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Le diverse componenti normative della nuova Lex mercatoria: usi del commercio internazionale.

LA NUOVA LEX MERCATORIA

3.4 Le diverse componenti normative della nuova Lex mercatoria: usi del commercio internazionale.

Enunciate in questo modo le tre diverse fonti o componenti normative della nuova Lex mercatoria, occorre vedere come proprio agli usi del commercio internazionale giurisprudenza e dottrina riservino un ruolo di assoluta preminenza.

Per quel che concerne la prima, soccorre in tal senso la storica sentenza della Corte di Cassazione 8 febbraio 1982 n. 722 con la quale il Supremo Collegio rilevava l‟esistenza di una Lex mercatoria intesa come complesso di regole di condotta con contenuti mutevoli, ma pro tempore, determinati quale conseguenza di una diffusa opinio necessitatis fra gli operatori del mercato rispetto a determinati valori con la convinzione che essi fossero vincolanti.

In buona sostanza, sostiene la Corte, il diritto mercantile sorgerebbe ogniqualvolta si formi una convinzione circa l‟esistenza di valori cogenti i quali portino i soggetti attori del mercato a uniformare le proprie condotte sulla base di regole comuni.

In una simile societas mercantile, continua la Corte, il diritto – in assenza di strutture organizzatorie - si rileverebbe allo stato diffuso. Tuttavia, proprio l‟aspetto dinamico della risoluzione dei conflitti, espletato dagli organismi di somministrazione della giustizia arbitrale, sembra quello in grado di esercitare un ruolo di preorganizzazione e regolazione di quella stessa societas sia sotto il profilo dell‟applicazione della Lex mercatoria agli operatori sia per quel che concerne gli ordinamenti in cui detti operatori sono soliti radicarsi.

In altre parole la Lex mercatoria avrebbe fondamento consuetudinario riconducibile ad un consenso generalizzato, un complesso di regole che, se pure formate sulla base di pratiche convenzionali, vedono via, via, quelle stesse assumere il valore di norme consuetudinarie per la ripetizione e diffusione della loro osservanza attraverso il consenso, anche

tacito, degli operatori di un determinato settore dell‟attività economica. Da qui, anche, la produzione di regole, finalizzata a liberare la disciplina e l‟efficacia dei contratti internazionali dal vincolo condizionante di criteri di collegamento con i singoli ordinamenti nazionali.

Detto altrimenti, gli usi del commercio internazionale assurgono a usi normativi cioè a fonti di produzione normativa e in particolare di un diritto oggettivo riconducibile ad un ordinamento sopranazionale. Non sarebbero più, quindi, meri usi contrattuali con semplice funzione integrativa o interpretativa della volontà delle parti.

Va del resto sottolineato come siano le stesse norme convenzionali internazionali che ne ribadiscono la natura normativa: non a caso l‟articolo 9 della Convenzione di Vienna del 1980, in materia di vendita internazionale, riconosce agli stessi un‟efficacia vincolante, integrativa della volontà contrattuale, financo nel caso in cui le parti non vi abbiano fatto esplicito riferimento.

Come detto, quindi, è la ripetizione nel tempo e la presenza dell‟elemento soggettivo dell‟opinio iuris generalizzata a fare dell‟uso del commercio internazionale una fonte del diritto.

Rimane il fatto, che quella sopra riportata è una definizione mutuata dal quadro giurisprudenziale, poiché a ben vedere non è in effetti possibile rinvenire una nozione scritta di uso del commercio internazionale. E se per trovare quella definizione ci richiamassimo al concetto di uso del commercio interno non arriveremmo a migliori conclusioni, se è vero che nella maggior parte degli ordinamenti statuali a diritto codificato non è dato reperire una definizione di uso, giacchè i testi tendono a fornirne nozioni piuttosto vaghe e dal sapore a dir poco programmatico 80.

