivo vantaggio, sotto la minaccia dell‟interruzione del rapporto medesimo. Per questo motivo il Legislatore ha espressamente disciplinato la durata minima del rapporto di franchising, che non può essere inferiore a tre anni e comunque al tempo necessario ad ammortizzare l‟investimento iniziale.

Tuttavia si deve rilevare che, inspiegabilmente, tale norma si riferisce solo ai contratti a tempo determinato, senza nemmeno menzionare quelli a tempo

188 indeterminato (per i quali, paradossalmente, l‟esigenza di garantire una durata minima è ancora più pressante). In proposito è stato autorevolmente osservato che “È in

quest’ottica – ovvero con l’obiettivo di neutralizzare i rischi di hold up monopolistico – che va interpretato l’inserimento di una recovery period rule che assicuri una vita minima al rapporto, affinché l’affiliato possa recuperare gli investimenti sostenuti: l’art. 3, comma 3, prevede, quindi, che «qualora il contratto sia a tempo indeterminato, l’affiliante dovrà comunque garantire all’affiliato una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni». Peccato che il legislatore, colto da sonno improvviso,abbia dimenticato di estendere la previsione anche all’ipotesi del contratto a tempo indeterminato, aprendo così la strada al risultato, assolutamente paradossale, di consentire in quella sede il recesso ad nutum senza la garanzia dei tre anni”14.

Un ulteriore considerazione da fare è che, nei rapporti di franchising, all‟interesse del franchisee alla durata e alla stabilità del rapporto si oppone l‟interesse contrario ed opposto del franchisor a poter escludere immediatamente dalla rete i franchisee che con i loro comportamenti scorretti ed abusivi arrechino danno all‟intero sistema. Infatti, il franchisee poco diligente che abbassi gli standard qualitativi del prodotto o del servizio commercializzato crea un enorme danno al franchisor e a tutto il sistema perché gli utenti non imputeranno a lui la carenza, ma la attribuiranno all‟intera rete, apparendo questa ai loro occhi come un unico operatore commerciale, non come una pluralità di imprese autonome e distinte. Per questo motivo è legittimo e giustificato l‟interesse del franchisor a poter sorvegliare l‟operato dei propri franchisee ed eventualmente ad estromettere dalla rete quelli che non rispettano gli standard della sua formula commerciale15.

14

Colangelo G., Prime note di commento alla normativa in materia di franchising, in Corriere Giuridico, n. 7/2004, pag. 855.

15

Sul punto si veda ancora Colangelo G., Prime note di commento alla normativa in materia di franchising, in Corriere Giuridico, n. 7/2004, pag. 853: “Guardando il fenomeno da questa angolazione, si sbiadisce perfino la connotazione di sopruso che solitamente accompagna il momento terminale del rapporto: clausole giudicate a prima vista vessatorie – come le termination clauses che non prevedono la necessità di addurre una giusta causa o che contemplano preavvisi molto brevi – risulteranno legittime, in quanto tese ad evitare la sclerosi dell’intera rete, scongiurando le perdite di efficienza connesse ai comportamenti opportunistici”.

189 Tale aspetto, tuttavia, non viene espressamente preso in considerazione dal Legislatore, a conferma, si direbbe, che il suo scopo sia stato quello di tutelare il franchisee e non quello di dettare una disciplina organica e completa dell‟istituto.

Da tutto quanto sopra esposto si rileva che gli strumenti di protezione previsti e disciplinati dalla Legga in esame (forma scritta, imperatività e durata del rapporto) sono volti a tutelare una parte che si trova in posizione di debolezza economica nei confronti dell‟altra a causa degli investimenti specifici che ha effettuato. La situazione non è troppo distante da quella della subfornitura: anche lì la debolezza del subfornitore deriva dall‟esecuzione di investimenti specifici e vi si pone rimedi con strumenti simili.

Tuttavia, come si è già osservato, la dipendenza economica derivante dall‟esecuzione di investimenti specifici è solo una delle diverse eventuali caratteristiche che assumono i rapporti business to business nelle aggregazioni tra imprese intermedie tra il mercato e la gerarchia. Gli strumenti esaminati nel presente paragrafo, quindi, sono utili per la comprensione e la disciplina del fenomeno delle aggregazioni tra imprese ma non esauriscono il fenomeno né sono necessariamente richiesti per tutti i rapporti di tale tipo, bensì solo per quelli affetti dalla forma patologica di interdipendenza costituita dalla dipendenza economica unilaterale.