• Non ci sono risultati.

99 P ESSINA , T INÈ , 2008 100 D AL S ANTO , et alii ,

4.2.2 Pratiche agricole

Al momento, vi è un discreto numero, ma non esaustivo, di informazioni sulle pratiche agricole, sugli spazi coltivati e sulle aree abitate, sui sistemi di gestione dei coltivi o di protezione e conservazioni dei raccolti, sui rendimenti delle colture e sul loro reale peso nell’economia delle comunità neolitiche.

Il clima nell’Atlantico sembra essere stato particolarmente favorevole per avviare l’agricoltura, ma è chiaro che modesti e localizzati fenomeni di peggioramento climatico, possono essere stati disastrosi per il raccolto di insediamenti posti lungo corsi fluviali o sotto versanti123.

Utile ai fini della ricerca sulla nascita dell’agricoltura è l’esame dei resti botanici, indicatori delle piante che hanno rivestito un ruolo maggiore, ovvero le leguminose e, in particolare, i cereali per i loro numerosi vantaggi: crescita veloce, forte produzione, alimenti ricchi di carboidrati per una buona alimentazione, possibilità di essere immagazzinati per lunghi periodi senza perdere il valore nutritivo o la capacità di germogliare. Un ruolo preponderante è stato, quindi, svolto dalle piante coltivate, che gli hanno permesso sia di elevare il proprio livello di vita, sia di accrescere le sue possibilità di estensione124. Inoltre, la diffusione delle piante in Europa fornisce elementi di discussione sulle modalità di trasmissione del sapere e la continuità dei rapporti tra i vari gruppi neolitici.

L’addomesticazione avvenne sugli altopiani steppici nella zona mediterranea orientale, a partire dalla selezione da parte dell’uomo delle spighe meno fragili ancora piene di chicchi, rendendo le piante, con il tempo, totalmente dipendenti dalla semina artificiale; si tratta di un processo di selezione

121 CREMASCHI,2010, et alii, in cds 122 CREMASCHI,1997

123 ROTTOLI,REGOLA,2009c 124 HAUDRICOURT,HEDIN,1987

progressiva, probabilmente avviatosi in modo involontario durante le operazioni di raccolta delle sole

spighe ancora integre, che solo in un secondo momento divenne cosciente125. Con

l’addomesticamento si sono quindi create notevoli trasformazioni nella struttura genetica delle piante selvatiche, ben contraddistinte dalle forme domestiche caratterizzate da cariossidi più grandi e rotonde e dal sistema di riproduzione non spontaneo. Inoltre, nelle specie domestiche si ebbero nel tempo ulteriori modificazioni, quali lo sviluppo di una maggiore adattabilità ambientale, l’aumento del numero dei semi delle loro dimensioni, la regolarizzazione dei tempi di maturazione e la perdita della glume con la comparsa di forme cosiddette “nude”, come il grano duro e il grano tenero, derivate da specie già pienamente coltivate e non da antenati selvatici. Inizialmente la cariosside dei cereali era rivestita dal glume che, per l’uso alimentare doveva essere tolto mediante tostatura. Con il corso del tempo l’uomo ha selezionato i cereali caratterizzati da glumette che si staccano con maggior facilità mediante una semplice frizione, ovvero la trebbiatura126. Ciò è avvenuto proprio seminando cariossidi delle spighe che per “errore” genetico erano caratterizzate da glumette non aderenti alla cariosside127.

Grazie allo studio della genetica è stata possibile la ricostruzione di progenitori selvatici e l’individuazione dell’area d’origine. Tutti risultano ubicati nell’area del Vicino Oriente ma l’origine può essere stata indipendente in diverse aree medio-orientali con un processo che iniziò già nel Pleistocene con la raccolta di cereali e leguminose selvatici e di frutti spontanei128.

