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I modelli DDG e una possibile integrazione

3. Demografia e mercati finanziari

3.4 I modelli DDG e una possibile integrazione

Se da una parte la trattazione di Geneakoplos et al. risulta innovativa e capace di creare un dibattito intorno ad un tema così poco sviluppato, dall’altra si sente l’esigenza di un modello quantitativo in grado di testare più efficacemente le varie ipotesi presentate. Prima di presentare uno studio che si pone proprio questo obiettivo, è bene introdurre un lavoro di Campbell e Shiller (1988), dal quale le successive elaborazioni prendono spunto, e che risulta di interesse anche in quanto modello capace di esprimere la distinzione tra “informazione” e “rumore” di cui si è parlato nell’introduzione del capitolo. In dettaglio, la formulazione presentata dai due autori si propone come modello Dividend Discount Growth (DDG - Vedi Allegato D).

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I due autori, infatti, si interrogano sul significato di una variazione nel tempo del dividend/price ratio31. In letteratura vi sono due differenti visioni di tale

fenomeno: da una parte, può essere visto come un predittore per i dividendi, assumendo alti valori quando le previsioni di crescita dei dividendi futuri sono negative; dall’altra, può essere interpretato come il riflesso del valore del tasso di sconto che viene applicato, assumendo alti valori quando tale tasso è alto. I due autori vedono come possibili entrambe le interpretazioni e introducono un modello che permetta di verificarne la veridicità. Tale modello costituirà una naturale estensione del modello di Gordon e Shapiro (1956), che è valido per un tasso di crescita indefinitamente invariante nel tempo.

L’idea base sul quale è costruito è che il logaritmo dei dividendi e il tasso di sconto siano due importanti elementi di un vettore di variabili che descrive lo stato dell’economia in un dato istante temporale. Questo vettore evolve nel tempo come un processo lineare stocastico multivariato con coefficienti costanti. L’ipotesi di coefficienti costanti è ritenuta accettabile in quanto implica che i manager prendano decisioni sui dividendi senza considerare il valore in borsa dell’azione della loro impresa, fatto che risulta plausibile. Gli attori del mercato inoltre osservano questo vettore nel tempo e lo utilizzano per fare previsioni sui futuri dividendi logaritmici e tassi di sconto.

Sulla base di uno scenario così costituito, è possibile trarre alcune considerazioni rilevanti. In primo luogo, la differenza di prezzo ex post delle azioni rispetto al tasso di sconto ex post non può essere prevista tramite un modello di regressione lineare; è possibile però utilizzare il dividend-price ratio come un predittore ottimale per i tassi di crescita dei dividendi e i tassi di sconto. Il problema degli autori nel verificare questo scenario riguarda l’osservabilit{ delle variabili in questione. Se, infatti, non ci sono problemi nel reperire i dati riguardanti i dividendi, non è così semplice misurare il tasso di sconto applicato dal mercato, che è teoricamente ottenibile come informazione dal valore stesso delle azioni. Al fine di ridurre al minimo le implicazioni dovute a un’errata misurazione del tasso

31 Anche detto D/P ratio, o dividend yield.

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di sconto nel modello, gli autori costruiscono quattro differenti modelli che catturano tale dato in modo differente:

- Modello 1: in questo semplice modello, il tasso di sconto è preso come costante nel tempo;

- Modello 2: nella seconda iterazione, si utilizza come tasso di sconto il tasso ex ante sul debito di breve (misurato sui Treasury bills americani) sommato ad un premio per il rischio costante;

- Modello 3: questo terzo modello utilizza il tasso atteso di crescita del consumo aggregato ex ante per capita moltiplicato per il coefficiente di avversione al rischio, sommato al premio al rischio;

- Modello 4: questa versione differisce dalla precedenti in quanto si basa su di una diversa assunzione. La variabile che si modifica nel tempo è infatti il premio al rischio, misurato come il prodotto tra la varianza condizionale dei tassi di sconto moltiplicata per il coefficiente di avversione al rischio, al quale viene sommato un valore costante di tasso privo di rischio.

