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Relazione di minoranza: parla Altero Matteoli

Le relazioni di minoranza: motivazioni di un dissenso

3. Relazione di minoranza: parla Altero Matteoli

Abbiamo riferito di Bastianini che aveva negato il suo consenso a causa di alcune lacune contenutistiche, di cui la relazione di maggioranza era inevitabilmente portatrice; abbiamo riferito di Ghinami che aveva formulato il proprio dissenso in termini incisivi accusando, in primo luogo, le dinamiche strutturali e le metodologie fatte proprie dalla Commissione; adesso esamineremo la prospettiva, ancora diversa, di Altero Matteoli, esponente del MSI. Già nella prefazione, Matteoli dimostrava di essersi approcciato alla questione P2 in maniera differente dai suoi colleghi; alle parole accusatorie di Ghinami si sostituiva una prospettiva critica sì, ma anche disillusa, pessimista e questo perché, secondo Matteoli, una condanna della Loggia Propaganda Due, seppur severa, non avrebbe comunque sradicato quell'ambiente fisiologico dove prosperano e operano altre P2. In questa Italia:

[..] sappiamo bene come il metodo mafioso si sia propagato ovunque; abbia invaso le zone più torbide del mondo politico e finanziario; ed abbia corroso gli apparati statali, i partiti, le banche, i giornali. La mafia è stata nazionalizzata, ha invaso come cancro l'intero corpo della nazione e così amministra, uccide, finanzia, ricicla, decide, giudica [..] e purtroppo talvolta governa. Attraverso un buio processo di metastasi ha propagato ovunque il costume di vivere per sette, per associazioni segrete, [..] per logge, [..] per bande finanziarie, per fazioni politiche [..]. Perché non [..] chiederci come mai la mafia, ovvero la società segreta, sia diventata , ovunque, una dominante della società italiana?225

Secondo Matteoli, circoscrivere l'analisi alla P2 senza guardare oltre, come aveva fatto la Commissione, non avrebbe salvato l'anima delle istituzioni repubblicane; tacere e occultare, come aveva fatto la Commissione, certi giochi di corruzione non avrebbe consegnato al Paese una nuova Repubblica, ripulita e incorruttibile. E del resto, una classe politica come quella rappresentata dalla Presidentessa Anselmi, aveva le carte in regola per cercare la verità sulla P2 di Licio Gelli? Non secondo l'onorevole, che individuava nella DC uno, ma non l'unico, 223 Commissione parlamentare sulla Loggia massonica P2, IX Legislatura, A. Ghinami, Relazione di minoranza, cit., p.

23. Consultato su http://www.laprivatarepubblica.it, in data 1 dicembre 2017.

224 Il MSI è stato costantemente rappresentato nella Commissione da un membro del Senato e da uno della Camera dei Deputati. Rappresentante della Camera fu, inizialmente, Giorgio Tatarella che dopo pochi mesi dall'insediamento della Commissione dovette abbandonare perché destinato ad altro incarico dallo stesso partito; subentrò Mirko Tremaglia che rappresentò il MSI per quindici mesi fino alle dimissioni che consegnò al termine dell'ottava Legislatura. A Tramaglia seguì poi Altero Matteoli, entrato con la IX Legislatura.

225 L'Italia delle mafie, Corriere della Sera, 5 settembre 1982. Consultato su http://www.corriere.it, in data 2 dicembre

dei protagonisti del sistema criminale-finanziario operante dal 1965 al 1980 nella Repubblica italiana. La collusione della classe politica che si accingeva a giudicare il caso Gelli emergeva, secondo Matteoli, già dal caso Sindona. Come specificato dalla relazione della Commissione d'inchiesta sul caso Sindona226, il finanziere, mafioso e trafficante di droga,

aveva mensilmente finanziato la DC. Anche Giorgio Ambrosoli e come lui il Vice Questore di Palermo Boris Giuliano erano giunti a ritenere le banche svizzere di Sindona un canale di pagamento della droga e del successivo reinvestimento del denaro in affari puliti: entrambi poi erano rimasti uccisi, nel luglio 1979. Seppure la medesima relazione, approvata dalla maggioranza democristiana, avesse escluso che il Sindona avesse ricevuto favori in cambio di quei miliardi consegnati al partito, diceva Matteoli, intorno a quel sistema criminale- finanziario, che operava anche sul piano internazionale, c'erano tutti:

[..] il Governatore della Banca d'Italia Guido Carli, [..] Arnaldo Forlani, segretario del partito [..], Amintore Fanfani e Giulio Andreotti che, come Presidente del Consiglio dei Ministri [..] opera tutti i tentativi possibili per salvare Sindona dal crollo definitivo, con proposte [..] onerosissime per le finanze pubbliche e che, per essere state respinte dall'avvocato Giorgio Ambrosoli, costeranno [..] costui la vita227.

