• Non ci sono risultati.

Demografia e tasso di disoccupazione: approfondimenti

1. Demografia, volatilità e altri elementi strutturali

1.3 Il punto di vista strutturale: elementi demografici

1.3.4 Demografia e tasso di disoccupazione: approfondimenti

Il tema della relazione tra età della forza lavoro e tasso di disoccupazione non è stato studiato esclusivamente dai due precedenti autori. Shimer (1998) è fonte di numerosi spunti di riflessione su questo argomento. Il principale problema affrontato non riguarda la componente dinamica come nei precedenti studi, ovvero la differente volatilit{ delle diverse fasce d’et{ della forza lavoro, bensì la componente statica: come lo shift avvenuto negli Stati Uniti tra le varie fasce d’et{ abbia influenzato il tasso di disoccupazione. Ciò che si è riscontrato per via del baby-boom è un iniziale aumento del tasso medio di disoccupazione, che l’autore calcola essere di circa il 1.9%, per via dell’aumento della fascia lavorativa compresa tra i 16 e i 24 anni, che come visto in precedenza presenta maggiori turbolenze. Con il successivo invecchiamento dei baby-boomers, il tasso di disoccupazione è tornato a scendere per un totale di circa 1.5%.

Il passo successivo è comprendere quale parte della variazione del tasso sia da attribuire effettivamente alla variata demografia e quale parte invece dipenda da altri fattori. Si fa notare che, benché vi sia stato uno shift nell’et{ della forza lavoro, il tasso medio di disoccupazione interno alle singole fasce d’et{ considerate sia invece aumentato negli anni. Per portare alcuni esempi, la disoccupazione media per gli uomini di 42 anni negli anni duemila era del 3.7%, mentre nel 1973 tale disoccupazione era del 2.0%. Analogamente, la disoccupazione media per un ragazzo di 18 anni era negli anni duemila del 17.2%, mentre nel 1973 solamente del 13.9%. E’ evidente quindi che determinare le cause della variazione del tasso di

Demografia, volatilità e altri elementi strutturali

_

34

disoccupazione negli anni sia compito non banale e possa dipendere da numerose cause che l’autore cerca di esplorare. La parte più interessante di questo lavoro riguarda, infatti, l’attenta analisi di fattori demografici quali et{, genere, etnia ed istruzione e del loro impatto sull’occupazione. In particolare, il tema approfondito in modo rigoroso riguarda la relazione tra disoccupazione e istruzione, arrivando a risultati di notevole interesse.

L’autore parte con lo stabilire una semplice relazione tra disoccupazione ed età della forza lavoro, basata su una regressione lineare che spiega il tasso di disoccupazione nel tempo con la frazione di giovani sul totale degli occupati. Si può subito notare da come è costruita tale relazione che l’interesse primario dello studio verte sulla fascia più giovane, quella compresa tra i 16 e i 24 anni. Ciò è dovuto proprio all’obiettivo dell’autore, legato all’andamento del tasso di disoccupazione e non alla volatilità. Se infatti anche le fasce più anziane della popolazione comportano un’alta volatilit{, non è altrettanto vero che in tali fasce vi sia un tasso di disoccupazione medio più alto.

I risultati ottenuti con questa prima analisi sono utili per comprendere in prima approssimazione quale sia l’impatto delle variabili demografiche sul cambiamento del tasso. L’autore in particolare stima che l’1.3% di riduzione della disoccupazione dagli anni ’80 in poi sia dovuto all’invecchiamento dei baby-boomers. Una regressione così semplice però non è robusta e non aiuta a comprendere adeguatamente le variabili in gioco. Si passa così alla costruzione di modelli più complessi, sui quali si possano eseguire test significativi a supporto delle varie ipotesi possibili. In particolare, il primo modello costruito studia l’impatto della variabile età ed è basato su un ARMA (2,2), così costituito:

(1.6)

Dove è il tasso di disoccupazione all’istante t per una data fascia d’et{ i, mentre è il tasso di disoccupazione non condizionato della fascia i. Il valore è invece un white noise con varianza che quindi permette di modellizzare la possibile presenza di eteroschedasticità.

