I CODICI DI CONDOTTA NELLA NUOVA DISCIPLINA DELLE PRATICHE COMMERCIALI SLEAL
4.1 L’inserimento dei codici di condotta e autodisciplina nella direttiva 2005/29/CE e nella novellata Comunicazione commerciale
del consumo: riflessioni introduttive; 4.2 Le possibili ragioni che hanno condotto la Direttiva 2005/29/CE a prevedere disposizioni in tema di codici di condotta e autodisciplina; 4.3 Più nel dettaglio: la definizione data dalla direttiva di codice di condotta e il recepimento che di detta definizione fa il Codice del consumo; 4.4 Più nel dettaglio: la nozione di responsabile del codice, le azioni esperibili nei suoi confronti e l‟adozione di un codice contra legem come pratica commerciale sleale; 4.5 Interrogativo: possono i codici di condotta e/o autodisciplina svolgere una funzione positiva di concretizzazione dei requisiti di legge?; 4.6 L‟uso ingannevole dei codici di condotta e/o autodisciplina: ipotesi di azioni ingannevoli; 4.7 Pratiche commerciali in ogni caso ingannevoli: l‟affermazione non veritiera del professionista di essere firmatario di un codice di condotta; l‟affermazione non veritiera che un codice di condotta ha l‟approvazione di un organismo pubblico o di altra natura; 4.8 Gli obblighi aggiunti di trasparenza, informazione e contenuto minimo; 4.9 Riflessioni conclusive in tema di codici di condotta nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette di cui alla direttiva 2005/29/CE e alla novellata parte del Codice del consumo.
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4.1 L’inserimento dei codici di condotta e autodisciplina nella direttiva 2005/29/CE e nella novellata Comunicazione commerciale del Codice del consumo: riflessioni introduttive.
Dopo aver analizzato nel corso dei precedenti capitoli alcune delle esperienze più significative elaborate dalla tradizione in tema di autodisciplina – avendo cura di condurre una disamina che approcciasse in modo sempre differente l‟argomento così da sfruttare la diversa prospettiva al fine di acquisire eventuali nuovi elementi utili a sviluppare delle definizioni a carattere generale – appare ora giunto il momento di rivolgere la nostra attenzione all‟esperienza dei codici di condotta e
autodisciplina così come individuati e disciplinati dalla recente direttiva 2005/29/CE in materia di pratiche commerciali sleali 90.
Una simile scelta, lungi dall‟obbedire a dinamiche meramente classificatorie, vuole invece rappresentare l‟opportunità di riflettere sull‟acquisita capacità da parte di codici di condotta e autodisciplina di rappresentare strumenti a carattere sussidiario o integrativo nella regolazione delle pratiche commerciali sleali, al punto che nemmeno il Legislatore Comunitario ha ritenuto di poter ignorarne l‟esistenza. Anzi si è preoccupato fin dall‟inizio di inserire nella nuova regolamentazione de qua il riferimento a detti codici, riconoscendone de plano non solo l‟esistenza ma financo l‟utilità ed il ruolo. Va detto che una simile modalità di procedere appare ormai scelta dal Legislatore in molti dei più recenti provvedimenti adottati.
Un tale fatto, non soltanto fa registrare un passo avanti a favore dell‟autodisciplina in ordine al riconoscimento esplicito ad essa attribuito dai tradizionali centri di produzione delle norme giuridiche ma assegna inevitabilmente una funzione in verità tutta da scoprire per quest‟ultima. Poichè se è vero che è fondamentale comprendere quale sia la natura giuridica dei codici in esame, non è però affatto secondario capire come i due sistemi di produzione di regole (quello tradizionale e quello dell‟autoregolazione) vadano al confronto.
Giacché, al di lá del fatto che s‟intenda attribuire alla regola del codice di condotta e autodisciplina valore di semplice norma privata ovvero di
90 In generale per ciò che concerne il tema delle pratiche commerciali sleali si vedano: E.
MINERVINI e L. ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche commerciali sleali, direttiva
comunitaria ed ordinamento italiano, Quaderni di giurisprudenza commerciale n. 300; C.
CAMARDI, Pratiche commerciali scorrette e invalidità, Obbl. e contr., N. 6/2010, pp. 408- 419; A. LEONE, Pubblicità ingannevole e pratiche commerciali scorrette fra tutela del
consumatore e delle imprese, Dir. Ind., N. 3/2008, pp. 255-265; A. GENOVESE, La normativa sulle pratiche commerciali scorrette, Giur. comm., 2008, I, pp. 762-785; P.
FABBIO, I codici di condotta nella disciplina delle pratiche commerciali sleali, Giur. comm., 2008, I, pp. 706-743; E. BATTELLI, Nuove norme in tema di pratiche commerciali
sleali e pubblicità ingannevole, Contr. N. 12/2007, pp. 1113-1121; F. PINTO, I codici deontologici e la direttiva 2005/29/CE, in E. MINERVINI e L. ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche commerciali sleali, direttiva comunitaria ed ordinamento italiano, Quaderni di
norma giuridica, vi è poi comunque il problema di comprendere in quale rapporto le norme giuridiche prodotte dalle tradizionali fonti si pongano con quelle che risultino essere il frutto di un differente centro di produzione sia esso da classificarsi come fonte in senso formale ovvero mera esperienza contrattuale. Certo, è evidente che il problema va affrontato nella sequenza logica ora affermata ma poiché è dall‟esperienza concreta che vanno presi gli elementi per la soluzione del problema allora sarebbe davvero poco avveduto negare che le recenti direttive – e conseguentemente discipline nazionali attuative – non pongano in modo davvero urgente un simile problema.
Insomma, non v‟è modo di eludere la questione: un simile riconoscimento apre la porta ad un fluire di problematiche in ordine all‟eventuale incorporazione di regole private (o meno) in seno ad un corpo di norme giuridiche e ancora al coerente accordarsi fra le une e le altre nel reciproco rapporto.
Per essere più chiari: in quale modo la anche parzialissima adozione di talune delle regole di diritto privato – ammesso che tali siano – si accorda e si inserisce o meno con il corpo di norme giuridiche caratterizzante la direttiva comunitaria ed ancora con il Codice del consumo nella novellata parte dedicata alla comunicazione commerciale? Sarebbe possibile ipotizzare, per le stesse, quell‟incorporazione che ad esempio da più parti è stata ventilata per le regole tecniche in materia di certificazione di qualità?
E prima ancora: i riferimenti suggeriti dal Legislatore configurano un‟ipotesi di anche parziale ricezione o trattasi semplicemente di mera ricognizione dell‟esistenza di un‟esperienza che non può più essere ignorata ma che certo è ancora ben lontana da rappresentare una possibile piattaforma di regole integrative della disciplina normativa?
Per tentare di rispondere a simili domande, appare opportuno svolgere alcune previe riflessioni relative alla disciplina introdotta dalla direttiva, anche a livello contenutistico, vederne il recepimento operato a livello
nazionale e analizzare in modo particolare le novità legislative dal particolare osservatorio offerto dalle specifiche previsioni in tema di codici di condotta e autodisciplina.
4.2 Le possibili ragioni che hanno condotto la Direttiva 2005/29/CE a