DISABILITA’ INTELLETTIVA E INCLUSIONE SCOLASTICA
IV. SALUTE V CONTESTO
4. DIDATTICA INCLUSIVA
4.4. Proposte didattiche inclusive per la secondaria
4.4.3. Didattica aperta
Con questa definizione ci si riferisce ad una didattica il cui tratto distintivo “risiede nella libertà di scelta dell’alunno e nel ruolo attivo e partecipativo che questo approccio assegna” (Heidrun, 2015, p. 73).
Lo studente qui diventa un progettista, un ideatore di molti aspetti del proprio percorso di apprendimento assieme al proprio docente. Sia il ruolo del docente che quello dello studente qui, vengono ridisegnati.
Jürgens (2009, pp. 45-46), descrive gli elementi della didattica aperta:
- caratteristiche del comportamento dell’alunno: autonomia nella scelta delle singole attività; autonomia di scelta o partecipazione alla scelta nella selezione dei contenuti e delle metodologie per approcciarli;
- caratteristiche del comportamento dell’insegnante: sostegno delle iniziative degli alunni; relativizzazione del ruolo di progettista unico dei processi di apprendimento e insegnamento; valorizzazione dei diversi interessi, desideri, bisogni e capacità degli alunni;
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- caratteristiche del processo di apprendimento/insegnamento: apprendimento basato sulla scoperta, sul problem solving e sul fare; apprendimento responsabile: ognuno è responsabile del proprio percorso di apprendimento;
- metodologie didattiche: lavoro a stazioni, piano di lavoro settimanale, lavoro a progetto.
La didattica aperta si attua grazie alla decentralizzazione dell’insegnamento (Heidrun, 2015): l’insegnante non sta più al centro dell’azione didattica, si dà più spazio alle azioni dei singoli bambini che quindi hanno la possibilità di dare forma all’interno della stessa aula a più forme di apprendimento” (Ivi, p. 77).
Attraverso il principio di differenziazione autodeterminata (Ivi) gli studenti sono invitati a diventare tutti maggiormente responsabili e ad utilizzare i linguaggi e i medium per l’apprendimento (Olson, 1979) loro facilitanti.
L’alunno qui sta al centro della didattica e gode di ampia libertà per gestire autonomamente gli spazi e tempi dell’apprendimento e in ultimo si crea quindi una propria motivazione ad apprendere. Il ruolo dell’insegnante è quello di motivare gli interessi degli studenti e di dar loro fiducia, rispondere alle loro domande e aiutarli nella costruzione del curricolo e di osservare e valutare i
processi di apprendimento in fieri.
In più deve poter creare un ambiente di apprendimento sufficientemente flessibile da poter garantire lo svolgimento contemporaneo di più attività nello stesso spazio, come nel caso di un’aula composta da angoli didattici o zone funzionali (Bagnariol, 2014; 2015).
Con la didattica aperta l’individualizzazione e la personalizzazione diventa quindi possibile per tutti gli studenti, non solo per quelli con BES.
4.5. Neurodidattica
Rispetto alle scienze cognitive classiche le neuroscienze cognitive si rivolgono all’individuazione
dei meccanismi neurofisiologici che rendono possibile l’attivazione di un dato circuito cerebrale durante l’esecuzione di un compito specifico (Margiotta, 2012).
In genere le neuroscienze si occupano di “come il cervello funziona”, (Geake, 2009, p. 12), mentre le neuroscienze cognitive di come il cervello ci “abilita a pensare” (Ivi).
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Un campo ancora più specifico è stato chiamato Educational Neuroscience, (Ivi), Brain-based
education (Caine & Caine, 1995), Neuropedagogy (Danesi, 1988) e si colloca tra le neuroscienze
cognitive e l’educazione.
Le neuroscienze cognitive si occupano “di quei fenomeni mentali complessi in cui più evidente è l’insufficienza di un approccio semplicemente biologico o di uno esclusivamente cognitivo: percezione, attenzione e memoria, processi cognitivi (come la metacognizione), linguaggio, dimensione emotiva. Sono questi i temi al centro della Neuroeducation” (Rivoltella, 2012, p. 38).
Per indicare le implicazioni delle neuroscienze cognitive sulla didattica, si usa il termine
Neurodidattica (Rivoltella, 2012; Preiss,1998; Hermann, 2006; Rosati, 2005).
