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Relazione di minoranza: parla Giorgio Pisanò

Le relazioni di minoranza: motivazioni di un dissenso

4. Relazione di minoranza: parla Giorgio Pisanò

Una quarta espressione di dissenso nei confronti di quanto concluso, messo su carta e approvato dalla maggioranza della Commissione parlamentare, fu formulata da Giorgio Pisanò. Anch'egli, come il compagno Matteoli, politico appartenente al Movimento Sociale italiano ebbe molto da ridire sulle considerazioni della Anselmi: a termine dell'attività investigativa, la Commissione avrebbe dovuto fornire molte più risposte di quanto non fece; la ragione di queste lacune andava necessariamente ricercata nella volontà di bloccare qualunque richiesta istruttoria che allargasse le indagini ai gravissimi retroscena finanziari collegati alla loggia di Gelli. Non era la prima volta che la Commissione si sentiva accusata di questo: essendosi concentrata sugli aspetti prettamente politici della P2 ed avendo eluso gli ambienti economici e finanziari che avevano nutrito la loggia stessa, i commissari non erano stati in grado di aggiornare il Bel Paese sul ruolo che la P2 ricoprì realmente e, quel che è peggio, tale atteggiamento fatto proprio dalla Commissione rispondeva alla salvaguardia degli interessi della maggioranza del collegio:

[..] i rappresentanti dei partiti della maggioranza si sono sempre opposti, anche davanti a prove documentate, di avviare una istruttoria in questo senso. Le indagini, infatti, avrebbero dovuto svilupparsi nel complesso e aggrovigliato settore dei rapporti finanziari intercorsi, su scala nazionale e internazionale, tra i principali protagonisti delle vicende collegate alla P2, comprendendo nelle indagini anche la storia dei movimenti Italia-estero ed estero su estero delle banche, delle società, degli enti statali e· parastatali coinvolti.

Una indagine indubbiamente difficile, ma che la Commissione aveva i poteri e i mezzi per affrontare. Invece i partiti di governo hanno sistematicamente sabotato ogni richiesta in merito e la Commissione non è stata cosI in grado di chiarire gli aspetti più inquietanti e importanti che stanno alla base della storia della Loggia P2238.

Secondo Pisanò, la vera sostanza eversiva della P2 consisteva nella continua commistione dei reciproci sostegni ed ingenti interessi tra gli uomini del potere politico ed i grandi avventurieri 237 Ivi, pp. 157-158.

238 Commissione parlamentare sulla Loggia massonica P2, IX Legislatura, G. Pisanò, Relazione di minoranza, Legge del 23 settembre 1981, n. 527, Roma 1984, p. 51. Consultato suhttp://www.laprivatarepubblica.it, in data 1 dicembre 2017.

della finanza a livello nazionale ed internazionale, che erano stati affiliati alla Propaganda Due. La relazione di Pisanò, sottolineava come l'eversione piduista non consistesse nei colpi di Stato o nei progetti politici antidemocratici che non trovarono mai attuazione e questo perché se c'era una persona in Italia che aveva l'esigenza primaria di non mettere a repentaglio l'esistenza di quel sistema politico e di quella classe dirigente, questa persona era proprio Licio Gelli, che nella Presidenza del Consiglio, nei Ministeri, nei Servizi segreti e nell'Ufficio Affari Riservati del Viminale era di casa. Completamente deviante, quindi, secondo Pisanò, la tesi sostenuta nella relazione di maggioranza che si impantanava nelle sabbie mobili di una prospettiva piduista responsabile di oscure trame politiche, di terrorismo, stragi ed obiettivi rivoluzionari.

Era piuttosto sul settore finanziario, indebitamente omesso che, dichiarava Pisanò, la Commissione avrebbe dovuto indagare ulteriormente; a questa mancanza, dunque doveva ovviare la relazione dell'onorevole che, in primo luogo, ritenne necessario approfondire i profili delle personalità che si erano affacciate sul palcoscenico della finanza collusa e corrotta.

