I CODICI DI CONDOTTA NELLA NUOVA DISCIPLINA DELLE PRATICHE COMMERCIALI SLEAL
4.7 Pratiche commerciali in ogni caso ingannevoli: l’affermazione non veritiera del professionista di essere firmatario di un codice d
condotta; l’affermazione non veritiera che un codice di condotta ha l’approvazione di un organismo pubblico o di altra natura.
Anzitutto, il fatto stesso che un professionista si dichiari firmatario di un codice di condotta, a prescindere dalla conoscenza che ne abbia il consumatore, e financo a prescindere dalla liceità o meno che abbia il codice configura di per sé un‟ipotesi di pratica commerciale, in ogni caso, ingannevole. Come risulta inequivocabilmente dal n. 1, Allegato 1 della Direttiva 2005/29/CE, 98 trasfuso nell‟art. 23, comma 1, lett. a, Cod. del cons. 99
98 Riportiamo in questa sede il testo della disposizione:
PRATICHE COMMERCIALI CONSIDERATE IN OGNI CASO SLEALI Pratiche commerciali ingannevoli
1) Affermazione, da parte di un professionista, di essere firmatario di un codice di condotta, ove egli non lo sia.
99 1. Sono considerate in ogni caso ingannevoli le seguenti pratiche commerciali:
a) affermazione non rispondente al vero, da parte di un professionista, di essere firmatario di un codice di condotta;
Lo stesso dicasi, per il caso in cui l‟approvazione del soggetto pubblico - o di altra natura - del codice di condotta sia in verità frutto di un‟affermazione non veritiera. La previsione in questo caso è contenuta al n. 3, Allegato 1 della Direttiva 2005/29/CE 100, trasfuso nell‟art. 23, comma 1, lett. c, Cod. del cons. 101
In generale diremo fin d‟ora che le ragioni alla base di simili previsioni sono molteplici.
Preliminarmente, va osservato che l‟adozione di un codice di condotta, da parte delle imprese, è volta a fornire maggiori garanzie al consumatore in tema di trasparenza e legittimo affidamento. Proprio per questa ragione non può risolversi in una semplice operazione di maquillage commerciale. Più specificamente osserviamo quel che segue.
Anzitutto si è giustamente osservato, da parte della miglior dottrina sul punto, che l‟affermazione non veritiera di dichiararsi firmatari di un codice di condotta non solo perpetra un inganno nei confronti dei consumatori – con quel che ne consegue sotto il profilo della trasparenza, dell‟affidamento e della capacità di autodeterminazione da parte di costoro – ma rivela altresì caratteristiche di parassitismo nei confronti di tutti quei soggetti che hanno effettivamente scelto di vincolarsi ad un corpo di regole autodisciplinari con tutti i costi che una simile operazione può comportare. Il tutto, senza contare che un simile comportamento potrebbe al contempo rappresentare un pericoloso precedente, in grado di ingenerare inquietanti fenomeni emulativi in capo ad altri soggetti, ovvero di scoraggiare altri professionisti ad aderire a quel codice di condotta.
100 Riportiamo in questa sede il testo della disposizione:
PRATICHE COMMERCIALI CONSIDERATE IN OGNI CASO SLEALI Pratiche commerciali ingannevoli
3) Asserire che un codice di condotta ha l‟approvazione di un organismo pubblico o di altra natura, ove esso non la abbia.
101 1. Sono considerate in ogni caso ingannevoli le seguenti pratiche commerciali:
c) asserire, contrariamente al vero, che un codice di condotta ha l'approvazione di un organismo pubblico o di altra natura;
Va altresì sottolineato come, nell‟ipotesi di specie, il soggetto debba dichiararsi firmatario del codice e non semplice aderente o adottante. La specificazione non è di poco conto giacchè con essa si vuole porre l‟attenzione sul fatto che il soggetto dichiari in modo non veritiero non tanto e non solo di aver assunto un preciso impegno nei confronti del pubblico, quanto piuttosto verso gli altri professionisti firmatari, primi aderenti al codice, e verso il soggetto responsabile del codice.
Aggiungiamo che, con riguardo alla falsità dell‟affermazione, si possono profilare una serie di situazioni. La prima è che essa risieda nell‟inesistenza del codice, ovvero, ipotesi ad essa equivalente, che l‟asserito firmatario non specifichi di quale codice egli sarebbe sottoscrittore. Fin qui nessun problema. Diverso è il caso in cui il soggetto dichiari falsamente di aver firmato un codice di condotta in realtà esistente, e ciò perché una simile situazione pone un problema di distinzione fra questa fattispecie e quella precedentemente analizzata in materia di uso ingannevole dei codici.