Inoltre, la Commissione, accusava Matteoli, aveva dimostrato di aver pilotato l'inchiesta in una o nell'opposta direzione, a seconda dei propri interessi: a rimetterci, il Bel Paese tutto che, a causa di questa pratica, della P2 ne sapeva meno di prima e che, da queste condizioni, non poteva che aspettarsi la continuazione o la nascita di altre P2. La Commissione non aveva voluto ricercare la verità, piuttosto si era imposta il silenzio laddove invece avrebbe dovuto investigare. Del resto, il doppiogiochismo e la corruttibilità, dichiarava Matteoli, era una costante nella vita politica d'Italia: la P2 poi era figlia legittima di queste istituzioni e così, inevitabilmente, il suo mentore. «Gelli fascista? Gelli comunista? Rosso o nero? Non ha importanza», asseriva Matteoli, «importante è che i Servizi corrotti e inquinati, si [incontrarono] con Gelli, corrotto e corruttore e sul terreno della partitocrazia, altrettanto corrotto e corruttore»228. Obiettivo primario della relazione di Matteoli era dunque dimostrare

la generale implicazione del sistema politico nei meccanismi, tendenzialmente di natura mafiosa, criminali-finanziari e piduisti: a salvarsi, per assurdo, proprio il partito che più aveva 226 La proposta di istituire la Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche ed

amministrative ad esso eventualmente connesse venne presentata alla Camera il 21 settembre 1979 ed approvata nella legge del 22 maggio 1980.

227 Commissione parlamentare sulla Loggia massonica P2, IX Legislatura, A. Matteoli, Relazione di minoranza, Legge del 23 settembre 1981, n. 527, Roma 1984, p. 6. Consultato su http://www.laprivatarepubblica.it, in data 1 dicembre 2017.

subito l'accostamento con quegli ambienti: il suo MSI. Attraverso una cospicua documentazione e una considerevole aneddotica, Matteoli denunciava tutte le maggiori espressioni partitiche, anche le più inaspettate: DC, ovviamente, ma anche PCI, PRI, PSI, tutti erano stati implicati nei giochi criminali della P2 e la Commissione, prodotto essa stessa di questo impianto politico, aveva volutamente omesso certe collusioni.

Una prima accusa toccava l'onorevole Andreotti, a proposito del quale, si lamentava Matteoli, la relazione di maggioranza aveva fatto solo sporadici accenni. Nella sua tesi, Matteoli partiva dal presupposto secondo il quale attribuire a Andreotti il ruolo del Grande Vecchio era senz'altro fallace: in Andreotti non si doveva individuare l'uomo delle congiure, ma comunque un uomo di potere la cui presenza aveva permeato la vicenda P2. Secondo Matteoli, Andreotti fu un amministratore del potere, un politico freddo e cinico prospettato unicamente al potere e di cui l'Italia libera, se tale voleva essere, doveva fare a meno.

Un altro personaggio di cui la Repubblica avrebbe dovuto liberarsi, secondo Matteoli, era il senatore repubblicano Bruno Visentini229. Per giustificare quanto detto, Matteoli si

riconduceva all'accordo stipulato dal complesso del Corriere della Sera, con il gruppo

Espresso-Repubblica: rappresentati vicendevolmente dal già citato Rizzoli e da Eugenio

Scalfari230, i due complessi editoriali, tramite la stipulazione di questo accordo, si

impegnavano a non disturbarsi, a sposare la causa della non belligeranza e della non aggressione, per tutelare i propri interessi. L'accordo siglato il 5 luglio 1979 avrebbe, inoltre, previsto entrature su Banco Ambrosiano per il gruppo Espresso-Repubblica: in tutto questo, a garantire il patto, interveniva Gelli. Ma quel che più interessava Matteoli, molto più dell'implicazione di Gelli, assai prevedibile, e del comunque deplorevole fatto che l'Ordine dei giornalisti fosse rimasto immobile di fronte a tale patto, era il ruolo svolto dal Visentini in tutta questa vicenda: Presidente del PRI e Ministro del Bilancio sotto il Governo Craxi, Visentini insieme a Bruno Tassan Din, Umberto Ortolani e ovviamente Licio Gelli, avrebbe contribuito alla acquisizione da parte del Banco Ambrosiano di Calvi del Corriere della Sera. 229 Bruno Visentini, (1914/1995), politico ed imprenditore, Presidente del Partito Repubblicano dal 1979 al 1992,

