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Il modello base: una prima verifica empirica

2. Demografia e Teoria del Ciclo Vitale

2.5 Il modello base: una prima verifica empirica

Il modello fin qui presentato vuole essere un framework teorico di rappresentazione del ciclo di vita degli individui che permetta una migliore comprensione del sistema economico. Questo fine non può essere ovviamente raggiunto se il modello stesso non è coerente con la realtà che vuole rappresentare. Per questo motivo è di grande rilevanza l'utilizzo di vari test empirici atti a verificare le ipotesi di base e il comportamento della realtà in relazione al framework considerato. Il primo e più importante lavoro in questo senso è stato

19 Si veda Modigliani e Ando (1963).

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svolto dall'autore stesso in Modigliani e Ando (1963).Gli autori, nello svolgere la verifica, si devono confrontare con una serie di problematiche teoriche legate alle tecniche econometriche impiegate che furono ampiamente discusse proprio in tale periodo storico. Tra queste, le più comuni che sarebbero in grado di rendere

inconsistenti i risultati sono correlazione spuria, multicollinearità,

eteroschedasticità e la presenza di relazioni simultanee tra variabili. Di conseguenza, un classico approccio che utilizzi il metodo dei minimi quadrati per la regressione lineare sarebbe risultato inopportuno. Nonostante ciò, la difficoltà nel testare un modello così complesso è dovuta alla possibile presenza simultanea di più di uno dei problemi sopra citati. Questo fatto rende complicata la trattazione, dal momento che esistono metodi in grado di risolvere soltanto un problema alla volta, spesso a scapito di un peggioramento degli errori dovuti agli altri elementi di disturbo. L'approccio scelto è stato quello di testare le varie ipotesi del modello utilizzando più tecniche, ognuna delle quali in grado di correggere un solo problema presente nelle variabili. Sebbene gli autori si rendano conto che questo tipo di approccio non è formalmente esente da difetti, credono sia la migliore scelta possibile al fine di ottenere risultati credibili senza rendere la trattazione econometrica eccessivamente pesante. Il risultato dei vari test effettuati è presentato in Tabella 2.1, mentre le tecniche utilizzate e le conclusioni che vengono tratte sono presentate in seguito.

Tabella 2.1: Risultati delle verifiche empiriche relative alla funzione di consumo aggregato

Y XY A XA (α1) (α1x) (α3) (α3x) (1) A 8.1 (1.0) .75 (.05) - .042 (.009) - .75 88.289 2.233 .998 1.26 (3) A - .56 (.09) - .081 (.015) - .56 88.289 4.414 .997 .33 (4) A - .87 (.08) - .046 (.012) -.018 (.003) .87 88.289 2.826 .998 1.13 (6) B - .52 (.11) - .072 (.018) - .52 8.292 2.208 .929 1.85 (7) B - .60 (.16) -.11 (.13) .074 (.018) - .60 8.292 2.177 .931 1.92 (8) B - .51 (.12) - .089 (.031) -.017 (.024) .51 8.292 2.184 .930 1.91 (11) C - .44 (.05) - .105 (.008) - .44 .092 .030 .899 .34 (12) C - .69 (.07) -.07 (.02) .071 (.009) - .69 .092 .021 .948 .93 (13) C - .69 (.06) - .071 (.009) -.012 (.003) .69 .092 .020 .953 .95 Riga Metodo di regressione R2 Test Durbin- Watson Costante

Coefficienti ed errori standard di stima

α1 + α2 Errore standard della variabile dipendente Errore standard della stima

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Per svolgere questi test, i dati utilizzati sono serie storiche degli Stati Uniti nel periodo che va dal 1929 al 1959, escludendo però gli anni della Seconda Guerra Mondiale in quanto non considerati rappresentativi. Come sempre, le variabili sono C per i consumi, Y per il reddito al netto delle tasse e A la ricchezza netta, tutte misurate in miliardi di dollari correnti.