Erano gli anni '69-'70 quando tanti degli avvenimenti collegati alla loggia massonica di Gelli ebbero inizio:

per un complesso di circostanze, giunsero a intrecciarsi le esistenze e gli interessi di un pugno di uomini destinati a riempire [..] le cronache degli anni successivi: Paul Marcinkus, David Kennedy, Michele Sindona, John Connally, Umberto Ortolani, Licio Gelli, Roberto Memmo, Alberto Ferrari, Roberto Calvi e molti altri. Personaggi che, come Sindona, Gelli, Ortolani, Calvi, Memmo, Ferrari saranno poi ritrovati negli elenchi della P2239.

Come è avvenuto per il nostro elaborato, è proprio dalla figura di Sindona che Pisanò decideva di iniziare il suo resoconto; sì, perché Sindona di queste relazioni corruttive fu il centro nevralgico. Già nel 1968, Sindona ricopriva, tendeva a specificare Pisanò, una posizione di notevole pregnanza: divenuto uno degli uomini di fiducia della mafia italo- americana, si era impadronito di una piccola banca milanese, la Banca Privata Finanziaria, nella quale aveva attirato uno dei maggiori esponenti della finanza statunitense, David Kennedy; fra gli amici di Kennedy si annoverava il prelato americano Paul Marcinkus che, a breve avrebbe ottenuto il controllo dello IOR, l'Istituto di Opere di Religione o più banalmente, il contenitore di tutte le banche del Vaticano240. A rafforzare i rapporti di questo

239 Commissione parlamentare sulla Loggia massonica P2, IX Legislatura, G. Pisanò, Relazione di minoranza, cit. p.3. 240 Lo IOR è un istituto di diritto privato con sede nella Città del Vaticano e creato nel 1942 per volontà di Pio XII.

triumvirato finanziario si aggiungeva il fatto che lo IOR e la Continental Illinois National

Bank (di proprietà del boss finanziario Kennedy) erano entrambe socie della Banca Privata Finanziaria.

Comunque il quadro, le cui premesse erano già favorevoli a Sindona, si completò nel successivo '69: non solo Paul Marcinkus, seppur praticamente a digiuno di tecnica bancaria e di nozioni economiche, assunse la funzione di pro-presidente dell'ufficio centrale dello IOR, ma anche David Kennedy venne insignito della nomina di Ministro del Tesoro dal neo Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, che il finanziere statunitense aveva ampiamente appoggiato durante la campagna elettorale. Nella sua relazione, Pisanò teneva a specificare come a garantire a Marcinkus una nomina così importante fosse stata proprio la natura di certi suoi rapporti e non le sue abilità in campo economico, tant'è vero che «alla prima riunione alla quale partecipò con gli anziani esperimentati dirigenti dello IOR [..] [egli] dichiarò con grande modestia: “Vi prego di scusarmi, ma io non ho pratica né di finanza, né di economia”»241. La cerchia, così sintetizzata dal settimanale L'Espresso nel giugno '69:

«Monsignor Marcinkus è nato a Cicero, nell'Illinois, dove ha sede la più importante spalla americana di Michele Sindona: David Kennedy, segretario al Tesoro di Richard Nixon, e socio del Vaticano e di Sindona nella Banca Privata Finanziaria», era impaziente di integrarsi con altri personaggi. Sicché, agli inizi del '70, Sindona reso potente dai legami personali e affaristici con la mafia, con il grande capitale e con la classe dirigente politica statunitensi oltre che con le finanze vaticane, era pronto ad inserirsi nel sistema corrotto italiano.