125 PESSINA,TINE’,2008 126 FORNI, 1996

127 FORNI, 1996

128 PESSINA,TINE’,2008

Selvatico Domestico Nome comune

Triticum boeoticum Triticum monococcum Piccolo farro Triticum dicoccoides Triticum dicoccum Farro Triticum araraticum Triticum timopheevi Farro Secale vavilovii Secale cereale Segale Hordeum spontaneum Hordeum distichum Orzo distico Lens orientalis Lens culinaris Lenticchia

Vicia ervilia Vicia ervilia Veccia

Pisum umile Pisum sativum Pisello

Cicer reticulatum Cicer arietinum Cece Linum bienne Linum usitatissimum Lino

Ciò che portò alla nascita dell’agricoltura fu una trasformazione di alcune specie di cereali selvatici nelle principali colture domestiche. Tra i primi cereali coltivati nel Vicino Oriente e dell’Europa si segnala orzo (Hordeum disticum e vulgare), farricello (Triticum monococcum), farro (Triticum dicoccum) e in minor misura il grano tenero/duro (Triticum aestivum/durum).

Le diverse specie di grano (genere Triticum) possono essere raggruppate, secondo le caratteristiche della cariosside, in specie a granella vestita (farricello, farro, spelta) e specie “nude” (grano tenero, duro, turgido/turgidum). Il genere Triticum comprende una serie cromosomica polipoide129 articolata su tre livelli citogenetici130, ai quali corrisponde un diverso assetto delle spiga (un diverso numero di semi per ogni articolo). Vi sono i frumenti diploidi (2n=14), quelli tetraploidi (2n=28) e gli esaploidi (2n=42)131.

Il genere Hordeum, invece, comprende solamente specie diploidi (2n=14) nelle quali la struttura fondamentale della spiga si mantiene costante essendo presenti tre fiori (spighette) per ciascun articolo (internodo) della spiga132. L’orzo coltivato rispetto al selvatico ha un numero più elevato di cariossidi per spiga e rese più elevate.

La discreta varietà di cereali diffusi e coltivati fin dal primo Neolitico è determinata dalle diverse caratteristiche di resa e adattabilità ai climi, proprie di ognuno. Importante è non attribuire la loro presenza solamente alla scelta su base climatica.

Ad esempio, il farricello, rispetto al farro, presenta una serie di limiti: ha una resa inferiore di quasi la metà ed è più soggetto alla crescita di infestanti. Riesce però ad affrontare meglio certe avversità climatiche in quanto sopporta inverni più rigidi, forte piovosità in quanto presenta un culmo che offre maggiore resistenza alle precipitazioni più intense. Per questo motivo può esser stata favorita la sua diffusione nel Nord Europa. Il farro invece è meno adattabile ai diversi climi ma ha una resa più superiore. Grano tenero (Triticum aestivum) e grano duro (Triticum durum), nella determinazione carpologica compaiono sempre in gruppo (Triticum aestivum/durum), in quanto non si è in grado di distinguere i due generi. Grazie alla caratteristica del grano tenero di essere in grado di sostenere climi più freschi, al contrario del grano duro adatto a climi più caldi e aridi di tipo mediterraneo, si ritiene che la diffusione di questo gruppo nell’Italia settentrionale, avesse riguardato principalmente il grano tenero. L’orzo, invece, ha una buona resistenza alla siccità, sopporta meno i climi freddi ma può essere coltivato anche ad elevate altitudini.

Vi è poi il “nuovo frumento vestito” (Triticum timopheevi Zhuk.), molto resistente a climi freschi, attestato anche in Italia nei siti appartenenti al Neolitico antico di Sammardenchia, Piancada e Pavia

129 Poliploide: presenza di un numero di cromosomi superiore al corredo diploide (comprende due cromosomi per ogni

tipo con la stessa forma e dimensione); ciascun cromosoma è superiore a due.

