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Più nel dettaglio: la nozione di responsabile del codice, le azioni esperibili nei suoi confronti e l’adozione di un codice contra legem

I CODICI DI CONDOTTA NELLA NUOVA DISCIPLINA DELLE PRATICHE COMMERCIALI SLEAL

4.4 Più nel dettaglio: la nozione di responsabile del codice, le azioni esperibili nei suoi confronti e l’adozione di un codice contra legem

come pratica commerciale sleale.

Secondo la definizione data dalla Direttiva all‟art. 2 lett. g è responsabile del codice: “qualsiasi soggetto, compresi un professionista o un gruppo di professionisti, responsabile della formulazione e revisione di un codice di condotta e/o del controllo del rispetto del codice da parte di coloro che si sono impegnati a rispettarlo”. Vero è che, nella direttiva, detta definizione sembra doversi leggere in relazione a quella di cui all‟art. 11, comma 1, terzo periodo, lett. b che autorizza gli Stati membri a poter prevedere

azioni contro i responsabili dei codici di condotta che incoraggiano a non rispettare i requisiti di legge.

Come detto, non si prevede in capo agli Stati membri un obbligo ma l‟autorizzazione a poter dar corso a strumenti giudiziali specifici nei confronti di detti responsabili.

Ciò è tanto più vero se si pensa al fatto che in sede di attuazione il Legislatore italiano ha sì trasposto coerentemente la definizione di responsabile del codice (Art. 18, lett. g del Codice del consumo) ma non ha invece elaborato alcun tipo di azione specifica eventualmente esperibile nei confronti di tale soggetto.

Ciò, ci sembra, anche tenendo nel debito conto l‟art. 27 ter che fa espresso riferimento al Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, le cui previsioni certo non si pongono in contrasto con la legge garantendo piuttosto efficaci e rapide modalità di tutela dei soggetti pregiudicati da una pratica commerciale sleale. Infatti, anche con riferimento all‟esperienza dell‟Autodisciplina, viene da chiedersi che cosa accadrebbe se anche una sola delle sue regole dovesse porsi in aperto contrasto con i requisiti di legge individuati dalla direttiva e dalla sua disciplina nazionale attuativa. Come detto, ipotesi remota, ma astrattamente non impossibile.

E ancora: è bene ricordare che l‟Autodisciplina non esaurisce, anche sulla base di quanto detto in precedenza, il novero delle ipotesi di codici di condotta in materia, piuttosto ne rappresenta l‟esperienza più autorevole e maggiormente condivisa e apprezzata per l‟ampiezza della societas di destinatari ad essa aderente.

La disciplina nazionale, quindi, rischia di risultare inappropriata con riferimento a ipotesi di codice di condotta meno consolidate e autorevoli e tuttavia esistenti, quali ad esempio i codici aziendali.

Che cosa accade, allora, per ipotesi di questo tipo e per ogni altro caso di codice di condotta prescrittivo di disposizioni contrarie a quelle di legge, nel silenzio da parte della disciplina attuativa italiana?

Sembra evidente che se l‟azione è volta, come in effetti è, ad ottenere il ritiro del codice o – con diverse declinazioni – la revoca della decisione, la rettifica della circolare e la rimozione degli effetti prodottisi, allora – in assenza di rimedi specifici – la soluzione non può che essere quella dell‟inibitoria ai sensi dell‟art. 139 del Codice del consumo esercitata dalle associazioni dei consumatori a ciò legittimate, al fine di tutelare gli interessi collettivi dei propri aderenti. A questa soluzione viene altresì affiancata quella garantita dall‟esperimento dell‟azione di cui all‟art. 2601 C.c. 93. Legittimato passivo è il soggetto responsabile del codice. Si intende chiunque sia stato individuato formalmente come tale attraverso indicazione espressa del testo del codice. Qualora ciò non fosse, si dovrebbe avere riguardo al soggetto che effettua i controlli - ciò anche con riferimento a quanto previsto dall‟art. 27 ter, comma 1 del Cod. del cons. “l‟organismo responsabile o interessato del controllo del codice” – o che di fatto promuove e propone il codice agli operatori di settore interessati. Sembrano invece da escludersi, come suggerisce la miglior dottrina sul punto,94 il consulente legale che si sia limitato a redigere il testo del codice per l‟altrui conto; l‟autore di eventuali contributi dottrinali, financo quando questi abbia assunto nel contributo posizioni precise sulla concretizzazione dei requisiti di legge, e di ipotesi di codici di condotta e/o autodisciplina. D‟altra parte il contributo di entrambe dette figure non

