99 P ESSINA , T INÈ , 2008 100 D AL S ANTO , et alii ,
4.2.1 La deforestazione e l'uso del legname
A partire dall’Atlantico, con l’avvento del Neolitico, compaiono segni sicuri della presenza umana con deforestazioni ancora limitate ma comunque più invasive rispetto al periodo precedente e con la presenza di coltivazioni, in particolare dei cereali. Complessivamente, non sembrano esserci cambiamenti drastici sul territorio, soprattutto nel Neolitico antico, anche se il popolamento della Pianura Padana durante il periodo neolitico, si fa più intenso rispetto ai periodi preistorici precedenti ed assume caratteristiche completamente nuove soprattutto per quanto riguarda il rapporto uomo- ambiente. Per il Neolitico antico sembra preferibile, quindi, parlare di un’influenza o di una gestione antropica, più che un vero e proprio impatto. Possiamo osservare che l’uomo preferisce vivere in zone aperte, risultato probabilmente del disboscamento109, da sfruttare per le attività economiche.
Nell’Appennino tosco-emiliano, in epoca Atlantica, si stabilizzano i versanti e si innesca la pedogenesi, mentre successivamente nel Subboreale inizia una fase di instabilità. Al margine della catena appenninica, le conoidi fluviali interrompono il trasporto di sedimento grossolano e ciottoloso tra il Preboreale e il Boreale, e si crea un accumulo di sedimenti fini di piana alluvionale che se esposti per un periodo di tempo prolungato si sviluppa un alfisuolo lievemente rubefatto. Il passaggio tra Mesolitico e Neolitico doveva quindi essere ben forestato, rivestito da suoli sviluppati110. Le comunità neolitiche in Italia settentrionale, quindi, si ritrovano in un paesaggio ancora caratterizzato da una fitta copertura forestale nella quale le radure naturali esistenti non erano sufficienti per le esigenze di un’agricoltura che appare fin da subito ben sviluppata. Le zone boschive che dovevano circondare l’insediamento continuavano comunque a costituire una riserva di frutti eduli e di legname sia a scopo artigianale che strutturale e una volta deforestate potevano essere sfruttate per l’allevamento111 e per le colture, soprattutto cerealicole. I terreni igromorfi potevano sostenere l’allevamento, mentre i colluvi erano adatti per instaurare l’agricoltura cerealicola.
Di conseguenza, tra i fattori responsabili del cambiamento del paesaggio padano operato dalle comunità neolitiche vi è quindi la deforestazione, legata, in minima parte, all’uso del legname da costruzione e volta soprattutto alla creazione di ambienti aperti dove praticare cerealicoltura e pascolo per la pastorizia e l'allevamento del bestiame domestico che dovevano avvenire, probabilmente dopo il taglio del bosco tramite la tecnica dello slash and burn, ovvero con l’incendio delle aree disboscate e la zappatura del terreno per arricchirlo con la cenere derivata dalla combustione112. Le ceppaie delle piante abbattute erano lasciate in posto, dato che non costituivano un ostacolo per pratiche agricole
109 ACCORSI, et alii, 1983 110 CREMASCHI, 1990
111 BALISTA, LEONARDI, 2003
neolitiche che non utilizzavano ancora l’aratro. Per quanto riguarda la preparazione del suolo, questa era forse un’opera meno gravosa di quanto si possa immaginare dal momento che i suoli forestali ricchi di humus si presentano soffici e facili da lavorare. Era sufficiente eliminare le piante del sottobosco, strappandole a mano oppure tagliandole e facendole seccare113. Inoltre, la scelta dei neolitici insediatisi nella zona della Pianura padana poteva avere lo scopo di privilegiare terreni dotati di buona produttività naturale o soggetti a periodici apporti alluvionali di materiale limoso che rinnovava la fertilità del terreno e ne consentiva la lavorazione con tecniche più semplici e primitive114. Alcuni autori115, ritengono però che i suoli argillosi, limosi dell’area in questione siano scarsamente produttivi e inadatti ad una primitiva agricoltura, considerando necessaria la pratica della zappatura e dell’arricchimento del terreno tramite il residuo di cenere attenuto mediante l’incendio del bosco.
Nelle analisi polliniche effettuate in passato su siti neolitici si rileva un abbassamento del tasso di afforestamento in concomitanza con la frequentazione del sito, come ad esempio nel sito di Spilamberto, San Cesario (MO)116. Osservando la letteratura in tema, è possibile notare che continuavano ad esserci ampie aree boschive tra un sito e l'altro, mentre i siti erano caratterizzate da zone prative più o meno ampie117.
Il disboscamento nel Neolitico antico riveste comunque ancora un carattere limitato a piccole aree e temporaneo rispetto ai periodi successivi, in particolare nel Bronzo118, a causa della maggiore instabilità insediativa e scarsità demografica dei gruppi neolitici119. Successivamente, si assiste ad una discreta pressione demografica e alla necessità di coltivare aree più estese. Le tecniche agricole si fanno via via più avanzate e avviene l'adozione di alcuni strumenti, quali l'aratro che consente di moltiplicare di quattro volte la velocità di lavorazione della terra, provocando un incremento notevole nella produzione cerealicola; si tratta tuttavia di strumenti interamente in legno, ritenuti in grado di smuovere solamente terreni sciolti e leggeri120. Tecniche agricole quali l'agricoltura irrigua, l'ignicoltura e la rotazione delle colture con i pascoli, non sono al momento accertate con certezza.
Durante l’Eneolitico le aree aperte sembrano ampliarsi notevolmente, conseguenza dell’instaurarsi di un’agricoltura più intensiva, del maggior sfruttamento del pascolo. Anche in questo periodo, non sembra avvenire ancora un vero e proprio impatto e mutamento del paesaggio vegetazionale, in quanto sono infatti noti siti posti all’interno di foreste stabili. Le analisi effettuate nei siti 113 PESSINA,TINE’,2008 114 PESSINA,TINE’,2008 115 CREMASCHI,NICOSIA,2008 116 ACCORSI, et alii, 1981 117 ACCORSI,et alii, 1999 118 CREMASCHI, 2009, p. 34
119 CREMASCHI, 1990; BIAGI, et alii, 1993; CREMASCHI, 2000; CREMASCHI, 2009 120 FORNI,1997
campaniformi di Rubiera e Sant’Ilario d’Enza (RE) conservano in posto ceppaie di grandi Querce coeve alla frequentazione umana. Nel sito di Botteghino di Marano (Parma), al di sopra del suolo databile all’Eneolitico, sono state esposte chiazze di materiale bruciato di forma irregolare, risultato di pratiche che prevedevano lo sradicamento di piante e successiva combustione a terra, compresa la ceppaia. La combustione dell’apparato radicale avveniva all’interno della buca di sradicamento in condizioni riducenti che ne colorano i margini di nero, mentre il colore rosso del terreno intrappolato tra le radici, denota una cottura in condizioni ossidanti121. Solo a partire dal Bronzo medio e recente, le aree appaiono disboscate in modo maggiormente intensivo, in quanto da questo momento il quantitativo di legname richiesto per la costituzione dei villaggio e per tutte le attività annesse, richiedeva un’estesa deforestazione122.