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Politiche fiscali

5. Demografia e politiche economiche: un framework analitico

5.5 Politiche economiche

5.5.1 Politiche fiscali

Nell’ambito delle politiche fiscali, si analizzeranno due temi principali: la

Previdenza Sociale e il finanziamento della spesa pubblica. Come si vedrà, infatti, essi risultano essere strettamente interconnessi con le variabili demografiche di una nazione.

5.5.1.1 Previdenza sociale

Le analisi finora condotte portano ad individuare nella Previdenza Sociale un tema strettamente interconnesso con le caratteristiche demografiche di una nazione. In questo paragrafo ci si pone l’obiettivo di analizzare in particolare due aspetti di questa relazione:

- Come un dato sistema di pensionamento si debba adattare a cambiamenti demografici;

- Quale sistema di pensionamento meglio si presti a far fronte a differenti evoluzioni.

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Per raggiungere l’obiettivo è utile presentare brevemente le principali caratteristiche degli schemi pensionistici ad oggi più diffusi: a capitalizzazione e a ripartizione58.

Lo schema a capitalizzazione, adottato principalmente nei paesi anglosassoni, abbraccia un’ottica assicurativa individuale, in cui i contributi che ogni individuo versa durante l’et{ lavorativa sono investiti sul mercato dei capitali e riscossi successivamente – durante il pensionamento – sottoforma di rendita. Risulta pertanto che ogni generazione finanzia le proprie pensioni, senza impegni nei confronti delle generazioni precedenti né diritti nei confronti di quelle successive. Lo schema a ripartizione, principalmente adottato nei paesi latini, si fonda invece su un “patto intergenerazionale” in cui i contributi prelevati dai lavoratori vengono destinati al pagamento delle pensioni erogate nello stesso periodo agli anziani; le pensioni delle generazioni anziane risultano pertanto finanziate dalle generazioni attive. La contribuzione obbligatoria in questo schema non partecipa alla formazione dei risparmi/investimenti aggregati, perché subito usata per pagare le pensioni in corso. La proporzione tra generazioni attive e in pensione costituisce un indicatore fondamentale della sostenibilità del sistema: se il rapporto cala l’equilibrio finanziario viene meno, rendendo necessario l’abbassamento della rendita dei pensionati (a parit{ di aliquota contributiva) o l’aumento dei contributi pensionistici (a parità di pensioni pro capite).

Si procede ora analizzando gli effetti determinati da variazioni demografiche59 in

corrispondenza dei sistemi pensionistici appena discussi, con particolare attenzione alle misure che si rendono necessarie (Tabella 5.1). Per ogni variabile considerata si distinguono gli effetti di una crescita (segno +) e di una decrescita (segno -) della stessa, ad eccezione della durata media di vita60.

58 Si noti che l’analisi fa riferimento alle sole forme pensionistiche pubbliche. Nondimeno in molte

nazioni la previdenza sociale statale è affiancata da forme di assistenza complementari private. In Italia la possibilità di ricorrere a questo tipo di soluzione è stata introdotta dalla Riforma Amato (1992).

59 Con riferimento alle variabili demografiche sintetizzate nel grafico N.X. L’istruzione è esclusa

dall’analisi in quanto non determina effetti diretti sul sistema di pensionamento.

60 La riduzione della spettanza di vita non è presa in considerazione in quanto si osserva che la

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Tabella 5.1: Analisi delle conseguenze di variazioni demografiche sugli schemi pensionistici a ripartizione e capitalizzazione.

Variabile ∆ Ripartizione Capitalizzazione

% di anziani sul totale della

popolazione +

Viene meno il rapporto tra lavoratori e pensionati necessario per garantire l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico. Le alternative che si presentano sono:

• Contributo pensionistico totale fisso, con conseguente riduzione delle pensioni pro capite. Questa situazione scarica il costo del cambiamento demografico

esclusivamente sugli anziani e porta allo sviluppo di forme di assistenza complementari “private”;

• Pensioni pro capite costanti e conseguente aumento delle tasse ai lavoratori. Questa alternativa è in toto a carico dei lavoratori e penalizza la crescita economica; • Innalzamento dell’et{ pensionabile.