130 Citogenetica: studio della morfologia dei cromosomi 131 COSTANTINI,2002

di Udine (UD) e in due siti più recenti di La Vela VIII, livelli VBQII (TN)133. La sua presenza nel Centro-Sud Italia non è ancora stata accertata, ma sembra aver avuto particolare fortuna soprattutto nella zona friulana, portando ad ipotizzare, con molta cautela, che la sua diffusione sia avvenuta lungo rotte terrestri a partire dai Balcani134. Attualmente coltivato soltanto nel Caucaso, sembra aver avuto un discreto successo anche in Italia settentrionale e in Europa centrale tra il Neolitico e l’età del Bronzo.

Lo spelta (Triticum spelta), simile al grano tenero dal punto di vista cromosomico, si sviluppa bene su terreni ben esposti al sole, anche se poveri, ma non è redditizio come altri generi di grano; è ancora poco diffuso nel Neolitico e nell’Eneolitico. Essendo stato rinvenuto solamente con pochi individui isolati, la sua presenza va considerata più come una pianta infestante, ibrido di altri cereali, che come una vera e propria pianta coltivata135.

Infine si ricorda la sporadica presenza del miglio (Panicum miliaceum L.) a partire dal Neolitico, che vede la sua maggior diffusione nel Bronzo. Si tratta di un cereale “povero”, adatto a un ambiente termofilo o xerofilo, resistente alla siccità, senza particolari esigenze pedologiche. E’, quindi, adatto ad aree aride e suoli poveri, ed inoltre è caratterizzato da un breve ciclo di accrescimento: seminato a primavera, si raccoglie e fine estate. Anche per quanto riguarda il miglio, le testimonianze sono esigue per quanto riguarda Neolitico ed età del Rame, identificandolo quindi con un ruolo di infestante dei cereali. L’introduzione come coltivata sembra avvenire dall’Età del Rame dal Nord delle Alpi136.

Un’agricoltura complessa basata su un rilevante numero di specie, implica un maggior consumo di tempo destinato alla coltivazione e al trattamento del raccolto e necessita di una maggior quantità di manodopera, di un’organizzazione sociale più complessa, di tecnologie più evolute, ma nel contempo rende più facile affrontare avversità climatiche e crisi alimentari. Fin dal primo Neolitico si conferma l’esistenza della policoltura implicando conoscenze agronomiche già solide a tal punto da poter sviluppare coltivazioni anche in condizioni ambientali complesse come quelle padano-alpine. Dal punto di vista delle pratiche agricole è confermato a partire dall’Eneolitico l’adozione dell’aratro, in

particolare grazie al riconoscimento di questo attrezzo nell’iconografia rupestre della Valcamonica137

che appare trainato da una coppia di buoi a lunghe corna. Per quanto riguarda l’irrigazione dei campi si presuppone, fin dal Neolitico antico, l’utilizzo di fossati o canalette, utilizzati anche come cinta di difesa dei villaggi, che potevano essere sfruttati per l’agricoltura.

133 DE GASPERI

et alii, 2006

134 ROTTOLI, et alii,2006

135 ROTTOLI,REGOLA,2009 c;NISBET,1990 136 ROTTOLI, 2009

Secondo alcuni autori138, l'adozione l’agricoltura irrigua con vere a proprie opere idrauliche di gestione delle acque, per irrigazioni più consistenti rispetto al Neolitico, per far germogliare le sementi e per arricchire il suolo di molteplici nutrienti soprattutto organici, viene introdotta a partire dall’età del Bronzo.

Lo stoccaggio delle derrate veniva immagazzinato direttamente le spighe intere, a

volte dopo aver sottoposto i cereali ad una rapida tostatura, pratica che ha consentito la conservazione seppur parziale del materiale paleobotanico.

Si suggerisce, inoltre, in particolare per il Neolitico, la pratica dell’agricoltura itinerante (shifting

agriculture), ovvero l’utilizzo di una piccola parte del territorio con la colonizzazione periodica di

nuovi terreni e l’abbandono dei vecchi campi quando la fertilità naturale si è esaurita, permettendo, quindi, di avere un buon rendimento agricolo. Essa può portare alla formazione di flat-extended sites, ovvero di insediamenti caratterizzati da una stretta contiguità tra aree abitative e coltivi e da una dispersione su ampie superfici del materiale antropico, come documentato a Sammardenchia. In altri casi come nel Tavoliere, dove vi è una maggior strutturazione degli abitati indica una maggior stanzialità delle comunità ed è possibile che le aree coltivate venissero fertilizzate con concime animale o con lettiere vegetali139.

