• Non ci sono risultati.

L’interdipendenza: il franchising come modello ibrido

IL CONTRATTO DI FRANCHISING

6. L’interdipendenza: il franchising come modello ibrido

Il rapporto di franchising, anche per come configurato dalla L. 129/2004, incarna in modo esemplare uno di quei fenomeni di relazioni tra imprese che nel capitolo quarto sono stati definiti modelli ibridi tra le gerarchia ed il mercato e che si è visto essere caratterizzati dall‟interdipendenza tra soggetti giuridicamente e formalmente autonomi ed indipendenti, ma di fatto strettamente legati gli uni agli altri.

18

Pandolfini V., Gli obblighi informativi nella nuova legge sul franchising, I contratti, 1/2005, pag. 73.

194 È vero che ciascun franchisee utilizza una formula commerciale concessagli dal franchisor, e che generalmente quest‟ultimo si riserva un potere di direzione e controllo sull‟attività del primo, ma, è opportuno sottolinearlo in modo chiaro ed in equivoco, il franchisee non è un‟agenzia, una succursale o una filiale del franchisor, né un suo lavoratore subordinato o parasubordinato, né un società del suo gruppo societario: : “Il contratto di franchising intercorre necessariamente tra soggetti

indipendenti sial sul piano economico che giuridico. Non rientrano quindi, com’è del resto pacifico, nella nozione di franchising i contratti tra soggetti legati da vincolo di subordinazione, né contratti tra società dello stesso gruppo”19. Ciascun franchisee è un imprenditore autonome ed indipendente, distinto tanto dal franchisor (con il quale tuttavia è legato da uno stretto rapporto contrattuale), quanto dagli altri franchisee (con i quali in via di principio non intrattiene proprio alcun rapporto giuridico).

Il concetto è stato chiaramente ed efficacemente riassunto così: “Laddove,

infatti, il produttore rinunci ad una forma di integrazione verticale di tipo proprietario che gli consenta, attraverso filiali e succursali, di curare direttamente la fase della distribuzione, l’alternativa più diffusa consiste nell’avvalersi di una rete di operatori commerciali giuridicamente autonomi, estranei cioè alla struttura imprenditoriale del produttore, legati a quest’ultimo da una ragnatela di accordi, per effetto dei quali è possibile realizzare una forma di integrazione verticale pattizia … Destreggiandosi tra le numerose definizioni fornite, si rilevano quali elementi caratterizzanti largamente condivisi quelli della collaborazione tra entità autonome ma strettamente integrate …

(il franchising) si candida, cioè, come uno degli esempi più calzanti di relational

contract, ossia di quelle forme contrattuali particolarmente complesse che si prestano ad essere configurate come intermedie tra mercato e struttura gerarchica”20.

Pertanto, elemento essenziale del franchising è che il franchisor ed i franchisee siano soggetti diversi, distinti ed autonomi. Tuttavia, altrettanto caratterizzante per il franchising, è il fatto che l‟attività dei franchisee sia profondamente determinata e controllata dal franchisor.

19

Bortolotti F., Manuale di diritto della distribuzione, Vol. II, CEDAM 2007, pag. 65. 20

Colangelo G., Prime note di commento alla normativa in materia di franchising, in Corriere Giuridico, n. 7/2004, pag. 851.

195 Come si accennava sopra, il franchisor concede l‟utilizzo della propria immagine e della propria formula commerciale, ma non ne cede la titolarità, sicché egli continua e continuerà, a trarne profitto e, quindi, mantiene un fortissimo interesse che queste mantengano la propria affermazione e il proprio successo sul mercato.

Per questo motivo il franchisor, a fronte della concessione dell‟utilizzo della propria immagine e della propria formula commerciale, pretende che il franchisee mantenga adeguati livelli di qualità e di affidabilità nel commercializzare il prodotto o il servizio.

Ciò spiega perché nella prassi i contratti di franchising generalmente presentano molteplici e dettagliate clausole che attribuiscono al franchisor il potere di direzione, coordinamento e controllo sull‟attività dei franchisee.

In particolare, il franchisor si riserva tipicamente il potere di determinare almeno alcuni aspetti dell‟attività dei franchisee, come ad esempio quelli relativi agli standard qualitativi del prodotto o servizio, alle campagne pubblicitarie da effettuare, all‟arredamento e all‟immagine dei punti vendita, alla selezione ed istruzione del personale, ai fornitori da cui approvvigionarsi… Corrispondentemente, sono generalmente previsti anche penetranti poteri di controllo che consentono al franchisor di verificare l‟effettivo rispetto di tali prescrizioni da parte del franchisee.

In giurisprudenza21 si arrivati a sostenere che tali previsioni contrattuali, che di fatto attribuiscono al franchisor il potere di indirizzare e controllare l‟attività imprenditoriale del franchisee, costituirebbero una forma di coordinamento tra società di cui all‟art. 2497 septies C.C.