Il “costo” di questa opzione è distribuito più equamente tra pensionati e lavoratori; la non retroattività del provvedimento implica però che chi già è in pensione ne risulterà avvantaggiato. Il sistema è in equilibrio finanziario per definizione; non si vede necessaria alcuna modifica. - La proporzione lavoratori/pensionati cresce, stabilizzando il sistema e gettando le basi per una eventuale riduzione dell’aliquota contributiva e/o della possibilità di anticipare il

pensionamento. La prima alternativa è sicuramente la più auspicabile, in quanto fungerebbe da stimolo all’economia. Non si verifica alcuna modifica. Si perde però l’opportunit{ di ridurre i contributi versati dalla popolazione attiva.

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Vita media +

Il miglioramento delle aspettative di vita causa un aumento della percentuale di anziani sul totale, con le stesse

conseguenze sopra descritte. In questo caso la soluzione più ragionevole è innalzare l’et{ di pensionamento, coerentemente con la variazione della vita media. Nonostante l’equilibrio finanziario sia garantito, le pensioni si troveranno a diminuire. Gli anziani possono scegliere di adeguarsi al nuovo standard o lavorare più a lungo. Tasso di crescita della popolazione -

Genera gli stessi effetti descritti in relazione all’aumento della percentuale di pensionati sul totale, ma è osservabile con largo anticipo rispetto al

manifestarsi degli effetti. I governi hanno quindi l’opportunit{ di agire attraverso riforme graduali e lungimiranti. Il sistema è in equilibrio finanziario per definizione; non si vede necessaria alcuna modifica. +

Come descritto in relazione ad una diminuzione della percentuale di pensionati sul totale, il sistema si stabilizzerà ed eventualmente

consentirà di ridurre la pressione fiscale sui lavoratori, con conseguenti effetti positivi sull’economia. Il sistema non necessita di alcuna modifica. Si perde l’opportunit{ di ridurre i contributi versati dalla popolazione attiva.

Dalle considerazioni sintetizzate in tabella risulta chiaro come l’efficacia dei sistemi pensionistici dipenda strettamente dalla capacità dei governi di mantenerne l’allineamento con le caratteristiche demografiche del paese. Si ritiene utile sottolineare gli effetti del tasso di crescita nel sistema a ripartizione: in caso di crescita positiva, risulta auspicabile una riduzione dei contributi versati dalla popolazione attiva, che fungerebbe da stimolo all’economia; in caso di crescita negativa (o di crescita ridotta, accompagnata dal miglioramento delle aspettative di vita), cui corrisponde un aumento della percentuale di anziani, la leva più

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efficace è invece l’innalzamento dell’et{ di pensionamento, che contribuisce alla crescita economica. Perché l’innalzamento dell’et{ pensionabile rispetti il principio di equità intergenerazionale è però necessario che venga attuato con il dovuto anticipo, in quanto chi già è in pensione non potrà più essere coinvolto nel cambiamento. Si dimostra quindi come il monitoraggio dell’evoluzione futura delle variabili demografiche sia molto utile per implementare riforme efficaci.

Le analisi condotte non si limitano però a fornire indicazioni in merito a come “tarare” le caratteristiche del sistema di pensionamento in base ai cambiamenti demografici. È infatti possibile spingersi oltre, andando ad analizzare quale sistema risulti più conveniente adottare in corrispondenza di diverse caratteristiche demografiche di una nazione61.

Nel caso di composizione della popolazione sbilanciata verso le generazioni più giovani, il sistema a ripartizione offre l’opportunit{ di ridurre i contributi pensionistici versati dai lavoratori, a parità di età di pensionamento e pensioni pro capite. L’aumento della base lavoratrice non è invece sfruttabile dal sistema a capitalizzazione, che si basa sul rapporto anni di lavoro/pensionamento del singolo individuo. Le stesse considerazioni valgono nel caso di un aumento del tasso di crescita della popolazione; in questo caso le indicazioni che se ne derivano riguardano però l’adeguatezza del sistema nel lungo termine, e permettono di prendere provvedimenti con il dovuto anticipo.

