IL CODICE DI AUTODISCIPLINA DELLE SOCIETÁ QUOTATE E IL DUTCH CORPORATE GOVERNANCE CODE
44 D AKKERMANS – H VAN EES – R HOOGHIEMSTRA – G VAN DER LAAN – T.
2.8 Profili contenutistici del Dutch Corporate Governance Code Ancora una volta, occorre ribadire, come non sia questa la sede corrretta
per un‟esauriente indagine circa quelli che sono i contenuti del Dutch
Corporate Governance Code, d‟altra parte una ricognizione a volo
d‟uccello dei principali aspetti tematici trattati sembra irrinunciabile non solo per ragioni di minima completezza ma anche per gli spunti di riflessione, utili alla nostra indagine, che essa pare suggerire.
Il secondo capitolo del codice, dunque, si apre sul ruolo del Management
Board, ribadendone, nel primo principio, l‟obbligo di raggiungimento
dell‟oggetto sociale con i conseguenti profili di responsabilità inevitabilmente correlati a questo compito: quelli legati alla strategia, ai profili di rischio e di responsabilità sociale, all‟obbligo di perseguire l‟interesse della società e degli stakeholders, nonché di fornire al
Supervisory Board tutte le informazioni ad esso necessarie per
l‟adempimento dei propri obblighi. Segue quindi un elenco di previsioni di
best practice che vanno ad integrare e a disciplinare nel dettaglio gli
enunciati di principio, ciò vale ad esempio per il periodo massimo di durata della carica del membro componente del Management Board – quattro anni – e della possibilità di essere rieletto per una sola volta per il medesimo periodo, e ancora gli elementi che vanno sottoposti all‟approvazione del Supervisory Board come gli obiettivi finanziari e operativi della società e la strategia prevista per il loro conseguimento,
nonché i parametri da applicarsi in relazione ad essa e le questioni di responsabilità sociale in materia di amministrazione e gestione della società che risultano essere rilevanti. Ed ancora, in tema di remunerazione dei componenti del Management Board, il principio per cui la remunerazione debba seguire criteri di proporzione, semplicità e trasparenza, non deve in alcun modo per la propria entità e caratteristiche incentivare i membri del Management board a perseguire i propri interessi in luogo di quelli della società ovvero a prendere rischi non previsti dalla strategia adottata, può risultare eventualmente composta da una parte fissa ed una variabile da collegarsi a obiettivi predeterminati.
Ulteriore principio, in tema di remunerazione, cui il codice dà veramente un ampio spazio è quello per cui è il Supervisory Board a determinare su proposta del proprio comitato interno per la remunerazione la misura della stessa, nel rispetto naturalmente di quella che è la più generale politica adottata in questo settore dalla società, tenendo quindi conto delle indicazioni fornite dall‟assemblea dei soci. L‟ultimo principio dedicato al
Management Board è quello rivolto alla prevenzione di qualsivoglia
conflitto di interesse fra la società e i componenti del board. Un dettagliato catalogo di previsioni di best practice seguono la sintetica dichiarazione di principio andando a prevedere ad esempio un elenco di obblighi precisi in capo al singolo membro del Management Board quali quelli di: a) non entrare in competizione con la società, b) non accettare alcun tipo di dono od offerta per sé, il proprio coniuge o convivente di fatto, figlio legittimo, naturale od adottivo, c) non procurare ingiusti vantaggi a terzi in detrimento della società, d) non avvantaggiarsi delle opportunità economiche di cui la società è titolare al fine di favorire sé, il proprio coniuge o convivente di fatto, figlio legittimo, naturale od adottivo.
Il terzo capitolo del codice prevede invece la disciplina da applicarsi al
Supervisory Board che dispone al primo principio che lo stesso è chiamato
a supervisionare le politiche di amministrazione del Management Board e gli affari generali della società e delle sue affiliate così come ad assistere il
Management Board attraverso un‟attività consultiva e volta a fornire i
pareri richiesti. Anche per esso vengono ribadite le disposizioni in materia di obbligo di perseguire l‟interesse della società e degli stakeholders e i profili di responsabilità attinenti alle questioni di responsabilità sociale in materia di amministrazione e gestione della società che risultino essere rilevanti. Esso infine è responsabile per la qualità delle proprie prestazioni e servizi. In base ad un altro principio, la sua composizione deve essere tale per cui i membri devono essere in grado di poter agire in modo anche critico e certamente indipendente gli uni dagli altri, nonché a maggior ragione dal Management Board e da qualsiasi interesse di natura particolare. Inoltre, altri, successivi principi prevedono la competenza specifica dei songoli membri, la figura del chairman o presidente, che viene assistito da un proprio segretario, e che ha, sembra di poter dire, un ruolo di mediazione e coordinamento dei diversi organi della società se è vero che è chiamato a curare relazioni e contatti fra Management e
Supervisory Board, nonché a riferire all‟assembrlea dei soci circa condotta
e funzionamento degli stessi. Deve altresì poter garantire la regolare ed efficiente condotta dell‟assemblea dei soci.