La prima riga indica i risultati ottenuti nel testare la (2.7) tramite una semplice regressione lineare ottenuta con il metodo dei minimi quadrati ordinari, senza nessuna modifica o alterazione delle variabili utilizzate. Nonostante l'R2 possa far

apparire le variabili come altamente significative, si nota immediatamente che i valori ottenuti non sono coerenti con quelli che vengono previsti dalla teoria. Si ha infatti un coefficiente di Y, stima di , più alto di quello teorico e un A molto più basso. Osservando di conseguenza il valore della Durbin-Watson, inferiore a 2, si può dedurre la presenza di una forte correlazione tra i residui.

Il primo test non ha infatti il fine di ottenere risultati concreti, ma mira ad evidenziare la necessità di introdurre tecniche più sofisticate di verifica. Inoltre, il valore ottenuto per la costante del modello, sebbene rilevante statisticamente, è considerato non sufficientemente lontano da 0 da poter indicare un errore teorico nella (2.7). I due autori decidono così di forzare a 0 il valore delle costanti nei modelli successivi al fine di rendere il modello di test più simile a quello teorico. Si noti come questa decisione potrebbe non essere adeguata, dal momento che forzare a 0 la costante può andare ad introdurre un bias nella stima di tutti gli altri coefficienti. Si preferisce solitamente mantenere la costante nel modello includendo considerazioni addizionali sul valore che la stessa assume.

Le righe 3 e 4 si pongono in quest'ottica, andando a ripetere i test in assenza di costante. I risultati ottenuti sono più vicini a quelli sperati, ma la presenza ancora forte di correlazione nei residui non permette conclusione alcuna. Gli autori passano così all'utilizzo di variabili in differenza prima, riuscendo a ridurre l'impatto di correlazione e multicollinearità contemporaneamente. I risultati ottenuti con questa variazione sono presentati nelle righe dalla 6 alla 8. Si possono fare due considerazioni di interesse: una prima riguarda la similitudine dei risultati ottenuti con quelli precedenti, che aumenta la confidenza che le stime siano corrette e robuste; una seconda riguarda il test di Durbin-Watson, che

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migliora considerevolmente permettendo di concludere che il bias introdotto dalla correlazione è ora molto ridotto. I risultati ottenuti fin qui sono sicuramente confortanti, ma fanno uso ancora di tecniche di stima basate sui quadrati ordinari. Questa tecnica porta a risultati con bias in quanto una o più variabili dipendenti risultano correlate alla variabile dipendente tramite altre relazioni simultanee. Gli autori decidono così di fare un passo avanti introducendo un nuovo metodo. Nello specifico, il miglior approccio teorico possibile sarebbe quello che si otterrebbe costruendo un modello completo dell'economia degli Stati Uniti, stimando poi i vari coefficienti con una tecnica di stima simultanea delle varie equazioni così ottenute. Questo approccio è estremamente complesso e non viene seguito, preferendo una formulazione che si basi sulla stessa idea di fondo ma limiti la definizione dell'economia ad un modello più banale. La trattazione matematica non è di interesse per lo studio qui presentato e si vuole dare soltanto un'idea della stessa: il modello sarà un'identità che metta in relazione consumi, risparmi e redditi notando che i risparmi sono pari agli investimenti e assumendo questi ultimi come autonomi. Si passa così alla stima dei parametri della funzione di consumo dalla regressione del consumo stesso con i risparmi.

Ciò che si ottiene però è un insieme di risultati altamente lontani da quelli sperati, con valori dei coefficienti spesso privi di significato. Questo è dovuto al peggioramento della multicollinearità introdotto dall'uso di questo ultimo modello. Gli autori passano così all'introduzione di varie correzioni al test eseguito, ottenendo valori non sempre soddisfacenti.

Le conclusioni che vengono tratte complessivamente da questo studio sono ottimistiche, dal momento che è presente una certa evidenza a favore del modello teorico. Sfortunatamente, i problemi in grado di rendere complicata una stima precisa ed esente di errori non vengono risolti da Modigliani e Ando e sono lasciati in sospeso.

Si passa ora ad analizzare le principali implicazioni che il LCHM presenta relativamente alla Teoria del Risparmio.

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