Le considerazioni più interessanti riguardano però il caso che vede le aspettative di vita in costante aumento e il tasso di crescita della popolazione in diminuzione – con un conseguente aumento del peso percentuale degli anziani rispetto alla popolazione totale –, che rispecchia il trend attualmente in atto nei paesi sviluppati. In questo contesto, il sistema a ripartizione rispetto a quello a capitalizzazione soffre di due principali difetti:

- l'incertezza congenita sulla sua capacità di pagare in futuro le pensioni promesse, dovuta al fatto che il sistema è stato creato sulla base di ipotesi non

61 Esiste una vasta letteratura sul tema. Si citano, tra gli altri, Modigliani e Ceprini (1998) e

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più valide sulla crescita della popolazione e sulla vita media dopo il pensionamento;

- l’ingente contribuzione obbligatoria che non partecipa alla formazione del risparmio e dell'investimento nazionale (e quindi alla crescita dell'economia) perché usata per pagare le pensioni già in corso.

Al contrario, il sistema a capitalizzazione garantisce automaticamente l’equilibrio finanziario e si basa sull’investimento dei contributi sui mercati finanziari, caratteristica particolarmente apprezzabile in corrispondenza di una situazione di stagnazione che il trend demografico sopra descritto implica, come illustrato in precedenza (si faccia riferimento alla Figura 5.3).

È importante ricordare come queste considerazioni facciano riferimento agli effetti di sole variazioni demografiche, escludendo dai confini dell’analisi variazioni di altre variabili e obiettivi di governo dei policymaker. Le scelte “ottime” dei governi non devono infatti necessariamente coincidere con quanto finora esposto. Si consideri, per esempio, una situazione caratterizzata da vita media in aumento e tasso di crescita negativo accompagnata da elevata inflazione e instabilità dei mercati finanziari. Se da una parte le variabili demografiche fanno propendere per il sistema a capitalizzazione, dall’altra inflazione e volatilit{ dei mercati finanziari spingono verso l’adozione del sistema a ripartizione. Lo schema a capitalizzazione prevede infatti che i contributi versati vengano investiti sul mercato dei capitali, soggetti al rischio di perdite in conto capitale a causa dell’inflazione e caratterizzati de rendimenti più variabili; pertanto, per applicarlo serve stabilità politica ed economica.

È quindi importante ricordare che le variabili demografiche sono solo una categoria tra le tante variabili che dispiegano i propri effetti sul sistema di pensionamento; nondimeno è importante valutare adeguatamente questi effetti, di modo da poter intraprendere provvedimenti tempestivi sulla base di un quadro il più possibile completo.

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171 5.5.1.2 Finanziamento della spesa pubblica

Il tema del finanziamento della spesa pubblica è di particolare rilevanza per le economie contemporanee, che si ritrovano a fare i conti con livelli elevati di debito e necessità di operare una stretta sulla pressione fiscale. Come si è visto nel corso del capitolo 4 (Demografia e politiche monetarie: sviluppi recenti), la scelta di finanziare la spesa pubblica attraverso il debito piuttosto che con un aumento delle tasse influenza la domanda privata (Gertler, 1997). In particolare, nel breve periodo il ricorso al deficit di bilancio favorisce i consumi, mentre vale il contrario in corrispondenza di un innalzamento della pressione fiscale62.

In questo paragrafo ci si pone l’obiettivo di approfondire l’analisi del tema, con riferimento in particolare a due aspetti: l’agevolazione di una generazione in corrispondenza di strategie di finanziamento alternative; l’interazione tra variabili demografiche e soluzioni di finanziamento.

Per esplorare gli effetti indotti dalle strategie di finanziamento su diverse generazioni risulta utile distinguere tra effetti di breve e di lungo periodo:

- Nel breve periodo, un aumento della spesa pubblica per beni e servizi finanziato attraverso la sottoscrizione di debito nazionale favorisce i consumi delle generazioni presenti al momento dell’aumento;

- Nel lungo periodo, il debito costituisce un fardello63 sulle nuove generazioni,

in quanto la necessità di pagare gli interessi sul debito si ripercuote in una riduzione nel flusso di beni e servizi erogati dallo stato e/o in un aumento della pressione fiscale.

