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Struttura demografica e politiche monetarie: Fujiwara e Teranishi (2007)

4. Demografia e politiche monetarie: sviluppi recenti

4.4 Struttura demografica e politiche monetarie: Fujiwara e Teranishi (2007)

Il primo modello di politica monetaria che considera esplicitamente la demografia è stato sviluppato recentemente dagli economisti giapponesi Fujiwara e Teranishi (2007). Esso si basa sull’incorporazione all’interno di un modello Neo-Keynesiano DSGE46 dell’economia caratterizzata da comportamento del Ciclo di Vita proposta

da Gertler. Il suo utilizzo permette di analizzare da una parte in che misura gli shock strutturali all’economia possano determinare effetti diversi su lavoratori e pensionati, dall’altra in che misura la struttura demografica di un Paese alteri la risposta dell’economia rispetto agli shock stessi. Per presentare i risultati

46 I modelli Neo-Keynesiani sono classificati come modelli dinamico-stocastici di equilibrio generale

(DSGE), in quanto derivano il comportamento macroeconomico dall’interazione delle decisioni di più agenti – imprese, nuclei famigliari, governo, banca centrale, ed altri ancora – che agiscono nel tempo in condizioni di incertezza.

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raggiunti, si ritiene utile riportare le principali caratteristiche del modello Neo- Keynesiano utilizzato per l’analisi.

In primo luogo, il modello è aggiustato seguendo il modello canonico proposto da Edge (2003), che introduce lo sticky price mechanism47 e la presenza di costi di

aggiustamento di Rotemberg (1982)48. Inoltre, alle assunzioni in Gertler (1997) si

aggiunge quella di informazione perfetta49, necessaria per abilitare l’aggregazione

in presenza di attori eterogenei. Gli attori considerati non sono più esclusivamente i nuclei famigliari, distinti tra pensionati e lavoratori; ad essi si aggiungono le imprese, i produttori di capitale, gli intermediari finanziari, il governo e la banca centrale. Il modello è particolarmente articolato, così come è tipico dei modelli Neo-Keynesiani. Le considerazioni relative agli attori e alle relazioni tra di essi sono perciò riportate qualitativamente, ad eccezione dei nuclei famigliari che meritano un approfondimento.

1. Imprese: le imprese definiscono i prezzi di modo da massimizzare la somma scontata dei propri dividendi, espressi in termini reali. Il tasso di sconto utilizzato è calcolato come somma pesata delle utilità marginali degli azionisti, diverse a seconda che l’azionista sia un lavoratore o un pensionato, con peso dato dalla percentuale di pensionati rispetto all’insieme di azionisti dell’impresa. Risulta pertanto che la composizione demografica dell’azionariato di una società influisca significativamente sulla determinazione dei prezzi. 2. Produttori di capitali: i produttori di capitali prestano denaro alle imprese,

ricevendone un ritorno, e ricevono a loro volta denaro a prestito dagli intermediari finanziari. Gli interessi richiesti dai produttori di capitale, le

47 Ipotesi secondo cui i prezzi di equilibrio sono “vischiosi”, e cioè si adeguano lentamente a

cambiamenti nelle altre variabili.

48 Approccio che consente di introdurre rigidità nominali in un modello Neo-Keynesiano. Si basa

sull’ipotesi che tutte le imprese possano fissare il prezzo in maniera ottimale in ogni periodo, ma nel fare ciò ciascuna di esse debba sostenere un “costo di aggiustamento” per modificare i "listini", proporzionale all’aggiustamento effettivo.

49 i.e. ogni individuo è in grado di formulare previsioni corrette e precise relativamente al valore

futuro delle variabili. Come conseguenza, si ha che tutti gli asset sono caratterizzati dallo stesso ritorno. Questa assunzione, seppur distante dalla realtà, è necessaria per permettere la successiva aggregazione con agenti eterogenei.

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commissioni richieste dagli intermediari finanziari e gli investimenti delle imprese contribuiscono alla determinazione della funzione del costo del capitale a prestito.

3. Intermediari finanziari: gli intermediari finanziari prestano fondi ai produttori di capitali e detengono azioni delle aziende produttrici di beni finali e dei produttori di capitali. Data l’assunzione di informazione perfetta, le scelte di portafoglio degli intermediari sono invarianti. I nuclei famigliari possono dare in gestione il proprio denaro agli intermediari finanziari, ricevendone un ritorno.

4. Governo: il governo rastrella denaro tramite tasse, che interessano lavoratori e pensionati allo stesso modo e nelle stesse quantità.

5. Banca centrale: la banca centrale conduce una politica monetaria basata sulla regola di Taylor standard (Taylor, 1993), con un coefficiente per l’output gap pari a 0.5. Come implicito nei costi di aggiustamento del tipo Rotemberg, il livello target dell’inflazione è fissato a zero.

