• Non ci sono risultati.

L’ORDINAMENTO REGIONALE

4. I rapporti interni tra le imprese del distretto

Anche nel sistema veneto com’è stato nella legislazione statale almeno fino alla recente Legge 9 aprile 2009 n. 33, la prospettiva da cui viene visto il distretto è – non potrebbe essere altro – solo ed esclusivamente quella esterna e pubblicistica dell’intervento a sostegno del sistema economico.

Il distretto viene riconosciuto e disciplinato solo nel suo rapporto con la Pubblica Amministrazione, non anche nei rapporti interni tra i soggetti che lo compongono. L’aspetto interno e privatistico dei rapporti economici e giuridici tra le imprese del distretto non viene direttamente affrontato dal Legislatore Regionale perché non ne ha la competenza ex art. 117 Cost. e perché comunque non è quello l’obbiettivo che egli si propone.

Tuttavia, tale aspetto privatistico del distretto indirettamente emerge in più parti della normativa in esame in quanto le imprese del distretto intrattengono rapporti non solo con l’Amministrazione regionale ma anche tra loro stesse. In particolare, il sistema veneto prevede che le imprese aderenti nominino un proprio rappresentante e che esse, almeno alcune, si uniscano per progettare e realizzare insieme le singole azioni previste nel patto di sviluppo, dei cui risultati deve partecipare l’intera aggregazione.

Quindi, le relazioni intersoggettive che si creano nel contesto del distretto tra le imprese aderenti si articolano sotto tre profili: quello del rappresentante comune, quello della realizzazione in gruppo dell’azione specifica e quello della condivisione tra tutti dei risultati utili dell’azione posta in essere.

Per quanto riguarda il rappresentante di distretto, l’art. 6 “Rappresentante del patto di sviluppo distrettuale e metadistrettuale” prevede che i soggetti partecipanti, contestualmente alla conclusione del patto medesimo, individuino al proprio interno una persona cui attribuiscono specifico mandato a rappresentare il patto medesimo nella Consulta, ossia l’organo regionale volto a sovraintendere alla realizzazione dei

patti di sviluppo9, nonché ad assicurare la coerenza strategica e a monitorare la fase di realizzazione dei progetti esecutivi.

Tale rappresentanza tuttavia non è una rappresentanza negoziale di diritto privato ma una rappresentanza limitata ai rapporti con la Pubblica Amministrazione, poiché la norma prevede espressamente solo che il rappresentate del patto lo rappresenti solo nella Consulta,.

Inoltre, tale disposizione presenta evidentemente alcune imprecisioni.

In primo luogo, è chiaramente scorretto definire il rappresentante come “rappresentante del patto”, anziché del distretto o, quanto meno, dei soggetti aderenti al distretto. L’unica interpretazione che permette di conservare un significato a tale disposizione è che il “rappresentante del patto” rappresenti i soggetti che hanno concluso il patto medesimo.

In secondo luogo la norma parla di mandato, ma tale qualificazione pare limitante. Infatti essa è adeguata per quanto riguarda il potere/dovere del rappresentate di rappresentare il distretto nella Consulta, mentre le attività di assicurare la coerenza strategica del patto e di monitorarne la fase di realizzazione sembrano piuttosto costituire l’oggetto di un contratto d’opera.

I bandi annuali di concorso specificano che il Rappresentante del Patto deve fornire alla Regione, a pena di inammissibilità dei progetti esecutivi proposti, “un

parere di congruità avente ad oggetto la valutazione in termini di coerenza dei progetti presentati con quanto indicato nel Patto di Sviluppo di riferimento” e a tal

fine il progetto presentato deve da lui essere siglato per presa visione.

9

L.art. 9 della L. Reg. n. 8/03 stabilisce che:

“1. Presso la Giunta regionale è istituita la consulta dei distretti e meta distretti.

2. La consulta è l’organismo di partecipazione dei distretti alla fase di realizzazione e monitoraggio dei patti di sviluppo distrettuale.