L’avvio dell’agricoltura è collegato anche ad un insieme di strumenti (macine, macinelli ed elementi di falcetto) che confermano lo sfruttamento agricolo del territorio e l’organizzazione sociale e insediamentale tipica di consolidate economie produttive140.

Come suddetto, oltre ai cereali, le comunità neolitiche iniziano a coltivare anche leguminose che grazie alle loro proteine vegetali, costituiscono un’ottima integrazione alimentare. Anche in questo caso, con l’addomesticamento, si crea una mutazione genetica che porta a dei cambiamenti nella vita della pianta: la riduzione del tempo di dormienza dei semi e la perdita delle capacità dei baccelli di aprirsi spontaneamente per disperdere i semi. Tra le Leguminose, di origine non sempre chiara, troviamo fin dal primo momento sono documentate la veccia (Vicia sativa), il pisello (Pisum

sativum), mentre la lenticchia (Lens culinaris) e la cicerchia (Lathyrus cicera) rivestono un ruolo più

limitato.

138 MERCURI,et alii,2006 139 PESSINA,TINE’,2008

140 COSTANTINI,STANCANELLI,1994

La diffusione del lino (Linum usitatissimum L.), specie di origine vicino-orientale, dovrebbe essere avvenuta in Italia insieme al primo gruppo di specie coltivate (cereali e leguminose), ma il numero esiguo di ritrovamenti, dovuto probabilmente a motivi tafonomici, non ci attesta con certezza il suo impiego come pianta alimentare e tessile. Il lino poteva essere utile per ottenere fibre da filare per la tessitura degli indumenti e semi utilizzabili nell’alimentazione anche sotto forma di olio141. Molti dati archeologici confermano l’avvio della tessitura a partire dal V millennio B.C., ma i ritrovamenti di lino sono davvero rari nei siti asciutti per essere indicativi142. Anche dal punto di vista pollinico i rinvenimenti di lino sono davvero esigui e forse sottostimati a causa della scarsa produttività pollinica di questa pianta. Ritrovamenti sporadici di polline possono indicare la presenza di colture in un raggio di pochi metri, oppure la macerazione dei fusti per ottenere fibre143.

Frequente, ma con quantitativi insufficienti per accertarne la coltivazione, è invece la presenza di granuli pollinici di canapa (Cannabis sativa), che in questo periodo sembra rivestire solamente un ruolo di sinantropica144.

Il papavero da oppio (Papaver somniferum), coltivato intorno al 5.500 B.C. probabilmente sulla

costa del Mediterraneo occidentale, forse proprio nel sito di La Marmotta presso Roma145, compare

successivamente intorno al 4.800 B.C. nel sito di Isolino di Varese e successivamente a Palù di Livenza, circa nel 4.400 B.C.146 (Come vedremo in seguito nel paragrafo dedicato al sito di Spilamberto e al Neolitico antico, compare anche alla fine della cultura di Fiorano nel sito di Spilamberto). La raccolta del seme ha scopo alimentare o può essere utilizzato per ottenere olio o lattice utilizzato come sostanza medicamentosa e stupefacente, probabilmente legato a pratiche di culto147.