Prima di proseguire, si rende necessario riferire, seppur brevemente, le ragioni che condussero all'elezione di Marcinkus e dunque sintetizzare le vicende che fecero capo allo IOR nella seconda metà del Novecento. Negli anni del miracolo economico, la finanza vaticana aveva mirato ad acquisire il controllo di società poste sul mercato italiano; nessuno fra i direttori delle società consociate o comunque controllate dalla finanza vaticana, tuttavia, capiva qualcosa di attività industriali e menagement. Così, durante la fase conclusiva del miracolo economico, quasi la totalità delle società italiane controllate dalla finanza vaticana entrava nel tunnel del forte indebitamento nei confronti del sistema bancario. Nel 1967, dunque, si verificò l'esigenza di riformare il sistema economico e finanziario del Vaticano: le soluzioni per risollevare la situazione furono individuate nel potenziamento degli investimenti speculativi sul mercato internazionale e nella liquidazione, quasi totale, delle partecipazioni di controllo o di minoranza nelle società italiane. Per farlo, si rese necessario attribuire alla 241 Commissione parlamentare sulla Loggia massonica P2, IX Legislatura, G. Pisanò, Relazione di minoranza, cit., p.

Banca del Vaticano, lo IOR appunto, maggiore possibilità operativa. É in questa prospettiva che si spiega l'incarico, attribuito a Sindona, di procedere alla ristrutturazione delle finanze vaticane:

- Come già detto, lo IOR era di fatto, sin dal 1962, socio di Sindona nella Banca Privata Finanziaria, con una partecipazione del 24,5 per cento.

- Sindona, a quell'epoca, si era già fatto una fama di abile salvatore di aziende in difficoltà [..]. - Ultimo, ma importantissimo, Sindona era ormai conosciuto come il rappresentante in Italia della potente rete finanziaria guidata da David Kennedy, il capo della Continental Illinois Bank, proprietaria della sussidiaria Continental International Finance Co che [..] deteneva, al pari dello IOR, il 24,5 per cento della Banca Privata Finanziaria. E Kennedy, altro elemento decisivo nelle valutazioni del cardinale Benelli e degli altri responsabili delle finanze vaticane, era una figura di primissimo piano nel partito repubblicano d'America che, con l'elezione di Nixon a Presidente USA, aveva riconquistato il controllo del grande Paese d'oltreoceano242.

Altrettanto oculata, in questa prospettiva, la nomina di Marcinkus al vertice dello IOR, conosciuto come Sindona negli ambienti affaristici d'oltreoceano dove, tra l'altro godeva dell'amicizia del già citato Kennedy. É in questi termini, confermava Pisanò, che andava rafforzandosi il tandem di ferro fra Sindona e Marcinkus, tra le altre cose sostenuto dalla presenza non indifferente di Cosa Nostra e dalla solida banca d'affari (senza alcun collegamento con il pubblico), il milanese Banco Ambrosiano dove stava già emergendo un altro astro della finanza, Roberto Calvi.

Nei primi mesi del '69 Sindona, in accordo con Marcinkus, iniziò dunque ad affrontare la vendita delle società vaticane, che vertevano in condizioni negative tanto da non escludere un impellente collasso, alle migliori condizioni possibili; cominciarono dalla Generale Immobiliare, che per anni aveva costituito il fiore all'occhiello della finanza vaticana, per occuparsi poi della Ceramica Pozzi, del Pastificio Pantanella e delle Condotte d'Acqua. Nel 1970, tuttavia, le circostanze sino a quel momento favorevoli iniziarono ad incrinarsi: nel primo semestre dell'anno, nell'economia statunitense, si verificarono una forte recessione produttiva e una conseguente marcata caduta dei corsi azionari; il dollaro perse terreno rispetto alle più forti monete europee e la tendenza inflazionistica si accentuò. David Kennedy, in qualità di Ministro del Tesoro, divenne oggetto di violente critiche sia da parte della stampa che della opposizione politica democratica. Il 14 dicembre, il Presidente Nixon 242 Commissione parlamentare sulla Loggia massonica P2, IX Legislatura, G. Pisanò, Relazione di minoranza, cit., pp.

si convinse ad annunciare la sostituzione del fidato Kennedy con l'ex governatore del Texas John Connally. Per David Kennedy, tuttavia, si inventò una nuova carica, quella di ambasciatore finanziario itinerante, con la quale si includeva il diritto di partecipare alle riunioni di governo.