6. Nuclei famigliari: le equazioni di utilità di lavoratori e pensionati ricalcano, rispettivamente, la (4.1) e la (4.2) del modello di Gertler. Anche la funzione di consumo dei lavoratori non cambia, rispecchiando la (4.4) a livello individuale e la (4.6) a livello aggregato. La funzione di consumo dei pensionati, invece, si modifica, in quanto viene introdotta la possibilità che gli stessi possano fornire ore di lavoro e riceverne una conseguente ricchezza , calcolata assumendo salario orario inferiore rispetto ai lavoratori50. Passando al livello aggregato

sul totale degli individui, risulta che la funzione di consumo è data da

(4.8)

Dove costituisce l’elemento differenziale rispetto a Gertler (1997).

50 Infatti, , con salario reale e offerta di lavoro. Il parametro sta a

significare che il lavoro del pensionato è remunerato meno rispetto a quello del lavoratore, in quanto è meno produttivo.

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All’analisi delle relazioni tra attori segue poi l’analisi dell’equilibrio dinamico del modello. Come in Gertler (1997), la pesantezza del modello è tale da non consentirne la risoluzione analitica. La soluzione numerica è però sufficiente per giungere a considerazioni rilevanti in relazione sia allo stato stazionario che al comportamento dinamico.

L’analisi dello stato stazionario permette di derivare gli effetti di lungo termine determinati da diverse strutture demografiche sul tasso di interesse naturale. In particolare, Fujiuara e Teranishi confrontano il comportamento economico di una popolazione “più giovane” con quello di una popolazione “più anziana”, caratterizzate da valori diversi della probabilità di sopravvivenza del pensionato γ51. Al crescere di γ si generano due spinte contrapposte sul tasso di interesse. Da

una parte, i lavoratori risparmiano di più, con l’obiettivo di accumulare le risorse necessarie ad una vecchiaia più lunga; come conseguenza, la domanda di capitale aumenta e il tasso di interesse cresce. Dall’altra, aumentano i pensionati che continuano a lavorare anche una volta raggiunta l’et{ minima di pensionamento, con l’obiettivo di mantenere inalterato il proprio livello di consumo; ciò riduce la propensione al risparmio, comportando un calo del tasso di interesse. Risulta pertanto che la direzione d’impatto dell’invecchiamento della popolazione sul tasso di interesse non è univoca, ma dipende da quale delle due spinte si trovi a prevalere. Sulla base di analisi parametriche condotte sull’equilibrio dinamico del modello, gli autori sostengono che la variabile chiave capace di determinare quale spinta prevarrà sia la durata media del periodo di pensionamento. Risulta infatti che se l’et{ di pensionamento è inferiore ai 10 anni, la prima spinta domina e il tasso scende; viceversa, è la seconda a dominare, e il tasso sale (si faccia riferimento alla Figura 4.1). La portata di queste osservazioni è particolarmente rilevante; esse implicano infatti la revisione dell’osservazione di Bean – riportata a introduzione del capitolo – secondo cui l’aumento del rapporto pensionati su lavoratori implica necessariamente un calo nel tasso di interesse naturale.

51 In particolare, Fujiwara e Teranishi considerano per la popolazione “più giovane”, cui

corrispondono età di pensionamento pari a 66 anni, vita media pari a 75 anni e rapporto pensionati su lavoratori pari a 0,21. Per la popolazione “più anziana” considerano invece , cui

corrispondono età di pensionamento pari a 65 anni, vita media pari a 85 anni e rapporto pensionati su lavoratori pari a 0,39.

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Figura 4.1: Relazione tra tasso di interesse reale e offerta di lavoro da parte dei pensionati.

Fonte: adattamento da Fujiwara e Teranishi (2007).

Lo studio del comportamento dinamico permette invece di analizzare gli effetti degli shock economici su lavoratori e pensionati, nonché di verificare il contributo della struttura demografica nel determinare l’entit{ della risposta all’impulso. In particolare, si considerano due tipi di shock strutturali: quello tecnologico e quello monetario.

L’analisi degli effetti degli shock tecnologici conferma la rilevanza della demografia nella determinazione della risposta all’impulso. In primo luogo, questo tipo di shock influenza diversamente il consumo dei diversi individui: mentre quello dei lavoratori aumenta, quello dei pensionati resta sostanzialmente invariato, perché la loro offerta di lavoro è più bassa (si faccia riferimento ai grafici Consumo Lavoratori e Consumo Pensionati in Figura 4.2). Questo tipo di impulso, quindi, favorisce i giovani, che vedono la propria ricchezza crescere di più rispetto a quella degli anziani. In secondo luogo, gli effetti degli shock tecnologici variano al variare della struttura demografica considerata con riferimento, in particolare, alla durata

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media del periodo di pensionamento e alla produttività dei pensionati. All’aumentare della durata del periodo di pensionamento – che, come precedentemente accennato, spinge gli anziani a continuare a lavorare, avvicinandoli allo status di lavoratori – aumenta l’influenza sul consumo dei pensionati, seppur in misura inferiore rispetto ai lavoratori, come emerge dal grafico Consumo Pensionati in Figura 4.2 (in cui la linea continua corrisponde a pensionamento pari a 10 anni, quella tratteggiata a 30 anni).

Figura 4.2: Risposte delle principali grandezze economiche in seguito ad uno shock tecnologico, in un’economia che considera comportamento del Ciclo di Vita.