80 Fra i tanti esempi che potremmo riportare citiamo in questo caso il § 346

dell‟Handelsgesetzbuch tedesco ove si legge: § 346

Unter Kaufleuten ist in Ansehung der Bedeutung und Wirkung von Handlungen und Unterlassungen auf die im Handelsverkehr geltenden Gewohnheiten und Gebräuche Rücksicht zu nehmen.

A tutt‟altre conclusioni dovremmo arrivare se volgessimo lo sguardo alla

Common Law statunitense ove l‟uso del commercio riceve all‟art. 1-205

dello Uniform Commercial Code (UCC) una precisa definizione 81.

Ma come ben illustrato dalla miglior dottrina, anche questa definizione non è esente da difetti. In particolare l‟eccessiva ampiezza della stessa rende di fatto tuttaltro che agevole la comprensione delle diverse varianti dell‟uso: contrattuale, normativa, interpretativa.

Per addivenire agli elementi che caratterizzano l‟uso in chiave comparativa in quella che è stata l‟analisi dottrinaria 82 è perciò necessario andare a valorizzare il common core che caratterizza la maggior parte delle caratteristiche richieste dai sistemi giuridici contemporanei: la presenza cioè di due elementi costitutivi. L‟uno oggettivo, l‟altro soggettivo. Essi non possono che richiamare, d‟altra parte, i rilievi già svolti dalla giurisprudenza.

Il primo consisterebbe dunque nella ripetizione di un determinato comportamento nel corso del tempo, laddove quest‟ultimo – il periodo di tempo - non appare determinabile a priori ma, potremmo dire, dev‟essere apprezzabilmente lungo.

Il secondo elemento costituitvo, quello soggettivo, è invece dato dall’opinio

juris atque necessitatis: quella convinzione, cioè, da parte di un gruppo

sociale, che il compimento degli atti di cui all‟elemento oggettivo siano giuridicamente obbligatori.

Fondendo i due elementi così definiti si arriva all‟individuazione dell‟uso come fonte di produzione normativa.

81 Si leggano a questo proposito i fondamentali rilievi contenuti sul tema in F.

MARRELLA, op. supra cit., p. 197.

82 Si leggano a questo proposito le giuste riflessioni di F. BORTOLOTTI, op. prec. cit., a

p. 740: “…nel contesto della disciplina dei rapporti commerciali internazionali, si tenda comunque – anche ove ci si ponga nell‟ottica più tradizionale facente capo agli ordinamenti nazionali (e quindi prescindendo dalla Lex mercatoria) – ad attribuire agli usi un peso assai maggiore di quello riservato loro a livello di rapporti “interni”. Tale tendenza si manifesta tanto a livello legislativo, quanto a livello giurisprudenziale, soprattutto nel contesto dell‟arbitrato internazionale. In tali condizioni conviene analizzare anzitutto la questione della rilevanza degli usi in termini generali, per poi passare ad analizzare il loro ruolo all‟interno della Lex mercatoria”.

In altre parole: la regola diverrà norma giuridica nel momento in cui, attraverso il fatto della ripetizione dei comportamenti significativi, arriverà a perfezionarsi con il venire in essere di quella convinzione, generalizzata, che sia giuridicamente obbligatorio osservarla.

Va anche detto che in ordine alla natura di uso normativo o contrattuale dell‟uso del commercio internazionale la dottrina è lungi dall‟essere univocamente orientata.

Ma la sensazione è quella per cui tale divisione paghi un prezzo nient‟affatto secondario ad una visione localistica di quello che è innegabilmente un fenomeno giuridico metanazionale.

Ed invece, proprio a tener presente quest‟ultimo aspetto, non si può non concludere per la necessità di concepire gli usi del commercio internazionale “vigore proprio” dunque in funzione di quella particolare adozione che gli operatori del commercio internazionale ne fanno.