3. La consulta di cui al comma 1 è composta dai rappresentanti individuati da ciascun patto ai sensi dell’articolo 6, da un rappresentante per ciascuna delle associazioni previste dal tavolo di concertazione regionale ed è presieduta dall’Assessore competente in materia di politiche per l’impresa, che la convoca.

4. Ciascun componente della consulta decade di diritto allo scadere del triennio indicato all’articolo 7 comma 3. (13)

5. La consulta esprime parere sui patti di sviluppo distrettuale presentati ai sensi dell’articolo 8”.

È inoltre previsto che il Rappresentante, in considerazione del suo ruolo di garante dell’attuazione del Patto di Sviluppo, non possa essere il soggetto che propone un progetto attuativo.

Proprio la fase della attuazione in gruppo delle azioni previste dai Patti per lo Sviluppo pone la questione di quale sia la natura giuridica del distretto.

I singoli progetti esecutivi per ciascun patto di sviluppo distrettuale sono elaborati, proposti e realizzati non direttamente dal distretto in quanto tale, che non risulta espressamente avere una soggettività giuridica sua propria, ma da un’aggregazione costituita da alcuni dei soggetti lo compongono (come si è detto, i bandi annuali specificano che tali aggregazioni siano composte da almeno 10 soggetti per i distretti e 15 per i metadistretti).

Ciò impone di chiedersi in quale forma i soggetti promotori si aggreghino per la realizzazione in comune dell’opera e quali siano i relativi rapporti giuridici tra loro intercorrenti.

In proposito l’art. 13 stabilisce che per accedere al finanziamento dei progetti esecutivi “le imprese si costituiscono in associazioni temporanee d’impresa o di scopo,

in consorzi, ovvero nella altre forme di aggregazione previste dall’ordinamento giuridico”.

I bandi annuali di concorso prendono in considerazione il modello di aggregazione tra imprese tipico nei rapporti tra queste e la Pubblica Amministrazione relativi all’aggiudicazione e all’esecuzione di appalti pubblici, ossia l’associazione temporale di imprese o di scopo. Nei bandi si legge che “La costituzione

dell’associazione temporanea di impresa o di scopo (A.T.I. o A.T.S.) avviene mediante conferimento di un mandato con rappresentanza, anche processuale, ad una capogruppo che rappresenta l’aggregazione in tutti i rapporti necessari per lo svolgimento dell’attività, fino all’estinzione di ogni rapporto. Il mandato è conferito con atto pubblico o scrittura privata ai sensi degli articoli 1703 e seguenti del codice civile” (art. 2 del bando per l’anno 2009).

La A.T.I. è un istituto introdotto nell’ordinamento giuridico italiano con la Legge 8 agosto 1977, n. 584 ed oggi disciplinata dal c.d. “Codice degli appalti”, D.Lgs. n. 163/2006, che costituisce un’entità di fatto, dotata di struttura unitaria nei soli rapporti con la Pubblica Amministrazione.

Lo strumento tecnico utilizzato per dare luogo a tale forma di associazione è quello del mandato con rappresentanza, anche processuale, ad una società capogruppo che rappresenta l’aggregazione in tutti i rapporti necessari per lo svolgimento dell’attività, fino all’estinzione del rapporto. Il mandato è conferito con atto pubblico o scrittura privata autenticata.

Per quanto riguarda il soggetto giuridico, l’aggregazione non costituisce autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive, non vi è una organizzazione o associazione fra le imprese riunite, sicché ogni impresa conserva la propria autonomia ai fini della gestione degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali.

I concorrenti associati, con la presentazione dell’offerta, assumono la responsabilità solidale nei confronti dell’Amministrazione, nonché nei confronti delle imprese subappaltanti e dei fornitori; peraltro gli assuntori di lavori scorporabili sono responsabili nei limiti dell’esecuzione dei lavori di loro rispettiva competenza, ferma restando la responsabilità solidale della capogruppo.

L’istituto dell’associazione temporanea di imprese non è però utile a comprendere e disciplinare i rapporti interni e privatistici tra le imprese che compongono il distretto.