CAMBIAMENTI DEMOGRAFICI E IMPLICAZIONI MACROECONOMICHE

_

35

I risultati ottenuti tramite l’utilizzo del modello presentato sono consistenti e validi per tutto il periodo di analisi, compreso tra Ottobre 1957 e Novembre 1998 (Tabella 1.4). Come si nota immediatamente osservando tali valori, il tasso di disoccupazione non condizionale per la fascia d’et{ tra i 16 e 19 anni è circa quattro volte quello degli adulti (35+) mentre quello per la fascia tra i 20 e 24 anni è circa tre volte.

A questo punto l’autore si chiede quanta parte di variazione del tasso negli anni sia dovuta a una diversa composizione in età e quanta invece dalla variazione di altri fattori, che lui chiama “genuini”. Per fare ciò scompone il tasso nel tempo in due componenti. La prima è rappresentata da come descritto in precedenza, la seconda misura il peso di tale fascia d’et{ nel tempo ed è indicata come . Si ottiene:

(1.7)

Mantenendo invariata una delle due componenti e facendo variare la rimanente, l’autore esegue diverse simulazioni, ottenendo che la composizione demografica arrivi a spiegare circa il 70% della riduzione del tasso di disoccupazione dagli anni Tabella 1.4: coefficienti modelli ARMA per le varie fasce d’et{. Tra parentesi, gli errori standard calcolati con lo stimatore di Newey-West.

Demografia, volatilità e altri elementi strutturali

_

36

’80 a oggi. La demografia spiega anche l’aumento del tasso che vi è stato durante il baby-boom ma in maniera meno rilevante. La restante parte invece potrebbe essere legata a effetti “indiretti”, che l’autore stesso descrive meglio in un successivo lavoro, Shimer (2001). Questi effetti sono legati al tradizionale modello di crescita neoclassica, che prevede in caso di crescita della forza lavoro una riduzione del rapporto tra capitale e lavoro, un rialzo dei tassi di interesse e una riduzione dei salari. Introducendo in questo schema possibili frizioni del mercato del lavoro, bassi salari potrebbero portare a un’alta disoccupazione nel caso in cui la forza lavoro riduca i suoi sforzi per trovare un’occupazione. Questi effetti sono però di difficile verifica e non è opportuno proseguire nell’analisi degli stessi. In seguito a tale analisi, si procede all’esame di altre caratteristiche demografiche, quali genere ed etnia. Entrambe queste variabili sembrano di poco interesse, anche se per motivi differenti. In dettaglio, il genere non è significativo e non spiega la variazione di tasso di disoccupazione. Se, infatti, le donne presentavano storicamente un tasso più alto, questa differenza si è annullata dagli anni ’50 a oggi. Per quanto riguarda l’etnia invece, si notano differenze significative che però l’autore non esamina in dettaglio in quanto convinto che possibili differenze siano legate non all’etnia di per sé ma alle differenze di istruzione e povert{ che vi sono tra le stesse.

L’ultimo punto toccato dal lavoro di Shimer, forse il più interessante, riguarda l’istruzione, componente solo marginalmente analizzata nei precedenti lavori esposti.

Non si vuole in questa sede entrare nel dettaglio del modello probabilistico presentato, ma si vogliono comunque riportarne considerazioni relative ed elementi chiave. Tale modello prende spunto da lavori precedenti di Blanchard e Diamond (1994) e di Pissarides (1985). Si basa sull’idea che la probabilit{ di mantenere un determinato posto di lavoro dipenda dalle capacità del lavoratore e dalla loro adeguatezza al posto di lavoro corrente. A questo si aggiungono fattori legati a età e istruzione per dimostrare o supportare alcune ipotesi.