93 A questo proposito si veda quanto sostiene A. GENOVESE, op. prec. cit., a p. 773: “Il

diritto nazionale non ha previsto, invece, specifici rimedi contro il responsabile di un codice che contiene previsioni contra legem. Dovrebbero però essere esperibili contro questo soggetto i rimedi dell‟inibitoria collettiva di cui all‟art. 139 del Codice del consumo e di cui all‟art. 2601 C. c.: si tratta, infatti, di una pratica prodromica a pratiche scorrette vere e proprie, e che può avere l‟effetto di un moltiplicatore di pratiche commerciali scorrette”. Per la stessa soluzione propende P. FABBIO, I codici di condotta nella

disciplina delle pratiche commerciali sleali, Giur. comm., 2008, I, p. 718: “In mancanza di

rimedi specifici, la soluzione si rinviene in particolare nell‟inibitoria e negli altri rimedi, che ai sensi degli artt. 139 e ss. del Codice del consumo le associazioni dei consumatori sono legittimate ad esercitare, a tutela degli interessi collettivi dei consumatori; come anche nell‟azione, che a norma dell‟art. 2601 C.c., le associazioni professionali di categoria possono esperire a tutela degli interessi collettivi che rappresentano”.

94 P. FABBIO, I codici di condotta nella disciplina delle pratiche commerciali sleali, op. cit.,

appare determinare il professionista alla promozione ed effettiva adozione del codice, limitandosi piuttosto la loro opera ad esercitare una mera influenza più o meno diretta alla formulazione di un semplice progetto di codice.

Naturalmente, è appena il caso di sottolineare come il responsabile designato in modo formale, o di fatto, non possa essere ritenuto tale per l‟inosservanza del codice da parte dei soggetti aderenti.

D‟altra parte, viene da chiedersi cosa possa accadere per quelle ipotesi in cui il soggetto responsabile non si attivi per la conciliazione, ometta di effettuare gli accertamenti, o manchi di applicare le sanzioni previste. In simili casi è abbastanza pacifico che, ove una simile inerzia abbia le caratteristiche della sistematicità, si risolva in un vero e proprio inganno nei confronti del consumatore. Ciò non tanto per quel che concerne la sua capacità di autodeterminazione nell‟operare scelte consapevoli, quanto piuttosto per aver confidato nell‟effettivo funzionamento di un sistema di autodisciplina che, invece, disapplica costantemente il proprio apparato di controlli, sanzioni e misure comunque afflittive rendendo di fatto del tutto spuntato il proprio enforcement.

Ne conseguirebbe, quindi, che il consumatore perderebbe tempo e denaro venendo altresì scoraggiato dalla condotta del soggetto responsabile a far valere il proprio diritto, e magari influenzato anche negativamente circa la sua possibilità di azionare quella pretesa giuridica in altre sedi.

Una simile condotta rientrerebbe quindi, in quanto oggettivamente ingannevole, nel novero delle pratiche commerciali sleali, grazie alla clausola generale prevista dalla disciplina. Ne deriverebbe dunque l‟applicabilità di tutti i rimedi previsti, sia civili che amministrativi.

Rimane infine da analizzare il caso dell‟adesione di un professionista ad un codice di condotta contra legem come ipotesi di pratica commerciale sleale. Una simile adesione determinerebbe, di fatto, un abbassamento dello standard di tutela acuendo poi il pericolo che il singolo professionista adotti, nell‟esercizio della propria attività, pratiche commerciali sleali.

Tanto più che l‟eventuale diffusione – a seguito di adeguata pubblicizzazione – che il singolo professionista aderisca ad un codice di condotta, potrebbe ingenerare nei consumatori una positiva suggestione, sprovvista in verità di qualsiasi reale fondamento.

Per queste ragioni sembrerebbero trovare applicazione nel caso in esame sia l‟inibitoria cautelare e definitiva innanzi all‟Autorità garante per la concorrenza e il mercato (AGCM) art. 27, commi 1 e 3 del Cod. del cons., sia l‟inibitoria collettiva ex art. 139 del Cod. del cons. cui sono legittimate le associazioni dei consumatori. A questa, parrebbe potersi affiancare anche l‟azione codicistica di inibitoria degli atti di concorrenza sleale individuale e, molto probabilmente – secondo quanto sostiene la miglior dottrina sul punto – anche di categoria.

4.5 Interrogativo: possono i codici di condotta e/o autodisciplina

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