Sostanzialmente la legge veneta si disinteressa di quali siano la natura dell’aggregazione tra le imprese e la disciplina delle relazioni tra loro intercorrenti, limitandosi a stabilire che esse possono assumere una qualsiasi forma prevista dall’ordinamento (“le imprese si costituiscono in associazioni temporanee d’impresa o

di scopo, in consorzi, ovvero nella altre forme di aggregazione previste dall’ordinamento giuridico”). .

Dai bandi annuali, si ricava inoltre che alle aggregazioni di imprese attuatrici possono partecipare anche imprese che non fanno parte del distretto, sempre a condizioni che sia coinvolto il numero minimo di imprese tra quelle sottoscrittrici del patto.

Ulteriori indicazioni rilevanti contenuta nei bandi sono quella per cui non sono ammessi a partecipare ai bandi medesimi “le aggregazioni tra imprese nelle quali

un’impresa assuma partecipazioni superiori al 30% in altre imprese costituenti la medesima aggregazione” (art. 2 del bando per l’anno 2009) e quella per cui

singolarmente costi di progetto superiori al 45% del totale delle spese ammissibili e rendicontate” (art. 13 del bando per l’anno 2009).

Tali prescrizioni sono evidentemente volte a garantire che i finanziamenti siano appannaggio di una aggregazione effettiva di imprese, non di un'unica impresa che solo apparentemente o fittiziamente si maschera come una pluralità di soggetti diversi. Emerge quindi l’interesse a garantire effettivamente la sussistenza di quello che si è visto essere l’elemento costitutivo per eccellenza del concetto di distretto, ossia la concentrazione di una pluralità di imprese.

I bandi annuali specificano, inoltre, che per ciascuna tipologia di misure ogni distretto può ottenere il finanziamento di un solo progetto attuativo (art. 3 del bando per l’anno 2009).

Ciò sottende la questione del coordinamento tra le imprese costituenti il distretto. Infatti, come si è detto, i progetti attuativi sono presentati autonomamente e indipendentemente da un gruppo di imprese partecipanti al distretto, non dal distretto in sé. Astrattamente quindi può accadere che all’interno del medesimo distretto si creino più raggruppamenti composti da imprese diverse che intendono ciascuno attuare una propria misura esecutiva del patto di sviluppo, eventualmente anche gli uni all’insaputa degli altri.

La normativa in esame non disciplina in alcun modo come e da chi debbano essere prese tali decisioni all’interno del distretto. Per usare una terminologia che tornerà utile nei capitoli successivi dedicati all’analisi economica delle aggregazioni tra imprese interdipendenti, si può dire che resta aperto ed irrisolto il problema dell’allocazione del potere decisionale all’interno del distretto.

A tale proposito, solo a livello di bandi e non di legislazione, si rileva che un qualche ruolo nell’allocazione del potere decisionale e nel coordinamento tra le imprese è assegnato al Rappresentante del Patto. Nei bandi si legge infatti che “In caso

di più progetti presentati a valere su una stessa misura, il Rappresentante del Patto di Sviluppo indica quale ritiene maggiormente rilevante ai fini dello sviluppo industriale” e, in caso di mancata indicazione, i progetti concorrenti subiscono una

penalizzazione in termini di punteggio nella valutazione di ammissibilità (art. 4 del bando per l’anno 2009).

Per quanto riguarda il terzo degli aspetti dei rapporti intersoggettivi interni al sitretto, ossia quello della condivisione dei risultati utili, la Legge veneta è chiara nello stabilire che il progetto è volto allo sviluppo dell’intero distretto e non solo delle singole imprese che hanno realizzato il progetto.

L’art. 12 sancisce espressamente che “i beni materiali e immateriali, conseguiti

con la realizzazione dei progetti … appartengono ai proponenti e realizzatori dei progetti medesimi”, ma le utilità spettano a tutti i sottoscrittori e “il patto di sviluppo deve contenere, pena la non ammissibilità, le modalità d’accesso ai risultati o ai beni conseguiti dai progetti da parte delle imprese sottoscrittrici il patto costituenti il distretto o metadistretto medesimo”.