E del resto la tesi della normatività dell‟uso del commercio internazionale viene avvalorata, come detto, dalla giurisprudenza del Supremo Collegio, dal riferimento espresso fatto dall‟art. 9 della Convenzione di Vienna, il quale di fatto introduce, anche nel sistema italiano, un modello di uso speciale uniforme nei vari paesi aderenti alla Convenzione medesima ed ancora sulla base di valutazioni che coinvolgono inevitabilmente il punto di vista privilegiato dell‟arbitro 83. Il tutto, anche a tacer del fatto, che lo stesso articolo 834 del C. p. c., introdotto con la riforma della disciplina dell‟arbitrato del 1994, ha espressamente previsto che in tema di norme applicabili al merito della controversia, gli arbitri internazionali debbano tener conto delle indicazioni degli usi del commercio

Ora, supponendo, che la Lex contractus applicabile alla controversia sia la

Lex mercatoria, è di immediata evidenza che gli usi del commercio

internazionale si affranchino immediatamente dall‟ultimo gradino in cui è andato a relegarli il principio gerarchico delle fonti di produzione normativa

del diritto interno italiano e gli stessi acquistino immediatamente un ruolo di assoluta preminenza attraverso quello che è il potere discrezionale dell‟arbitro.

Certo, in ultima istanza un simile passaggio conduce inevitabilmente a ragionare non solo sull‟ultima componente normativa della Lex mercatoria – la ratio decidendi della pronuncia arbitrale - ma anche a tenere ben presente come sia attraverso l‟attività interpretativa dell‟arbitro che gli usi del commercio internazionale possano assurgere ad usi normativi.

Concludendo, quindi, per la natura normativa degli usi del commercio internazionale, ribadiamo ancora una volta in tal modo come gli stessi debbano tenersi ben distinti sia dai c. d. atti di cortesia, sia dalle semplice prassi.

I primi, infatti, rilevano solo da un punto di vista morale e possono rappresentare il fondamento di quelle che nella famiglia dei diritti romano- germanici prendono il nome di obbligazioni naturali; le prassi risultano invece sprovviste – come detto – di quella convinzione di osservare un obbligo giuridico che caratterizza l‟uso.

Rimane, comunque, ancora da analizzare l‟ultima componente normativa della Lex mercatoria. Alludiamo alla ratio decidendi della pronuncia arbitrale di cui adesso daremo conto.

Una simile riflessione dovrebbe, del resto, permettere di approfondire le caratteristiche delle fonti normative della Lex mercatoria – in particolare degli usi del commercio internazionale – anche al fine di meglio comprendere quali dovrebbero essere i paradigmi di raffronto ogniqualvolta si formuli un giudizio di comparazione fra la Lex mercatoria e l‟eperienza di autodisciplina sopranazionale per la quale ci si interroghi circa la natura giuridica.

Per essere più chiari: non v‟è chi non veda come – al di là delle comprensibili distinzioni – il percorso analitico che caratterizza l‟esame della Lex mercatoria abbia, ad esempio, numerosi indici comuni con l‟Autodisciplina della comunicazione commerciale. E, come già suggerito,

simili riflessioni potrebbero formularsi in ordine alle analogie riscontrabili fra ordinamento sportivo e Lex mercatoria e ordinamento del commercio elettronico e Lex mercatoria.

L‟individuazione precisa e rigorosa delle fonti normative della Lex

mercatoria appare dunque propedeutica alla costruzione della matrice o

del modello di raffronto cui equiparare le diverse esperienze di autodisciplina.

Ciò, come detto, non tanto per giungere per questa via ad affermare una

deminutio della Lex mercatoria, declassandola, per così dire, a fenomeno

di autoregolazione, che sarebbe in totale contrasto con quanto fino ad ora affermato, né d‟altra parte per concludere de plano per la natura giuridica normativa di alcune specifiche ipotesi di autodisciplina, ma semplicemente per comprendere se il percorso di costituzione della Lex mercatoria possa fornire indicazioni utili nel panorama ricostruttivo delle ipotesi di autoregolazione.

3.5 Le diverse componenti normative della nuova Lex mercatoria:

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