Questa vicenda ridimensionò il duo Sindona-Marcinkus, adesso privati del ruolo investito da Kennedy, ovvero quello di valido socio e protettore. Specialmente Sindona, che aveva ricevuto dal Vaticano il compito di smobilizzare gli investimenti della Santa Sede in Italia per reinvestirli all'estero, e in dollari, si trovò in notevoli difficoltà: difficoltà che provenivano soprattutto dalla vendita delle azioni della Generale Immobiliare di proprietà vaticana. Sindona, infatti, aveva garantito il pieno successo dell'operazione ed il fatto che questa si fosse arenata di fronte all'eclissi di David Kennedy, aveva scatenato, negli ambienti vaticani, tutti coloro che poco avevano digerito la rapida e potente intromissione del banchiere siciliano e del vescovo statunitense Marcinkus, nella vita della Santa Sede.

La situazione quindi rischiava di precipitare per i due personaggi, che tuttavia non avevano alcuna intenzione di compromettere le loro posizioni di prestigio: fu allora che Calvi entrò in scena. Del resto, Sindona si arrogò continuamente il merito di aver creato Calvi, di esser stato l'origine della sua fulminea carriera, di esser stato l'ago della bilancia per la sua nomina a Direttore Generale del Banco Ambrosiano. É stato accertato, dichiarava Pisanò, come nel 1971 il Banco Ambrosiano fosse stato in grado di procurarsi, con metodiche illecite ed operazioni clamorose, capitali ingenti che toccarono i duecentoquaranta milioni di dollari, poi sistematicamente utilizzati per le necessità del gruppo Sindona: in qualche modo Calvi, a Sindona, glielo doveva.

Abbiamo parlato di un Sindona pronto ad inserirsi nel sistema corrotto italiano. E bene, in quegli stessi anni i rapporti tra Sindona e i principali esponenti della Democrazia Cristiana si tradussero in sostanziosi e continui finanziamenti. Abbiamo già riferito di quanto contenuto nella relazione conclusiva della Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Sindona, la quale documentava le sovvenzioni mensili culminati con il finanziamento, nell'aprile 1974, di due miliardi di lire alla DC:

Questo rapporto organico con la Democrazia Cristiana comincia a delinearsi, almeno secondo le risultanze dell'inchiesta, verso la fine del 1972 e l'inizio del 1973 e si consolida nell'anno 1974, vale a dire durante la segreteria politica del senatore Fanfani (dal 18 giugno 1973 al 24 luglio 1975). E' Fanfani che, alla fine del 1973, incontra Sindona per ringraziarlo per il

versamento mensile di 15 milioni di lire a favore del partito; è Fanfani che tratta o almeno conclude, il prestito dei due miliardi. [..] Egli ha tentato di liberarsi della paternità politica di questi rapporti, scaricandone la responsabilità sul segretario amministrativo Micheli [..] ma un rapporto finanziario così organico e strutturato tra partito di governo e gruppo sindoniano non poteva [..] essere deciso [..] dal solo segretario amministrativo243.

Per quanto concerne, invece, i rapporti fra Sindona e i principali esponenti della DC, sempre la relazione di maggioranza stilata dalla Commissione che aveva investigato sul caso Sindona, considerava determinante, come documentato da Pisanò, il legame fra il finanziere e Giulio Andreotti. L'onorevole fu, indubbiamente, il punto politico di riferimento per Sindona che con lui strinse un legame di amicizia e di stima perpetuato anche a seguito del Crac Sindona. «I rapporti [scriveva Pisanò] tra l'onorevole Giulio Andreotti e il banchiere siciliano [meritavano specifica menzione] perché il nome del noto esponente democristiano era destinato ad emergere molto spesso negli sviluppo della presente relazione sulle vicende della loggia di Licio Gelli»244.