La trattazione matematica dello studio non è qui riportata in quanto non si ritiene di interesse per il tema in esame. E’ importante però introdurre le conclusioni a cui giungono gli autori in quanto permettono di comprendere quali spunti il loro lavoro abbia dato a quello successivo di Favero e Tamoni (2010a, 2010b), la cui rilevanza è chiave ai fini della analisi e che verrà analizzato nel dettaglio in seguito. Innanzitutto, i due autori verificano la relazione presente tra il log dividend-price ratio e la crescita futura dei dividendi. D’altra parte però non si riesce a verificare una relazione statisticamente rilevante tra i tassi di sconto e l’andamento dei prezzi delle azioni, nonostante i vari modelli introdotti. Infine, una componente sostanziale della variazione del log dividend-price ratio rimane del tutto non spiegata dal modello. Questo ultimo risultato, non di certo confortante, è parzialmente attenuato dal fatto che gli autori si rendono conto di una crescente capacit{ previsionale del loro modello all’allungarsi dell’orizzonte temporale di riferimento. I loro primi test, riguardanti dati di un solo anno, riconoscono al modello una capacità previsionale decisamente inferiore rispetto a quella riscontrata utilizzando dati di periodi più lunghi. Questi risultati sono analoghi a

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quelli presentati in precedenza di Fama e French, nonché ad un altro studio da parte di Flood, Hodrick e Kaplan (1986).

Ed è proprio da queste ultime considerazioni che deriva l’idea di modellazione presentata da Favero e Tamoni (2010a, 2010b).

Come appena accennato, questo contributo è particolarmente rilevante. I due autori si occupano della relazione che sussiste tra la componente di “informazione” presente nell’andamento degli indici finanziari e il precedentemente introdotto MY ratio. Il metodo da loro utilizzato per la scomposizione in “rumore” e “informazione” fa uso dei risultati raggiunti da Campbell e Shiller (1988). I due autori, come visto, non si occupano in realtà direttamente di questo tema, ma il loro modello DDG per la previsione dei tassi di crescita reali dei dividendi viene preso come ispirazione da Favero e Tamoni.

Questi ultimi, infatti, si pongono l’obiettivo di coniugare il modello di Campbell e Shiller con le intuizioni di Geneakoplos et al, completando la capacità previsionale dei dividendi in relazione alla componente “informazione” tramite l’introduzione del MY ratio come seconda variabile predittiva.

Da notare come anche la componente demografica possa permettere una scomposizione tra “informazione” e “rumore”. Analizzando la componente di rischio dei mercati azionari, misurata tradizionalmente come la varianza e covarianza condizionale del ritorno a un periodo, si nota come utilizzando MY come predittore si ottengano naturalmente due componenti distinte, una ad alta frequenza e una a bassa frequenza. La possibilità di avere queste due componenti distinte è particolarmente utile nel caso si vogliano costruire modelli previsionali non interessati ai ritorni di brevissimo termine, ma in grado di spiegare l’andamento dei mercati azionari tramite l’utilizzo di variabili macroeconomiche. Queste ultime sono tipicamente caratterizzate da variazioni più lente nel tempo e non sono di conseguenza adeguate in modelli ad alta frequenza.

Dal punto di vista della modellizzazione, gli autori iniziano esponendo brevemente il modello DDG di partenza, derivato sostanzialmente dal precedente lavoro di

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Campbell e Shiller. In breve, il modello, sotto l’ipotesi di stazionariet{ del P/D ratio, è costruito come segue32:

(3.17)

Dove alla sinistra dell’uguale troviamo il ritorno totale del mercato azionario, alla destra invece vi sono gli elementi che lo compongono, con la lettera d che sta ad indicare i dividendi, dp il dividend-price ratio, k la media costante di equilibrio di lungo periodo attorno alla quale è svolta la linearizzazione da cui deriva il modello e . Non si vuole esaminare nel dettaglio questa formulazione, dal momento che sarà presentata a breve la variazione comprendente anche la variabile demografica. Si vuole però segnalare che in questo modello sono presenti numerose difficoltà derivanti dalle ipotesi sottostanti il modello stesso. Gli autori si occupano di esaminarne alcune, focalizzando però l’attenzione sul risultato più interessante del modello stesso, cioè il modo in cui permette di rendere trascurabile la componente di “rumore” su lunghi orizzonti previsionali, permettendo una facile identificazione della componente di “informazione” a cui gli autori sono interessati.