Risulta allora che il finanziamento della spesa pubblica tramite ricorso al debito favorisce le generazioni presenti al momento della scelta rispetto a quelle che

62 Modigliani (1961). L’antecedente teoria economica dell’Equivalenza Ricardiana, secondo cui i

consumatori internalizzano i vincoli di bilancio di modo che la tempistica dei cambiamenti della tassazione non influisca sul loro profilo di spesa, resta applicabile unicamente al caso di vita infinita degli individui.

63 Il fardello/guadagno verso le generazioni future determinato da una aumento/diminuzione della

spesa pubblica possono essere misurati attraverso il cambiamento del tasso di interesse sul debito pubblico, posto che il tasso di interesse a cui i governi prendono denaro a prestito possa considerarsi una buona proxy della produttività marginale del capitale (Modigliani, 1961).

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seguono, determinando un trattamento impari tra quelle che saranno in futuro la fascia di età degli anziani e le fasce di giovani e adulti. Queste conclusioni risultano ribaltate nel caso di finanziamento tramite aumento della pressione fiscale, che costituisce un fardello sulle generazioni presenti mentre tende a generare un guadagno per quelle future. Si noti inoltre che il fardello che si genera sulle generazioni future in corrispondenza dell’incremento del debito può essere compensato parzialmente o in toto nel caso in cui il debito sia utilizzato anche per attuare una serie di interventi pubblici che contribuiscano ad incrementare il reddito reale delle generazioni future (rilancio dell’economia). Le generazioni future riceveranno così anche i benefici delle spese, nel rispetto del principio di equità intergenerazionale. Risulta quindi auspicabile che i governi investano nel rilancio dell’economia e che, parallelamente, mantengano un saldo controllo sul livello del debito, definendo piani temporali per il pareggio di bilancio.

Le soluzioni di finanziamento risultano inoltre strettamente interconnesse con le variabili demografiche. Si prendano in esame le seguenti evoluzioni demografiche “limite”:

- Aumento del tasso di crescita della popolazione, che presuppone un futuro aumento del numero di contribuenti;

- Innalzamento delle aspettative di vita accompagnato da riduzione del tasso di crescita,

che implicano un futuro sbilanciamento della popolazione verso le fasce più anziane.

In corrispondenza della prima situazione la scelta di finanziare il debito attraverso deficit di bilancio avrà effetti più contenuti sulle generazioni future, in quanto le spese si distribuiranno su un numero di individui in aumento e nell’ambito di un’economia caratterizzata da elevati consumi, risparmi/investimenti e produttività (si faccia riferimento alla Figura 5.3)

In corrispondenza della seconda situazione, invece, gli effetti negativi sulle generazioni future determinati dal ricorso al debito risulteranno amplificati. Le spese sostenute andranno infatti a riversarsi su un numero di individui in diminuzione, con conseguente aumento dei costi pro capite. Si avrà quindi un

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effetto depressivo sull’economia, gi{ penalizzata dall’evoluzione demografica considerata (si faccia riferimento alla Figura 5.3).

Risulta quindi che la scelta di ricorrere al finanziamento della spesa pubblica tramite utilizzo del debito avrà effetti negativi più o meno amplificati in corrispondenza di condizioni demografiche diverse. I governi dovrebbero quindi tenere conto delle variabili demografiche al momento della definizione dei piani di finanziamento, di modo da assumere decisioni il più possibile ragionate e responsabili. La tendenza degli ultimi anni ha visto invece i governi agire sulla base di considerazioni prevalentemente di breve periodo, che hanno favorito le generazioni di allora ma hanno portato oggi alla formazione di un debito pubblico difficilmente sostenibile. Si giunge così a un punto di rottura in cui il sistema non regge più e si è costretti a prendere provvedimenti radicali che generano uno shock sull’economia. Una politica fiscale lungimirante, basata sulla corretta stima dei costi e benefici delle scelte nel breve e nel lungo periodo, si rende quindi necessaria per garantire la stabilità economica.