Tale aspetto del rapporto di franchising, importantissimo e inevitabilmente presente nei contratti stipulati nella prassi, non viene in alcun modo preso in considerazione dal Legislatore, la L. 129/2004 non spende nemmeno una parola per disciplinare (e garantire) il potere del franchisor di dirigere, coordinare e controllare la propria rete di franchisee.

Ciò richiama quanto detto sopra in relazione alla mancata considerazione dell‟interesse del franchisor all‟espulsione dei franchisee “nocivi” per la rete, ossia che lo scopo della Legge in esame non è quello di dettare una disciplina organica e

21

Tribunale di Pescara, 16.01.2009, in Le Società, 2010, n. 6, pag. 683, con nota di Zanelli V., Contratto di franchising ed abuso di direzione e coordinamento contrattuale.

196 completa del franchising, ma solo quello di tutelare il franchisee, considerato quale parte debole.

In proposito autorevole dottrina ha affermato:“Se questo è, in estrema sintesi, il

contenuto della legge in commento, e se per legge sul franchising intendiamo una legge che ordina e regola in modo organico questo tipo di contratto, possiamo dire che la legge 6 maggio2004, n. 129 non è la legge sul franchising. È una legge che (come quelle – per vero di molti anni fa –di altri paesi) vuole evitare truffe vestite da contratto di franchising, vuole evitare che aspiranti imprenditori vengano indotti a corrispondere somme senza nulla ottenere in cambio. Di qui la insita previsione di norme che riguardano la trasparenza, e dunque la fase di formazione del contratto, e la scarsità di norme sul contratto. Di qui il silenzio su punti qualificanti del contratto di franchising: lo scioglimento del contratto, la sorte delle scorte, l’obbligo del franchisee di usare marchi ed insegne del franchisor, l’obbligo del franchisee di rispettare determinati livelli di qualità ed in generale le prescrizioni del franchisor … Se si tiene conto di tutto ciò, e del fatto che non è neppure considerato il franchising industriale, trova conferma quanto ho avuto altra volta occasione di osservare: se per legislatore dei contratti intendiamo il legislatore che ordina e regola in modo organico la prassi contrattuale, il legislatore italiano dei contratti è morto”22.

In sostanza, il franchising è un caso esemplare di modello di organizzazione intermedio tra la gerarchia ed il mercato, ma non viene preso in considerazione dal Legislatore come tale, nella sua globalità e complessità, bensì solo ed esclusivamente come rapporto contrattuale in cui v‟è una parte debole da tutelare contro la controparte forte.

22

197

7. La rete

Un altro fenomeno che nel quarto capitolo si è visto essere tipico delle aggregazioni tra imprese è quello dell‟esistenza di stretti e vividi legami di fatto tra imprese tra le quali, invece, formalmente non intercorre alcun rapporto giuridico.

Anche di questo fenomeno, il franchising risulta essere un caso esemplare. Infatti, il contratto di franchising è un contratto bilaterale tra due imprese (franchisor e franchisee), tuttavia esso postula e presuppone una rete di imprese, costituita da una raggiera di rapporti bilaterali aventi come unico perno comune il franchisor. Si è quindi in presenza di una serie di contratti bilaterali che vedono da una parte un unico soggetto (l‟affiliante), ma dall‟altra parte una molteplicità di soggetti (gli affiliati) che tra loro non hanno assolutamente alcun rapporto contrattuale.

Tuttavia tra questi soggetti esiste una rilevante relazione, anche se non è una relazione contrattuale, in quanto essi costituiscono un qualcosa di unitario, la rete appunto, della cui esistenza si trova riscontro anche nella Legge stessa.

Infatti, per espressa definizione legislativa, il fenomeno del franchising non può essere limitato ad un solo rapporto tra l‟affiliante ed un affiliato, in quanto quest‟ultimo deve essere inserito, testualmente, “in un sistema costituito da una

pluralità di affiliati distribuiti sul territorio” (art. 1,1).

Inoltre, successivamente, è sempre la Legge a qualificare espressamente tale sistema come “rete”, laddove stabilisce che “Per la costituzione di una rete di

affiliazione commerciale l’affiliante deve aver sperimentato sul mercato la propria formula commerciale” (art. 3, 2°).

Ma non solo.

Il legislatore pare arrivare fino al punto di riconoscere l‟esistenza della rete come entità autonoma e distinta sia dal franchisor che dai franchisee che la compongono.

La Legge, nel disciplinare il corrispettivo cui l‟affiliato è tenuto nei confronti dell‟affiliante, distingue due voci: le c.d. “royalties” e la c.d. “entrance fee”.

198 Le royalties sono la voce di corrispettivo riferita all‟attività svolta dall‟affiliato, ossia “una percentuale che l’affiliante richiede all’affiliato, commisurata al giro

d’affari del medesimo o in quota fissa, da versarsi anche in quote fisse periodiche”

(art. 1, 3° lett. C).