I bandi annuali specificano che i soggetti che chiedono il finanziamento devono dichiarare espressamente “di impegnarsi a divulgare i risultati conseguiti dalla

realizzazione dei progetti cofinanziati con la descrizione delle modalità d’accesso ai risultati o ai beni conseguiti dai progetti da parte delle imprese sottoscrittrici il patto, costituenti il distretto o meta distretto di riferimento” (art. 4 del bando per l’anno

2009).

Tale aspetto rappresenta uno dei più interessanti per quanto riguarda la materia delle aggregazioni tra imprese interdipendenti. Infatti, come si vedrà in seguito, una delle caratteristiche delle aggregazioni tra imprese interdipendenti è proprio la possibilità che in tali contesti imprenditoriali si producano dei beni collettivi, come ad esempio un determinato know how oppure una particolare immagine commerciale legata al territorio, la cui attribuzione e appropriazione da parte delle singole imprese presenta notevoli problematiche.

La Legge veneta percepisce il problema e ne tiene conto, ma lo affronta solamente, e non potrebbe fare altro, che rimettendolo all’autonomia negoziale delle parti, ossia imponendo alle imprese di prevedere e disciplinare autonomamente la questione dell’a partecipazione alle utilità collettive prodotte dal distretto medesimo.

5. Conclusioni

Concludendo questo sommario esame sul distretto nell’ordinamento della Regione Veneto, si può osservare che, nonostante la L. Reg. 8/03 non permetta, com’è ovvio, di definire e disciplinare il distretto dal punto di vista privatistico, essa pare cogliere la vera essenza del fenomeno distrettuale.

Come si è già osservato sopra, gli elementi costitutivi della nozione veneta di distretto coincidono con quelli enucleabili dal complesso normativo succedutosi a livello nazionale: concentrazione locale di una pluralità di imprese, specializzazione in un determinato settore produttivo, stretti legami con il territorio e le sue istituzioni.

Di più, il Legislatore veneto anticipa alcune delle conquiste concettuali in materia che il Legislatore nazionale raggiungerà solo più tardi.

In primo luogo, si evidenzia la spontaneità dell’aggregazione delle piccole e medie imprese, che liberamente si determinano a cooperare per il loro sviluppo. La precedente normativa nazionale (L. 317/91) attribuisce alla Pubblica Amministrazione regionale il potere d’individuare d’imperio i distretti sulla base di criteri statistici e qualitativi astratti (approccio gerarchico “top-down”).

Nel sistema veneto invece sono direttamente le imprese, che sentendosi parte di un distretto, si accordano per proporsi alla Regione come tale (approccio aggregativo “bottom-up”)11

.

Ciò garantisce che il distretto non sia solo una qualificazione imposta dall’alto ad un insieme di aziende accomunate solo dal fatto di operare nello stesso settore e nello stesso territorio, ma sia un organismo vivo, composto da imprese che di propria iniziativa si coordinano per raggiungere un risultato utile a tutti. Nella pagina di presentazione del sito web dell’Ufficio Distretti Produttivi della Regione Veneto si legge che il principio ispiratore della Legge Veneta “…superando l’oramai desueta

visione top down, induce le PMI ad aggregarsi volontariamente per eliminare la frammentarietà imprenditoriale tipicamente veneta creando un sistema “a rete” che partendo dal basso secondo un approccio bottom up fa sì che queste si sentano parte

11

Così anche Cafaggi F., in Cafaggi F. (a cura di), Reti d’imprese tra regolazione e norme sociali – Nuove sfide per diritto ed economia, Il Mulino, 2004, pag. 49.

integrante di un sistema potendosi attivare in modo aggregato all’interno di un programma di iniziative concordate previste nel Patto di sviluppo”12.