Tra queste ipotesi, si discute il perché secondo l’autore non si possa attribuire all’istruzione una relazione immediata con il tasso di disoccupazione. Summers (1986), infatti, sostiene che a maggiore istruzione dovrebbe corrispondere un

CAMBIAMENTI DEMOGRAFICI E IMPLICAZIONI MACROECONOMICHE

_

37

minore tasso di disoccupazione. Questa tesi è però confutata dalle analisi empiriche che portano Summers a sostenere l’inadeguatezza del fattore istruzione nel spiegare variazioni di tasso. Per Shimer, questo è dovuto a due principali elementi:

- Il livello di istruzione che rende minore la probabilità di essere disoccupati non è quello assoluto ma quello relativo. Ciò significa che un incremento dell’istruzione universitaria porterebbe a un aumento della disoccupazione sia nei laureati che nei diplomati, lasciando invariato il tasso di disoccupazione complessivo. Questo avviene in quanto in tal caso, il numero di laureati e diplomati complessivo aumenterebbe, rendendo minore la loro "esclusività" sul mondo del lavoro. Ciò che interessa un lavoratore quindi, non è il suo grado di istruzione assoluto ma la sua qualifica in relazione alla media della popolazione. In un contesto in cui nessuno è laureato, un laureato avrà un tasso di disoccupazione molto inferiore rispetto agli altri. Con l’aumentare dei laureati, il tasso di disoccupazione in questa categoria tenderà ad aumentare. Per questo motivo, non è possibile dimostrare empiricamente una relazione stabile tra livello di istruzione medio di un paese e tasso di disoccupazione.

- Il fatto che un individuo con un livello di istruzione superiore abbia mediamente un livello di abilità superiore non comporta che un incremento del livello di scolarizzazione media di un paese incrementi il livello di abilità medio dello stesso. In particolare, secondo l’autore per un individuo con più abilità sarà più semplice raggiungere un livello più elevato di istruzione. Di conseguenza, dato che nel proseguire con gli studi si rinuncia a una data paga a fronte di una paga maggiore ricevuta in seguito, il tempo speso è ricompensato solamente se si può ottenere un più alto livello di istruzione con uno sforzo adeguato. Questo fatto porta ai maggiori gradi di istruzione soltanto quella parte di popolazione dotata di maggiore abilit{. Per l’autore quindi un incremento del livello medio di istruzione di un paese è solitamente ottenibile solo con un abbassamento medio della qualità dell'insegnamento. E’ un punto di vista poco ortodosso ma che presenta, per

Demografia, volatilità e altri elementi strutturali

_

38

chi scrive, una certa veridicità. Volendo estremizzare tale concetto, si può introdurre un lavoro di Spence (1973) secondo il quale l’utilit{ di una maggiore istruzione è da attribuirsi solamente all’effetto segnalazione che essa comporta. Come esposto in precedenza, solitamente a maggiore istruzione corrisponde un maggiore livello di abilità. Si ottiene così che un lavoratore più abile vorrà ottenere una più alta qualifica di studio per segnalare a chi offre una posizione lavorativa la sua abilit{. Dato che l’abilit{ comporta un minore sforzo per ottenere istruzione, tale lavoratore otterrà il risultato più semplicemente di chi non è dotato di sufficiente abilità. Si può così sostenere che il grado di istruzione permetta a un individuo di mostrare in modo esplicito (titolo di studio) una sua qualità implicita e quindi non misurabile (set di abilità).

Ne consegue che ciò che influenza direttamente il tasso di disoccupazione non è il livello di istruzione di un paese ma il grado di abilità che è presente nello stesso. Purtroppo tale elemento non è osservabile, mentre l’istruzione ne è soltanto una misura relativa.

Questa parte del lavoro di Shimer presenta molti spunti interessanti e non è in diretto contrasto con gli studi presentati in precedenza. Risulta, infatti, che un maggior grado di istruzione porti a un’inferiore volatilit{ del lavoro senza ridurre però il tasso di disoccupazione medio. Questo risultato è sensato: a maggiore istruzione corrisponde maggiore specializzazione del proprio set di abilità; questo comporta più alti costi di licenziamento e ricerca di un sostituto riducendo così la volatilit{ di tale posizione lavorativa. D’altra parte però, per i motivi sovraesposti, non si ha una riduzione del tasso medio di disoccupazione. Queste considerazioni sono importanti in quanto l’istruzione media di un paese è una variabile facilmente osservabile, sufficientemente prevedibile e in taluni casi anche influenzabile con determinate politiche.

CAMBIAMENTI DEMOGRAFICI E IMPLICAZIONI MACROECONOMICHE

_

39