La ricostruzione di Pisanò proseguiva poi nei meandri finanziari del trio cui, a Kennedy, si era sostituito Calvi; Sindona, Marcinkus e Calvi, dal 1971 al 1973 condussero operazioni e gestirono capitali di cui non si poté comprendere completamente l'iter e la destinazione. Tuttavia, un rapporto formulato da un copioso gruppo di funzionari dell'Ispettorato Vigilanza della Banca d'Italia, il cosiddetto Rapporto Paladino, dal nome del dottor Giulio Paladino che diresse le indagini, testimoniava come il Banco Ambrosiano e, di conseguenza, la Cisalpine, passata in proprietà dell'istituto di credito milanese nel 1976, avessero condotto operazioni illecite a favore del gruppo. La Cisalpine Overseas Bank di cui parlava il rapporto, era stata fondata il 23 marzo 1971, a Nassau, nelle Bahamas, da Roberto Calvi; inizialmente proprietà della Compendium, a sua volta controllata in maggioranza da Sindona e da Marcinkus, nel '76 passò in mano al Banco Ambrosiano; l'evento determinò, affermava Pisanò, la rottura fra Calvi e Sindona, ma fino a quel momento la Cisalpine costituì una delle basi del riciclaggio del denaro utile alla conduzione delle operazioni.

Tornando al 1974, indicato anche da Pisanò come un anno fondamentale, ricorderemo l'episodio già documentato del Crac Sindona; nella relazione di Pisanò al crollo dell'impero sindoniano veniva fatto corrispondere un sostanziale mutamento dei rapporti di forza al 243 Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche ed amministrative ad esso

eventualmente connesse, VIII Legislatura, Legge del 22 maggio 1980, Relazione di maggioranza. Consultato su

http://laprivatarepubblica.it, in data 1 dicembre 2017.

244 Commissione parlamentare sulla Loggia massonica P2, IX Legislatura, G. Pisanò, Relazione di minoranza, cit., p. 39.

vertice del gruppo per cui, al triangolo Sindona-Mircinkus-Calvi si era sostituito un altro triangolo, non meno efficace del primo ed operante con il supporto di Andreotti, quello Marcinkus-Gelli-Calvi. L'ingresso di Gelli in queste vicende individuava il suo prologo nel giugno 1973 quando, dopo decenni di divisione e polemica, le due comunioni massoniche italiane, Piazza del Gesù e Palazzo Giustiniani, si unificarono. Il fascino di Gelli riuscì infatti a convogliare nella sua loggia coperta anche esponenti della Piazza del Gesù, fra i quali annoveriamo Nicola Picella, segretario generale del Quirinale, Carmelo Spagnuolo, capo della Procura della Repubblica di Roma, Francesco Cosentino, segretario generale della Camera dei Deputati e Michele Sindona, il nostro finanziere spregiudicato iscritto alla Piazza del Gesù sin dal 1963. L'evolversi della trattazione di Pisanò incorreva, a questo punto, nella necessità di affrontare la personalità di Licio Gelli soprattutto nella prospettiva di rettificare quanto dichiarato dalla relazione di maggioranza: il Gelli descritto dalla Anselmi non era il vero Gelli e Pisanò poteva confermarlo dato che, come lui stesso ammetteva, «[ebbe] la ventura di conoscere Licio Gelli e di frequentarlo sia pure saltuariamente245»:

Sul Venerabile Maestro della Loggia P2 sono corsi ormai fiumi di inchiostro ed è prevedibile che altri ne scorreranno. Ma il personaggio continua a restare una specie di enigma, soprattutto perché trenta mesi di lavoro da parte della Commissione parlamentare d'inchiesta non sono stati sufficienti per delineare con un minimo di attendibilità il carattere dell'uomo, le sue capacità intellettuali, le sue doti di furbizia, i suoi limiti. La Commissione è rimasta sepolta sotto un diluvio di documenti e di parole che, di volta in volta, hanno dipinto il Venerabile della P2 un genio e un cretino, uno spietato criminale o un benefattore della umanità, un capo risoluto o un esecutore abilmente manovrato, un redivivo Cagliostro o un bonaccione in cerca di fortuna, un astutissimo agente della CIA e del KGB, un millantatore o uno scaltrissimo uomo di affari246.