ricopre il ruolo di Ministro delle Finanze durante il Governo Moro; dal 1983 al 1987, durante il Governo Craxi, ricopre il ruolo di Ministro del Bilancio e della Programmazione Economica. Nel 1993 si affilia al partito Sinistra Democratica. Il nome di Visentini non figura negli elenchi di Castiglion Fibocchi, ma è verosimile che le sue interferenze nei settori Corriere, Calvi e P2, siano state rilevanti.

230 Eugenio Scalfari, (1924/-), alla metà degli anni Cinquanta contribuisce alla fondazione del settimanale L'Espresso di cui diviene direttore amministrativo oltre che giornalista, specializzato in articoli di economia. Nel 1967, Scalfari pubblica l'inchiesta sul SIFAR, sul tentato golpe di De Lorenzo; il generale De Lorenzo risponde all'accusa, formulata da Scalfari e Raffaele Jannuzzi, con una querela risoltasi nella condanna dei due giornalisti, nonostante la richiesta di assoluzione formulata dal Pubblico Ministero Vittorio Occorsio. Il carcere viene loro risparmiato grazie alla immunità parlamentare offerta dal PSI. Nel 1968 viene eletto deputato indipendente del PSI. Nel 1971, Scalfari sottoscrive la lettera aperta a L'Espresso contro il commissario Luigi Calabresi; negli stessi anni contesta le manovre di Eugenio Cefis (Presidente dell'ENI e poi di Montedison). Nel 1976, Scalfari fonda La Repubblica di cui abbandonerà la direzione nel 1996.

Il gruppo Rizzoli era ormai finito in mano ad una associazione criminale; la storia editoriale aveva lasciato il passo alla storia criminale, una delle tante dovute all'intreccio fra finanza, politica e criminalità che avevano illustrato l'Italia degli anni Settanta e Ottanta e uno dei suoi protagonisti, il Visentini appunto, continuava a ricoprire un ruolo determinante per le istituzioni democratiche: inammissibile, lamentava Matteoli; Visentini se ne doveva andare. Un altro aneddoto, cui Matteoli ricorreva per dimostrare la facilità con cui un sistema politico corrotto come quello a lui contemporaneo riusciva a tramutarsi in sistema mafioso, vedeva nel ruolo di indiscusso protagonista Alberto Teardo. Presidente della Regione Liguria, boss di Savona e dintorni, punto di forza del PSI e candidato alle elezioni politiche del giugno 1983 e di lì a breve, arrestato per associazione a delinquere di stampo mafioso, peculato, concussione e truffa, Teardo compariva nelle liste di Gelli:

Tra Savona, Albenga e Varazze operava una struttura organizzata come tante logge massoniche messe su per coordinare gli affari, con tanto di malavitosi capaci, quando necessario di maneggiare il tritolo e all'occorrenza di agganciare magistrati specialisti in archiviazioni. Infine la ciliegina sulla torta: per anni, fino a che il suo nome nel maggio del 1981 fu ritrovato negli elenchi di Lido Gelli, maestro venerabile della P2, il clan Teardo poteva millantare, in provincia, un rapporto diretto e privilegiato col Quirinale231.

Episodi di questo genere, accusava Matteoli, in cui un complesso di socialisti, democristiani e comunisti, capeggiato da un socialista, veniva trasformato in una fabbrica di soldi e potere tale da tenere in pugno un'intera provincia, dimostravano il già avanzatissimo stato di degrado in cui vertevano le istituzioni. Non c'erano piramidi rovesciate da riempire con personaggi misteriosi perché esse, secondo Matteoli, erano già colme di nomi e cognomi corrispondenti a tutte le espressioni partitiche dello Stato; non c'erano Servizi da implicare, né una qualche mafia meridionale da accusare: come evidenziato dagli arresti della vicenda Teardo, gli accusati erano tutti settentrionali e piduisti, «il che [significava] che ormai l'Italia [era] mafia, [era] P2, grazie ai partiti»232.