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Al crescere della produttività dei pensionati – e, quindi, al crescere del numero di anziani che lavorano in stato stazionario – cresce invece la volatilit{ dell’economia, in quanto aumenta l’entit{ della risposta all’impulso di tutte le variabili endogene del modello. Quest’ultima analisi rimanda ad alcune conclusioni raggiunte successivamente da Jaimovich e Siu (2009), secondo cui l’apporto dei pensionati alla volatilit{ dell’output varia da paese a paese a seconda delle abitudini lavorative dei pensionati (si veda, in particolare, il paragrafo 2.3.2). Più in generale, si conclude quindi che la struttura demografica della popolazione, con riferimento particolare all’aspettativa media di vita, influisce pesantemente sugli effetti degli shock tecnologici.

Lo studio della risposta agli shock monetari è chiave in relazione all’analisi di chi scrive, in quanto guarda al cuore della relazione tra politiche monetarie e struttura demografica.

In primo luogo, risulta che questo tipo di shock ha effetti opposti su pensionati e lavoratori. In particolare, una politica monetaria restrittiva aumenta il consumo dei pensionati –il cui reddito deriva principalmente dagli asset finanziari accumulati–, mentre deprime quello dei lavoratori, come è visibile dai grafici Consumo Lavoratori e Consumo Pensionati in Figura 4.3. Risulta infatti che l’effetto derivante da un aumento del tasso di interesse nominale domina l’aumento dell’effetto di sostituzione nel caso dei pensionati, mentre per i lavoratori vale il viceversa. Anche in questo caso si ha quindi una potenziale redistribuzione di ricchezza nel momento in cui l’economia si stabilizza.

In secondo luogo, gli effetti dello shock monetario variano al variare della struttura demografica considerata. In particolare, se la popolazione invecchia –i.e. se l’aspettativa di vita cresce– a parità di età di pensionamento, allora i pensionati sono spinti a lavorare, diventando simili ai lavoratori. Come conseguenza, si riduce anche la disparità di effetto dello shock sulle due classi di individui, cosicché la politica monetaria restrittiva risulta avere un effetto negativo anche sul consumo dei pensionati (si faccia riferimento al grafico Consumo Pensionati in Figura 4.3. Si noti che in figura grafici a linea continua corrispondono ad una struttura di popolazione giovane, con rapporto pensionati/lavoratori pari a 0,21, mentre quelli tratteggiati si riferiscono ad una popolazione più anziana, con rapporto pari a

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0,39). Infine, un altro punto importante riguarda la produttività dei pensionati. Come nel caso degli shock tecnologici, più la produttività è bassa (e, quindi, meno i pensionati lavorano nello stato stazionario), più l’economia risulta stabile. In questo contesto, le conseguenze di uno shock tecnologico sono inferiori su tutte le variabili del modello – ad eccezione, naturalmente, per l’offerta di lavoro da parte dei pensionati – cosicché risulta che l’economia è meno volatile.

Figura 4.3: Risposte delle principali grandezze economiche in seguito ad uno shock monetario, in un’economia che considera comportamento del Ciclo di Vita.

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Dalle considerazioni sopra riportate risulta pertanto che per le banche centrali è di fondamentale importanza tenere in considerazione la demografia per condurre una valida politica economica. In primo luogo, il tasso di interesse naturale52

cambia al variare della struttura demografica. In secondo luogo, shock economici strutturali hanno diverso effetto su lavoratori e su pensionati, portando ad una potenziale redistribuzione di ricchezza tra gli stessi. In particolare, shock tecnologici positivi comportano l’aumento della ricchezza dei lavoratori e la riduzione della ricchezza dei pensionati, mentre shock positivi sul tasso di interesse nominale hanno l’effetto opposto. Come conseguenza, risulta che le banche centrali possano decidere di favorire una classe rispetto all’altra.

Da una parte, ciò permette alla banca centrale di implementare politiche più articolate; dall’altra, c’è il rischio che l’alto potere contrattuale tradizionalmente rivestito dai più anziani in politica possa influenzare la politica economica verso l’innalzamento dei tassi, che favorisce appunto gli anziani ma nell’aggregato deprime l’economia. Infine, la struttura demografica influenza anche la volatilità delle variabili economiche rispetto agli shock. In particolare, meno pensionati lavorano nello stato stazionario, minore saranno gli effetti di shock tecnologici e monetari.

Se è vero che il modello di Fujiwara e Teranishi consente di condurre un’analisi ad ampio spettro relativamente alla relazione tra demografia e politiche monetarie, è però importante ricordare che esso, al pari di Gertler, prende in analisi il solo caso di struttura demografica stazionaria. Nulla dice invece relativamente agli effetti dei cambiamenti nella composizione della popolazione, la cui rilevanza è stata precedentemente discussa nel corso di questo capitolo.

Nel successivo paragrafo si fa un passo avanti in questa direzione, commentando il primo contributo che analizza la relazione tra crescita demografica e le politiche monetarie.

52 Considerazioni scorrette sul tasso naturale portano ad effetti non voluti in seguito all'attuazione

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4.5 Crescita demografica e politiche monetarie: un modello della