Il modello che ottengono introducendo la variabile demografica prescelta, in questo caso MY prendendo spunto dal paper di Geneakoplos et al, è il seguente:

(3.18)

La prima equazione presentata differisce da quella precedentemente introdotta solo nel termine k, che è rimosso. Questo perché la linearizzazione attorno alla quale viene costruita tale funzione non è più considerata costante ma variabile

32 Tutte le variabili sono in logaritmo.

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attorno alla struttura della popolazione, catturata da MY. Questa variabile si evolve molto lentamente nel tempo ed è facilmente prevedibile in quanto dipende dalle decisioni di natalità precedenti. Essa costituisce la parte in grado di catturare l’”informazione” e non ha errore, in quanto è presa come deterministica dal momento che è altamente prevedibile per il periodo di analisi solitamente preso in considerazione. Errore però che è presente ed attribuito al D/P, nella forma di

. Importante anche notare come , dal momento che D/P è affetto da

mean-reversion ed è destinato a tornare al suo valore di lungo periodo catturato dalla variabile di “informazione”. Eventuali scostamenti da questo valore, dovuti a shock, sono da considerarsi temporanei. Queste implicazioni sono verificate dalle prove empiriche, che dimostrano come il D/P abbia delle variazioni lontano dalla sua media di lungo, catturata dalla variabile demografica, a frequenza estremamente alta e quindi trascurabile rispetto alle variazioni di lungo della media stessa.

L’altro termine di errore presente nel modello, , spiega invece il comportamento della crescita dei dividendi, che può essere visto come sostanzialmente non prevedibile.

Procedendo nello sviluppo del modello, si può sviluppare la prima equazione m passi avanti nel tempo ottenendo:

(3.19)

Questa equazione mostra come il modello sia in grado di prevedere i ritorni di lungo periodo. Una deviazione del D/P ratio dal suo valore di equilibrio, infatti, permette di prevedere il ritorno azionario di m periodi in avanti, ammesso che m sia abbastanza grande da rendere così trascurabile l’ultimo addendo di tale equazione.

L’ultimo passaggio permette di rendere il modello adatto ai dati di cui si dispone. L’ipotesi sottostante implica che il valore attorno il quale l’equazione viene linearizzata dal tempo t al tempo t + m sia il valore atteso condizionale del dividend

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yield per il tempo t + m data l’informazione conosciuta al tempo t. Questo permette di scrivere: = 22 =1 22 1 23 + + + (3.20)

Da questa formulazione si nota come, con l’estendersi dell’orizzonte temporale di riferimento, la componente di “rumore” perde di rilevanza, rendendo la componente di mean-reversion del dividend yield predominante. Per quanto riguarda i due noise presenti nel modello, si può affermare che sia trascurabile, in quanto per crescenti valori di m, tende rapidamente a 0 anche con valori di prossimi all’unit{. Per quanto riguarda , la situazione è più complessa: per valori

di prossimi all’unit{ tale elemento diventa persistente nell’equazione e non può essere ignorato, mentre con valori più bassi di anche tale componente si annulla. Nel dettaglio, dall’equazione (3.20) si possono derivare tre principali risultati di interesse:

- La capacità del modello di prevedere il rendimento nel tempo migliora all'aumentare dell'orizzonte temporale preso in considerazione, quindi al crescere di m.