Un aspetto della relazione Anselmi che Matteoli ammetteva di condividere verteva sulla matrice moderata della strategia della tensione, idea che, tra l'altro, il MSI sosteneva da tempo. Secondo Matteoli, «davanti a tante pagine prive di spessore, la relazione Anselmi [presentava] alcune impennate di notevole interesse, una di queste là dove si lascia trasparire 231 L'Espresso, 16 ottobre 1983, in Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, IX Legislatura, A. Matteoli,

Relazione di minoranza, cit., p. 106. Consultato su http://www.laprivatarepubblica.it, in data 1 dicembre 2017. 232 Commissione parlamentare sulla Loggia massonica P2, IX Legislatura, A. Matteoli, Relazione di minoranza, cit., p.

[..] la tesi della strage di Stato»233; per la prima volta, in una relazione destinata a diventare

atto parlamentare della maggioranza si dichiarava che «la politica di destabilizzazione, alla quale concorreva Gelli con i suoi accoliti, mirava [..] alla stabilizzazione del sistema»234.

Eppure però anche in questo, denunciava Matteoli, la relazione di maggioranza mostrava lacune evidenti: specialmente laddove tentava di accreditare la suddetta ipotesi attraverso le dichiarazioni dei pentiti palesemente, secondo Matteoli, in cerca di una riduzione della pena. Basti pensare al valore attribuito dalla Commissione alle dichiarazioni dell'estremista neofascista Paolo Aleandri, nato nel 1955. Accettando l'ipotesi della divisione in due periodi della vicenda Gelli (uno più eversivo, nella prima metà degli anni Settanta e uno più moderato in combutta con i vertici istituzionali e finanziari, nella seconda metà del decennio), e dunque datando la relazione Aleandri-Gelli nei primi anni Settanta, come si poteva ritenere, denunciava Matteoli, che Gelli nella prima fase delle operazioni, per cospirare, si affidasse ad un quindicenne? E ancora, perché la Commissione non aveva sentito l'esigenza di convocare il consigliere della DC, Filippo De Iorio, accusato dallo stesso Aleandri, di esser stato un infiltrato, una talpa presso la Presidenza del Consiglio? E soprattutto, denunciava Matteoli, «non è veramente curioso che Anselmi non [avesse nominato] mai il Presidente del Consiglio [Giulio Andreotti] presso cui, nel '73-'74, il De lorio svolse a Palazzo Chigi delicate funzioni di raccordo con gli ambienti militari?»235. Le accuse mosse alla Commissione dal missino

Matteoli non finiscono qui, anzi, si fanno addirittura più severe: l'onorevole proseguiva denunciando il sistema di reciproci condizionamenti fra le fazioni politiche interne al comitato volti, ancora una volta, al mantenimento degli interessi dei vari partiti:

per le solidarietà mafiose che viene a stabilire [tale sistema] tace altre verità, quelle di gran lunga più importanti e più fondamentali per capire la P2, tanto da autorizzarci a pensare che dentro la piramide rovesciata, rimasta completamente vuota dopo la relazione finale del Presidente Tina Anselmi, è gioco forza precipitarvi buona parte della Commissione P2236.

La relazione di maggioranza, dichiarava Matteoli, aveva svuotato la piramide rovesciata per motivi di bassa cucina politica, secondo la logica del do ut des, io do una cosa a te, tu ne dai un'altra a me; e il PCI, in tutto questo, acconsentiva. É per questo motivo che i nomi di quella categoria politica coinvolta nell'operazione P2 e che nella pre-relazione facevano qualche 233 Ivi, p. 133.

234 Commissione parlamentare sulla Loggia massonica P2, IX Legislatura, T. Anselmi, Relazione di maggioranza, cit., p. 26. Consultato su http://www.laprivatarepubblica.it, in data 1 dicembre 2017.

235 Commissione parlamentare sulla Loggia massonica P2, IX Legislatura, A. Matteoli, Relazione di minoranza, cit., p. 134. Consultato su http://www.laprivatarepubblica.it, in data 1 dicembre 2017.

comparsa, nella relazione finale sparivano del tutto: «fateci caso [asseriva Matteoli] quando [la relazione] parla dei militari è piena di nomi, cognomi, funzioni ricoperte; quando tratta dei politici ne dà solo il numero, non appare un nome, e si dà la sensazione [..] di un desiderio insopprimibile: [..] voltare subito pagina e parlare d'altro!»237.