Poiché è evidente che, solo per quel che concerne il caso di falsa affermazione di essere firmatari di un codice di condotta realmente esistente ed inteso nella sua accezione di codice di autodisciplina, si ricadrà nella fattispecie in esame. In altre parole, per l‟ipotesi de qua – quella della pratica in ogni caso ingannevole - si deve aver riguardo ad un codice che non si limiti a dettare sostanziali regole di condotta ma che preveda financo un apparato dinamico processuale di applicazione di quelle regole e che predisponga un adeguato catalogo di sanzioni, atte a garantire l‟enforcement di quelle disposizioni attraverso un‟efficace posologia afflittiva.
Viceversa, ove ci si riferisca ad un codice di condotta esistente ma di tipo interno, individuale o aziendale, dunque con regole a carattere prevalentemente etico e programmatico, sprovviste di sanzioni di sorta e di meccanismi di controllo, allora è evidente che affermarsi firmatario si risolve, di fatto, nell‟impegnarsi ad osservare le regole sostanziali del
codice di condotta. Se il professionista non dovesse mantenere fede al proprio obbligo volontario ad osservare quelle regole, la sua condotta non andrà a configurare una fattispecie concreta di “falsa dichiarazione di essere firmatario di un codice di condotta” ma piuttosto di violazione del divieto di contravvenire ad impegni contenuti nel codice con inganno del pubblico, con ciò integrando una fattispecie di uso ingannevole del codice che, lungi dal rappresentare una pratica commerciale in ogni caso ingannevole, rientra piuttosto nel novero delle pratiche commerciali ingannevoli che richiedono la presenza dei presupposti cui all‟art. 6, comma 2, lett. b Direttiva 2005/29/CE e all‟art. 21, comma 2, lett. b Cod. del cons., ed in precedenza già illustrati.
Fin qui naturalmente i rilievi in ordine alla prima delle due fattispecie in esame: l‟affermazione non veritiera del professionista di essere firmatario di un codice di condotta.
Con riguardo invece all‟affermazione non veritiera che un codice di condotta abbia l‟approvazione di un organismo pubblico o di altra natura, dobbiamo anzitutto osservare che da un lato il consumatore può essere indotto in errore nelle proprie valutazioni proprio dalla particolare garanzia o “sigillo di qualità” da cui sarebbe teoricamente assistito il codice approvato; dall‟altro sia il responsabile sia gli aderenti al codice possono vedere aggredita la credibilità della propria iniziativa proprio a causa delle false affermazioni del professionista. Non solo: lo stesso ente, pubblico o meno, che avrebbe approvato – sulla base di affermazioni false – il codice di condotta, potrebbe soffrire immeritatamente di un discredito qualora, ad esempio, il codice si rivelasse contrario alle norme di legge in alcune delle sue parti o delle sue regole.
Per quel che concerne poi gli elementi della fattispecie in esame, è appena il caso di osservare che con approvazione si intende il giudizio positivo, la garanzia comunque espressa: sia attraverso formule di rito e maggiormente generiche quali “approvato da”, sia attraverso espressioni più precise come “autorizzato da” con ciò evidentemente riferendoci a quei
casi di asserita autorizzazione amministrativa da parte del soggetto che abbia i relativi poteri e competenze.
Per quanto riguarda l‟origine, la provenienza dell‟affermazione non veritiera, diremo fin d‟ora che il soggetto assertivo non può essere il solo professionista ma può altresì concidere con lo stesso responsabile del codice, non a caso sia la direttiva, sia il Codice del consumo, non fanno in questo caso riferimento, nella definizione, al solo professionista come invece nell‟ipotesi di cui n. 1, Allegato 1 della Direttiva 2005/29/CE, trasfuso nell‟art. 23, comma 1, lett. a, Cod. del cons.
L‟estensione del giudizio, dell‟approvazione, può evidentemente variare, riferendosi ora al codice nella sua generica interezza, ora a profili specifici del complesso di regole autodisciplinari e ciò, lo diremo con chiarezza, indipendentemente dal fatto che esse siano vincolanti in quanto assistite da efficaci meccanismi di enforcement, ovvero caratterizzate da una connotazione meramente etico-morale, ai limiti dell‟ispirazione. Il grado di formalizzazione richiesto per quel che riguarda il giudizio di approvazione è anch‟esso molto vario e può consistere nel provvedimento formale dell‟agenzia amministrativa competente su istanza del responsabile del codice come nel parere favorevole del consulente legale specializzato. Ed infatti la definizione fa riferimento ad un organismo pubblico o di altra natura con ciò ricomprendendo tanto le camere di commercio quanto le associazioni dei consumatori, gli studi professionali, gli enti certificatori, le società di consulenza.
Infine va ancora aggiunto che, per quel che concerne la falsità dell‟affermazione, essa deve riguardare l‟esistenza o ancora la natura e il contenuto dell‟affermazione, ed infine l‟ipotesi di non esistenza del soggetto che manifesta il proprio giudizio positivo, a patto naturalmente che tale inesistenza non sia pacifica e conclamata al punto da far ricadere l‟affermazione nell‟ipotesi del fine umoristico.
4.8 Gli obblighi aggiunti di trasparenza, informazione e contenuto