- Come evidenziato anche in altri studi33, i residui del modello così costruito

sono caratterizzati dalla presenza di una componente a media mobile che va trattata correttamente nell'analizzare i risultati.

- Infine è importante notare come utilizzando tale modello a scopi predittivi, si avrà una struttura del rischio di mercato dipendente da m così definita:

(3.21)

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Che come si può facilmente notare si riduce all'aumentare di m, fatto facilmente comprensibile dal momento che la componente di "rumore" del modello tende a 0 con l'aumentare di m.

Il modello viene poi testato empiricamente dai due autori, tramite il Metodo Generalizzato dei Momenti (GMM). Il set di dati fa riferimento al periodo temporale che va dal 1910 al 2008 e permette di ottenere risultati molto significativi. Si nota infatti come il parametro demografico introdotto da questo studio, MY, sia significativo. Tale parametro risulta anche incredibilmente efficace nel catturare l'"informazione", risultando ideale nel supportare il modello nel suo fine di predittore di lungo periodo. Questo risultato è ben evidente in Figura 3.2, rappresentata in seguito.

Un altro elemento di notevole importanza legato all'utilizzo della variabile MY riguarda la facilità nel reperire dati inerenti ad essa. Non solo è possibile trovare serie storiche complete e accurate per la maggior parte dei paesi, ma in molti casi è

Figura 3.2: efficacia di MY nel catturare l’”informazione”.

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altrettanto semplice ottenere delle previsioni sull'andamento di tale variabile con un orizzonte temporale molto lungo. Esistono per esempio delle stime riguardanti il comportamento di MY negli Stati Uniti fino al 2050, fornite dal Bureau of Census (BoC).

Il paper di Favero e Tamoni non si limita a queste analisi ma compie anche studi accurati sull'andamento del rischio tramite tecniche VAR (Vector Auto Regression) che però non verranno affrontate in questa sede. Si vuole invece evidenziare il grande apporto di questo studio nella determinazione di una relazione tra variabili demografiche e comportamento dei rendimenti dei titoli azionari. La capacità di prevedere l'andamento di lungo periodo dei rendimenti può essere utile per vari motivi. Da una parte si può avere una capacità previsionale dello stato "di fondo" dei mercati finanziari, inteso come una naturale componente a bassa frequenza che si può trovare in uno stato più o meno "critico" rispetto alla media storica. Dall’altra, è possibile sfruttare questa informazione per eseguire manovre correttive con il giusto anticipo: si possono prendere decisioni in modo proattivo, adeguando i tassi al rialzo in periodi in cui i mercati tenderebbero naturalmente a crescere o, nel caso opposto, adeguandoli verso il basso per ridurre la possibilità di entrare in una recessione.

3.5 Conclusioni

Nonostante nel corso del capitolo si siano esaminati numerosi studi, risulta evidente che i risultati davvero interessanti sono da attribuire a uno studio specifico tra quelli presentati: quello di Favero e Tamoni (2010). In particolare, la variabile MY ratio da loro introdotta, è estremamente efficace nello spiegare due fenomeni legati alla composizione in età della popolazione: da una parte vi è l’andamento di fondo dei mercati finanziari, denominato “informazione”, che vede nel MY ratio un ottimo predittore se combinato con il dividend yield; dall’altra vi è la volatilit{ dei mercati stessi, che risulta inferiore in periodi in cui l’MY ratio è elevato. Sebbene non di primario interesse per lo studio dell’andamento economico legato alla demografia, specie se confrontate con altri risultati ottenuti in letteratura, queste due relazioni non sono da ignorare. Il forte impatto dei

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mercati finanziari sull’andamento dell’economia reale è ormai fatto certo; di conseguenza è bene poter disporre di uno strumento addizionale per la comprensione dei mercati stessi. Per questo motivo Le considerazioni trattate in questo capitolo verranno tenute in considerazione anche nelle analisi successive, con lo scopo di meglio delineare una relazione generale tra variabili demografiche ed andamento dell’economia.

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4. Demografia e politiche monetarie: sviluppi