La entrance fee, tradotta in italiano come “diritto di ingresso”, invece è la voce di corrispettivo che si riferisce precipuamente alla rete, ossia il contributo che l‟affiliato deve pagare per entrare a farne parte:“Nel contratto di affiliazione

commerciale si intende: … per diritto di ingresso, una cifra fissa, rapportata anche al valore economico e alla capacità di sviluppo della rete, che l’affiliato versa al momento della stipula del contratto…” (art. 1, 3° lett. B).

Nel disegno legislativo, quindi, la rete è un‟entità che esiste, un‟entità in cui si può fare ingresso e che ha un suo valore economico ed una sua capacità di sviluppo.

Il fatto che il Legislatore consideri la rete come un‟entità a sé state, diversa sia dal franchisor che dai franchisee che la compongono, potrebbe consentire di considerare tale rete, se non come un vero e proprio soggetto di diritto, almeno come un centro d‟imputazione di interessi, autonomo e distinto dai nodi che la compongono.

A ciò si deve aggiungere che la rete ha una sua esistenza non solo nella Legge, ma anche nella realtà fattuale.

Infatti, nella percezione dei consumatori, non esistono l‟impresa affiliante e le diverse imprese affiliate ma esiste solo la rete: “…la pluralità di affiliati costituisce un

«sistema» nella misura in cui essi possano venire individuati come parte della medesima rete, il ché avviene appunto attraverso l’identificazione dei punti vendita con insegne o marchi comuni”23.

Se si pensa alle famose catene di fast food americane, il concetto è chiarissimo. Il consumatore non percepisce l‟autonomia e la distinzione tra un ristorante e l‟altro, tanto meno i rapporti tra questi e la società madre, egli percepisce semplicemente un unico produttore che, attraverso molteplici punti vendita, offre in tutto il mondo il medesimo prodotto con un'unica formula (prezzo, immagine, pubblicità…): egli non conosce l‟affiliante e gli affiliati, conosce solo la rete.

23

199 Il fenomeno per cui agli occhi dei consumatori le rete dei franchisee, non appare come una molteplicità di imprese autonome ed indipendenti, ma piuttosto come un articolazione di punti vendita di un‟unica impresa, è stato preso in considerazione anche dalla giurisprudenza.

Si è osservato che tale apparenza ingenera nel consumatore il convincimento legittimo di entrare in rapporto con un'unica impresa e, quindi, l‟aspettativa di riscontrare presso ciascun nodo della rete la medesima realtà commerciale, quanto a qualità ed affidabilità dei prodotti o dei servizi.

Tale apparenza e tali aspettative sono create dal franchisor, che concede consapevolmente e volontariamente i propri segni distintivi e la propria formula commerciale ai franchisee, sicché si è affermato che egli è responsabile, in forza del c.d. principio dell‟affidamento, nei confronti del consumatore che veda tale aspettativa delusa dal franchisee che offre prodotti o servizi non corrispondenti agli standard del marchio24.

Secondo la giurisprudenza25, in caso di inadempimento del franchisee, alla sua responsabilità contrattuale si affianca la responsabilità extracontrattuale del franchisor, in quanto questi, attraverso la costituzione della propria rete, ha ingenerato nel cliente

24

Corte d‟Appello di Napoli, 03.03.2005, in I Contratti, n. 12, 2005, pag. 1133, con nota di Venezia A., Responsabilità del franchisor nei confronti dei terzi per comportamenti del franchisee. L‟autore così si esprime sul punto: “Così, di fronte ad una serie di imprese

caratterizzate da un’immagine uniforme, il pubblico dei consumatori fa esclusivo affidamento sul marchio, garanzia qualitativa dei prodotti commercializzati o dei servizi prestati … Il franchisor deve, quindi, tutelarsi da eventuali comportamenti corsari tenuti dai franchisee ma da tali comportamenti devono essere tutelati anche eventuali terzi – clienti che entrano in contatto con gli affiliati facendo affidamento sugli standard qualitativi loro ingenerati dal marchio, dall’insegna nonché dagli altri segni distintivi del franchisor ed, in particolare, dalla sua immagine e dalla sua reputazione commerciale. Orbene, ritiene questa corte che in tali casi … il terzo che contratti con il franchisee può agire nei confronti del franchisor in base al principio dell’apparenza. …In virtù di tanto è meritevole di tutela l’affidamento del cliente in base al principio dell’apparenza giuridica, fondata sulle predette circostanze obbiettive ed univoche nonché sulla creazione di una rete di imprese affiliate attraverso la stipulazione di un contratto di franchising. Tali circostanze, peraltro, sono idonee a creare nei consumatori anche l’affidamento che trattasi di un unico soggetto ovvero di due soggetti con identici standard qualitativi e di correttezza commerciale: quando tale affidamento risulta incolpevole, la sua ingiustificata lesione deve ricevere protezione attraverso la tutela acquiliana…”.

25

Il principio era stato affermato anche quando il franchising era ancora un contratto atipico, prima della L. 129/04; si veda Pretura di Milano, 21.07.1992, in I Contratti, n.2, 1993, pag. 173, con nota di De Nova A., Franchising e apparenza.