La disciplina dedicata al Supervisory Board prosegue con i principi e le previsioni di best practice dedicate ai tre comitati c. d. chiave - il comitato di revisione contabile, quello per la remunerazione e quello per elezioni e nomine - alle ipotesi di conflitto di interesse che in parte richiamano quelle dedicate al Management Board, in parte differiscono specie nella misura in cui riconoscono in capo al Supervisory Board un ruolo di organo decisionale nelle controversie attinenti ai conflitti di interesse fra componenti del Management Board, del Supervisory Board, azionisti di maggioranza e comitato esterno di revisione cantabile da un lato e società dall‟altro.
In ultima sono previsti principi e previsioni di best practice in materia di remunerazione e di struttura monistica della società.
2.9 Conclusioni.
Tutto ciò osservato, pare giunto il momento di formulare alcune brevi osservazioni conclusive circa le caratteristiche dei due codici di corporate
governance presi in esame in questo secondo capitolo: quello italiano e
quello olandese.
Sembra anzitutto evidente che il comune modello di derivazione, declinato in modo parzialmente diverso nelle rispettive formulazioni, è inevitabilmente quello anglosassone 66.
Sposato in ambo i casi il principio del comply or explain come stella polare dell‟intero sistema, e adottato il Codice con le rispettive modalità, ciascuno dei due ordinamenti ha in verità proceduto a recepirne singole o molteplici previsioni all‟interno di un testo normativo vero e proprio, sia questo il T.U.F. nell‟esperienza italiana, ovvero il Codice civile in quella olandese. In entrambe le ipotesi dunque il codice si propone in effetti come un‟esperienza di self regulation che è tuttavia assistita in via parziale da un‟incorporazione che riconosce ad alcuni principi dignità di norma giuridica con ciò attraendo un‟esperienza di volontaria adesione all‟interno dell‟ordinamento nazionale.
Ne esce dunque un‟esperienza meticcia che, figlia dell‟autonomia privata, trascolora ancora una volta – almeno per talune sue parti – nella norma giuridica, si pensi financo alle sanzioni individuate dal T.U.F. che – in caso di mancata motivazione circa la non ottemperanza al codice - prevedono la possibilità di applicare la sanzione amministrativa pecuniaria dell‟articolo 123 bis, comma 2, lettera a) da diecimila a trecentomila euro, nonchè la pubblicazione del provvedimento su almeno due quotidiani, di cui uno economico, aventi diffusione nazionale.
66 Si allude evidentemente al c.d. Codice Cadbury sulle migliori pratiche di governo
societario il quale si caratterizza fin da subito non già come corpo di regole ad efficacia vincolante ma piuttosto come canone di paragone alla luce del quale valutare l‟atteggiarsi concreto dei rapportifra gli organi di governo societario e i poteri degli azionisti. Si veda a questo proposito L. ENRIQUES, Codici di corporate governance, diritto societario e
Si assiste dunque ad una commistione di elementi propri dell‟autonomia privata, caratteristici della natura contrattuale, con quelli dell‟eteronomia tipica della norma giuridica promanante dallo Stato, centro deputato alla sua produzione. D‟altra parte se simili considerazioni possono svolgersi anche per quella che è l‟esperienza olandese, non mancheremo di notare che ciò che davvero distingue i due sistemi è l‟apparato di meccanismi di disclosure, diremo meglio, di controllo ancor prima che sanzione, di applicazione ancor prima che di misura afflittiva, che permettono un‟adeguata e accurata indagine in ordine all‟effettivo rispetto del principio del comply or explain nel solo sistema olandese.
Ne consegue che al di là di quella che possa essere la natura giuridica del codice de quo – che tuttavia pare risolversi in una figura ibrida a metà strada fra l‟accordo e il catalogo di previsioni normative – quello che più colpisce è la solo apparente possibilità di esercitare un controllo effettivo nel sistema italiano che rischia viceversa di svuotarsi di significato nel momento in cui non prevede adeguate ed efficaci modalità di attuazione di quell‟asserito controllo.
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