I CODICI DI CONDOTTA NELLA NUOVA DISCIPLINA DELLE PRATICHE COMMERCIALI SLEAL
4.2 Le possibili ragioni che hanno condotto la Direttiva 2005/29/CE a prevedere disposizioni in tema di codici di condotta e autodisciplina.
In ordine allo spirito ancor prima che alla ratio che anima la direttiva 2005/29/CE appare anzitutto opportuno notare come essa risponda alla primaria esigenza di razionalizzazione della disciplina vigente in materia di pratiche commerciali sleali. Detto obiettivo è precisamente espresso al Considerando n. 6 della stessa e ulteriormente ribadito al n. 8.
Essa tuttavia riguarda uno specifico settore di rapporti in materia di pratiche commerciali sleali, rivolgendosi in particolare a quelli fra professionisti e consumatori, dunque lasciando impregiudicate le disposizioni relative ai rapporti fra professionisti e modificando solo in parte le norme in tema di pubblicità pregiudizievole per le imprese di cui alla direttiva 84/450/CEE.
Il legislatore italiano, nell‟attuazione della disciplina, decide così di dedicare il d. lgs. N. 145/2007 alle disposizioni sulla pubblicità ritenute pregiudizievoli per i soli professionisti, scorporando – com‟è naturale che sia – questa regolazione dal d. lgs. N. 146/2007, volto a disciplinare le disposizioni sulla pubblicità ritenute pregiudizievoli per i consumatori e che sarà poi il solo trasfuso nella novellata parte di Codice del consumo dedicata alla comunicazione commerciale.
Dicevamo tuttavia che la parola d‟ordine è armonizzazione. L‟affermazione non è una mera enunciazione di principio poiché, definendo e vietando le pratiche commerciali sleali e pregiudizievoli per i consumatori, la direttiva in esame prevede una clausola generale di divieto di pratiche commerciali sleali (art. 5) andando a distinguere pratiche commerciali ingannevoli (artt. 6 e 7) e aggressive (artt. 8 e 9), elencando quindi alcune pratiche da
considerarsi sempre e comunque - “in ogni caso” - sleali (Allegato I) e realizzando un‟armonizzazione completa e non minima delle legislazioni nazionali, le quali non possono adottare sul tema delle pratiche commerciali sleali fra professionisti e consumatori né disposizioni più vincolanti e dettagliate né, tantomeno, più blande.
Una tale affermazione appare del resto difficilmente contestabile alla luce della lettura dell‟art. 3 comma 5 che prevede un termine di 6 anni – a decorrere dal giugno 2007 (data ultima prevista per l‟attuazione) – nel corso del quale gli Stati membri potranno ancora prevedere disposizioni più vincolanti e dettagliate di quelle di cui alla direttiva. Alla scadenza in questione è evidente che la disciplina della direttiva realizzerà definitivamente la propria armonizzazione completa.
Tuttavia, la direttiva consente agli Stati membri di imporre ai professionisti opportune e ulteriori regole di condotta inerenti al buon gusto e alla decenza, nonché regole volte a difendere interessi differenti da quelli economici dei consumatori e a garantire la sicurezza delle transazioni relative ai servizi finanziari e alla certificazione di indicazioni concernenti il titolo degli articoli in metalli preziosi.
Per capirci: in ordine ai codici di condotta la direttiva dedica l‟intero articolo 10 affermando che essa “non esclude il controllo, che gli Stati membri possono incoraggiare, delle pratiche commerciali sleali, esercitato dai responsabili dei codici …”.
Ora, è evidente che già solo nella propria ratio la direttiva appare attribuire importanza nient‟affatto secondaria ai codici di condotta e autodisciplina. Le ragioni di una simile scelta sembrano del resto “suggerite” al Legislatore comunitario da una serie di elementi.
In primo luogo, la generale tendenza del diritto d‟impresa a incoraggiare un approccio privatistico all‟attività di produzione normativa in considerazione delle caratteristiche di rapidità, flessibilità e effettiva conoscenza dei fenomeni reali che questo approccio garantisce. Naturalmente una simile generale tendenza alla self-regulation palesa,
come già osservato in più occasioni, tutti quei problemi legati ad una possibile soddisfazione di interessi corporativi che la stessa disciplina della direttiva si premura di scongiurare, auspicando nell‟adozione delle misure il coinvolgimento della più varia e vasta platea di stakeholders possibile, al fine di meglio garantire la soddisfazione dell‟interesse generale.
In secondo luogo, annoveriamo l‟oggettiva autorevolezza raggiunta dall‟autodisciplina in materia di comunicazione commerciale in molti degli Stati membri, ivi compresa l‟Italia.
In terza battuta, non possiamo non menzionare la non trascurabile diffidenza che, tradizionalmente, ordinamenti di common law come Gran Bretagna e Irlanda nutrono nei confronti delle formulazioni normative fatte a colpi di clausole generali, specie se relative alla materia dei rapporti economici.
Per questi ordinamenti, dunque, l‟autodisciplina rappresenta pur sempre una sorta di baluardo verso la clausola generale di diligenza professionale, da loro percepita molto spesso come fonte di inestricabile incertezza.
Ciò detto, e rimanendo ancora in una fase generalmente esplorativa della disciplina, aggiungiamo che, pur realizzando un‟armonizzazione completa e non minima, la direttiva in esame persegue un‟uniformazione di regole sotto il profilo sostanziale. Altro è, evidentemente, quello dinamico- processuale, attinente a strumenti e rimedi per l‟attuazione di quelle regole, diremo meglio, per l‟applicazione di quelle norme e, dunque, della tutela effettiva degli interessi. Per quel che concerne questo secondo aspetto, è la direttiva stessa agli articoli 11 e 12 ad attribuire agli organi giurisdizionali e amministrativi nazionali ogni potere in ordine all‟applicazione delle disposizioni sostanziali armonizzate e alla celebrazione del rito. Va altresì specificato che al precedente articolo 10 la direttiva prevede che i soggetti, legittimati e individuati in base all‟art. 11, possano ricorrere agli organismi di controllo individuati da codici di
condotta o autodisciplina, senza che tuttavia un simile ricorso precluda la possibilità agli stessi soggetti di azionare procedure giudiziarie o amministrative.
Si riconosce quindi un ruolo non solo alle raccolte di regole dei codici di condotta e autodisciplina ma anche alle possibili applicazioni che eventuali organi di controllo istituiti da quei corpi di regole possano garantire, senza tuttavia che questa ipotesi risulti sostitutiva di funzioni giudiziarie o amministrative. Trattasi, da quel che si può dedurre in via preliminare, di una possibilità in più, una via adiutoria, parallela e sussidiaria non alternativa o preclusiva di alcunchè. Non si tratta quindi di un electa una
via non datur recursus ad alteram ma piuttosto di un‟ipotesi ad adiuvandum.
4.3 Più nel dettaglio: la definizione data dalla direttiva di codice di