E bene, l'enigma che circondava (e continua a circondare) la personalità di Gelli non impediva tuttavia a Pisanò di negare, ad esempio, la conclusione tratta dalla relazione di maggioranza secondo la quale Gelli avrebbe ricoperto un ruolo di preminenza nei Servizi segreti: del resto, dichiarava Pisanò, non esisteva alcuna prova incontrovertibile ma solo alcuni dati dal valore esclusivamente informativo. Le ragioni che si celavano dietro alla circostanza che i Servizi non avessero formulato documentazione a proposito di Gelli dovevano essere ricercate, prima che in una attività nei Servizi del Venerabile, nell'inefficienza di questi ultimi, ma anche nel 245 Commissione parlamentare sulla Loggia massonica P2, IX Legislatura, G. Pisanò, Relazione di minoranza, cit., p.

73. 246 Ivi, p. 71.

fatto che nella primissima fase gelliana (1945-1965) il Venerabile non fosse stato un personaggio tale da attirare su di sé un forte interessamento.

Pisanò che lo aveva conosciuto in ambiente fascista, descriveva Gelli come un genio dell'intraprendenza ma anche del doppio gioco; non un cervello politico, di politica capiva solo quello che poteva servire ai suoi scopi personali, ma un intrallazzatore che con grandi capacità persuasive mirava a collegare, in ambiente post-bellico, come nella seconda metà del Novecento, le più varie personalità.

Come non esistevano prove a proposito dell'entrata di Gelli nell'orbita dei Servizi, ne esistevano invece di concrete a testimoniare l'ingresso di Gelli negli ambienti della DC, e sulla carriera che, in quegli ambienti e grazie a questi, il futuro Venerabile cominciò a percorrere: peccato, accusava Pisanò, che la relazione di maggioranza si fosse dimenticata di ciò. Gelli frequentava ambienti della DC e coltivava amichevoli rapporti con gli esponenti locali, tra i quali, in modo particolare, l'onorevole professor Romolo Diecidue, segretario provinciale della DC pistoiese. Fu proprio questo ignaro onorevole Diecidue a spalancare a Licio Gelli le porte di molti ambienti romani del Palazzo, portandosi il futuro Venerabile nella capitale in qualità di segretario e autista. A Roma, Gelli cominciò a collegarsi con gli uomini del potere democristiano: la verità che emerge dai fatti, dai documenti e dai comportamenti di Licio Gelli faceva giustizia di ogni dietrologia di comodo e portava alla conclusione che l'individuo, lungi dall'essere uno strumento nelle mani dei Servizi segreti, agì come la sua natura e le circostanze gli suggerivano. Così, quando nella seconda metà degli anni Sessanta si trovò ad operare sul terreno adatto con l'ausilio dello strumento adatto, si scatenò per raggiungere i propri interessi; il terreno adatto lo trovò nel sistema politico italiano corrotto e corruttibile, inquinato e inquinabile; lo strumento, invece, nella massoneria italiana. Altri poi sono gli aspetti su Gelli che Pisanò teneva a specificare perché contrastanti con quanto stabilito dalla relazione di maggioranza: seppure l'onorevole condividesse la visione secondo la quale la massoneria di Palazzo Giustiniani fosse stata implicata dalla parentesi gelliana sotto la duplice veste di complice e vittima, Pisanò non approvava l'individuazione, in Gelli,