In secondo luogo, in Veneto i soggetti distrettuali mantengono integre la propria individualità e la propria indipendenza. Il distretto non costituisce alcuna sovrastruttura (un’associazione, un consorzio, un ente pubblico…) che si sostituisce ai partecipanti: “Il modello predisposto dalla Regione Veneto presuppone … che non sia necessaria

una forma stabile di governo del distretto ma piuttosto un coordinamento dei responsabili dei singoli patti”13. L’accreditamento quale distretto sostanzialmente è

solo il riconoscimento formale delle particolari relazioni economico\organizzative che di fatto intercorrono tra le imprese. Tale riconoscimento è solo il presupposto per l’intervento di sostegno finanziario da parte della Regione e non comporta alcun effetto nei rapporti tra le imprese medesime.

In terzo luogo, il concetto di distretto viene esteso fino ad includere, oltre al settore manifatturiero (distretto industriale), il settore dei servizi (distretto produttivo).

Infine, il distretto viene svincolato dai confini amministrativi dei comuni del territorio in cui si estende, evitando così gli esiti inopportuni cui aveva portato la precedente normativa nazionale (L. 317/91) basata su parametri statistici e formali.

Nella dottrina economica, anche internazionale14, si è ragionato molto sulla fortuna del modello distrettuale. Comunemente si riconosce che questo modello ha prodotto dei risultati eccezionali per la presenza di specifici elementi difficilmente presenti in altri contesti imprenditoriali. Si è osservato, in particolare, che nel distretto si producono spontaneamente “esternalità positive derivanti dalla presenza congiunta

di imprese specializzate e servizi dedicati”15.

12

http://www.distrettidelveneto.it/index.php?option=com_content&task=view&id=159&Itemid =6

13

Cafaggi F., in Cafaggi F. (a cura di), Reti d’imprese tra regolazione e norme sociali – Nuove sfide per diritto ed economia, Il Mulino, 2004, pag. 48.

14

Cafaggi F., Introduction, in AA. VV., Contractual Networks, inter-firm cooperation and economic growth, Edward Elgar, 2011: “Their competitive advantages have been identified

with superior ability to adapt to changes in markets and technologies. Economies of agglomeration and specialization have characterized these systems and their ability to generate modes of governance capable of internalizing collectively positive externalities”.

15

Una delle peculiarità del fenomeno è che, all’interno del distretto, a causa della forte concentrazione di imprese operanti nel medesimo settore, la competizione è altissima e ciò rappresenta sia una grandissima spinta alla ricerca dell’efficienza e dell’innovazione.

Inoltre, nel distretto, accanto al livello di competizione sopra menzionato, si registra un’altrettanto alto livello di collaborazione tra le imprese, favorito dalla facilità di comunicazione tra soggetti che generalmente si conoscono personalmente e sono nati e cresciuti nello stesso ambiente e che si trovano ad affrontare esigenze e problematiche comuni. In proposito è stato coniato il neologismo “coompetition” quale fusione delle parole cooperation e competition16. Ciò permette alle imprese, ad esempio, di cooperare per creare delle economie di scale pur mantenendo le loro dimensioni ridotte, con considerevole vantaggio in termini di dinamicità e flessibilità commerciale.

Ancora, nel distretto si registra la presenza di attori istituzionali locali che hanno interesse istituzionale e si adoperano fattivamente a favorire il sistema distrettuale per la tutela e lo sviluppo del territorio e della comunità locali, come camere di commercio, scuole di formazione, enti pubblici, associazioni di categoria, banche…

Infine, ma è forse l’elemento che maggiormente ha contributo al successo del sistema distrettuale, nel distretto tipicamente v’è un’altissima circolazione di conoscenze ed un altissimo livello di specializzazione: il know how è radicato nel territorio, è condiviso da tutta la comunità, circola tra le imprese, le fasi produttive sono divise tra aziende che vi si specializzano raggiungendo livelli di innovazione altrimenti difficili da raggiungere.

16

Bresolin F., in Nicoletti P. A. (a cura di), Una legge per i distretti – Come diventare grande impresa rimanendo piccola e autonoma, Francoangeli, 2009.

CAPITOLO III