La messa a coltura di specie legnose è discussa per quanto riguarda il Neolitico, ma si può ipotizzare almeno una cura di alcune piante arboree ed arbustive produttrici di frutti eduli, ad esempio della vite e di alcune Pomoidee (Rosaceae). Allo stato attuale della ricerca non si può parlare di una vera e propria frutticoltura, ma al massimo di sistemi “precolturali” per incrementare la produzione della frutta e favorirne la conservazione. Peculiarità del periodo Neolitico potrebbe essere l’utilizzo di specie caratteristiche dei margini e delle radure, legate all’agricoltura, all’uso del fuoco e indirettamente al pascolamento, soprattutto appartenenti al gruppo delle Pomoideae148. Infatti, uno dei maggiori fattori limitanti del rendimento delle colture preistoriche dovette essere la predazione sui 141 ROTTOLI,2006 142 ROTTOLI,REGOLA,2010 c 143 ACETI,et alii, 2009 144 MERCURI, et alii, 2002 145 ROTTOLI,2002 146 ROTTOLI,REGOLA,2010 c 147 ROTTOLI,2006 148 BARKER, et al., 1987

raccolti da parte di uccelli e altri animali selvatici. A tale scopo, quindi, venivano forse realizzate siepi o barriere naturali di piante spinose (Pruno, Pero, Melo, Rosa selvatica e Biancospino), che crescono naturalmente ai margini delle radure e venivano intrecciate e infittite per creare una barriera protettiva, tagliando il bosco alla spalle di questa prima cintura di vegetazione: potando, piegando rami e ripiantando si otteneva una recinzione che proteggeva i campi dagli animali selvatici e domestici e forniva frutta spontanea, rami da intreccio e legna da ardere ideale per la cottura dei cibi149. Questa metodica è stata più volte ipotizzata per i villaggi di agricoltori centroeuropei della

Linearbandkeramik e sembra confermata dalla rilevante presenza di carboni di queste specie nel sito

friulano di Sammardenchia (UD)150.

Risulta complesso stabilire le differenze e le particolarità che vanno a caratterizzare la diverse culture e le diverse aree geografiche nell’ambito dell’agricoltura; di conseguenza, è difficile comprendere i cambiamenti nel corso del tempo, in quanto i dati forniti dagli studi indagati non sono sufficienti per delineare un quadro esauriente. L’individuazione di analogie, particolarità e differenze tra i vari insediamenti, ci consente di ipotizzare la presenza di sistemi produttivi diversi a seconda della zona e della cultura.

Dagli studi condotti fino ad oggi sui siti dell’Italia settentrionale, possiamo ipotizzare che nell’ambito dell’agricoltura del primo neolitico esistevano soprattutto due sistemi agricoli distinti: uno caratteristico dei gruppi Friulani, l’altro della cultura di Fiorano, ma è difficile comprendere se vi fosse un’ulteriore differenziazione con i sistemi delle culture collocate verso occidente e verso sud e verso il gruppo di Gaban, a nord151. Al momento non sono state individuate vere e proprie cause climatiche o pedologiche per spiegare le variazioni, mentre sembrano possibili altre cause legate alla trasmissione del sapere agricolo e alla sfera “culturale”, agli “usi e costumi”, quindi più complesse da analizzare152.

Con il Neolitico medio e recente, in particolare con la diffusione dei Vasi a Bocca Quadrata, si riscontra un quadro più omogeneo della produzione, anche in aree geograficamente lontane tra di loro. La cerealicoltura sembra essere ancora essenzialmente improntata su frumenti vestiti, seguiti da

frumenti nudi e orzo153. Compare lo spelta, ancora in modo sporadico, forse autonomamente da altri

centri di diffusione, trattandosi di una sorta di “ibrido” dei cereali già coltivati nell’area. Le leguminose sono presenti sempre con quantitativi scarsi, così come il lino. Secondo la letteratura in tema, a partire dal Neolitico medio, fa la sua apparizione il papavero da oppio che viene introdotto dal centro Italia o da occidente, attraverso la Francia e/o la Svizzera. A partire dall’Eneolitico l’ulteriore 149 CASTELLETTI,CARUGATI,1994,p. 180 150 PESSINA,TINE’,2008 151 ROTTOLI, et alii,2010,in cds 152 ROTTOLI, et alii,2010,in cds 153 ROTTOLI,REGOLA,2010 c

sviluppo tecnologico-agrario sembra causare un incremento e una notevole varietà di forme di leguminose, piante caratterizzate da maggiori esigenze edafiche rispetto ai cereali154.