Diana Olivieri si chiede: “come possiamo interpretare e applicare in classe i risultati delle scienze del cervello e delle neuroscienze?” (Olivieri, 2014, p. 17).
La risposta si trova “nell’intenzionalità dello studente che quella dell’insegnante” (Ivi, p. 20) e nella dinamica di insegnamento-apprendimento intorno alla singola disciplina.
Alcuni contributi significativi della neurodidattica si sono rilevati nel campo della didattica speciale (Rivoltella, 2014, p. 45): in particolare esistono degli studi sul versante dei disturbi dello sviluppo o per i disturbi specifici dell’apprendimento (Woolf & Bowers, 2000).
Gli studi sulla dislessia ad esempio, hanno potato a considerarlo come un disturbo specifico dell’apprendimento di origine neurobiologica, caratterizzata da difficoltà nell’articolazione e/o riconoscimento rapido delle parole e da scarse capacità di pronuncia e di decodifica (Lyon, Shaywitz & Shaywitz, 2003, p. 2).
Nei bambini affetti da questi deficit fonologici si rileva inoltre una minor attività neuronale nelle aree temporo-parietali (Simos et al, 2002; Shaywitz et al., 2002). Grigorenko (2001) ha dimostrato inoltre la frequente coesistenza della dislessia con i disturbi dell’attenzione.
In alcuni studi (Shaywitz et al., 2004, Shaywitz, 2003) si è constata la capacità di adattamento e
plasticità cerebrale, per cui con un trattamento mirato si possono sviluppare altre zone del cervello,
grazie ad un circuito alternativo di compensazione.
Le tecniche di brain imaging (Temple et al, 2003) indicano che in seguito ad interventi mirati esistono per i bambini dislessici sia effetti di normalizzazione che effetti di compensazione con attivazione di altre aree del cervello.
Proprio grazie a questi studi neuroscientifici e neurocognitivi sappiamo oggi che il cervello è
plastico, e con opportuni interventi se non si possono ottenere performance “normali” si ottengono
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Estendendo queste considerazioni a tutte le patologie in cui alcune aree del cervello sono compromesse, si possono ottenere risultati apprezzabili anche in patologie pervasive come l’autismo o la disabilità intellettiva?
Per ottenerli si dovrebbe probabilmente aderire alla proposta di Flavia Santoianni centrata sulla
personalizzazione dell’apprendimento, cioè sul favorire le modalità preferenziali soggettive di acquisizione delle informazioni (Santoianni, 2002, p. 64) – e sui i linguaggi dell’intelligenza
(Olson, 1979) - in vista di un apprendimento sempre più personalizzato (Spitzer, 2006) e che porti allo sviluppo individuale del talento (Santoianni, 1998).
Queste considerazioni portano ad alcune ricadute operative che collegano direttamente le neuroscienze cognitive alla didattica (Rivoltella, 2014):
- un ritorno al valore della ripetizione. Si tratta di ripetere a voce o per iscritto uno o più concetti fino a quando non si saranno “mandati a memoria”.
Infatti secondo basi neurobiologiche nella reiterazione si libera della serotonina che permette la migliore fissazione dei concetti. Come riferisce Eric Kandel: “la pratica porta alla perfezione” (2006, p. 214);
- la corretta scelta del curriculum. Se nella formazione dei soggetti è in gioco un itinerario educativo (Pellerey, 1999), fatto di intenzionalità, orientato a degli obiettivi, riempito di contenuti, metodi e strumenti, bisogna compiere allora una scelta opportuna su quale
itinerario far percorrere agli studenti.
Di fronte ai due modelli di curricolo lineare o a spirale (Bruner, 1960), sicuramente il secondo rappresenta una modalità di ripetizione e rafforzamento neurobiologico degli apprendimenti. Questo tipo di scelta però, deve seriamente confrontarsi sulla quantità di argomenti da affrontare: se in terza media e in quinta superiore ad esempio in storia, viene affrontata la seconda Guerra Mondiale, bisognerà scegliere quali argomenti soffermarsi nei due ordini di scuola per poterne introdurre comunque di nuovi. Si pone quindi il problema degli apprendimenti significativi (Ausubel, 1968): profondità e conoscenze fondamentali nella progettazione curricolare devono avere la priorità sull’ampiezza degli argomenti
trattati (Geake, 2009, p. 55).
- Attribuire un ruolo centrale alla mediazione didattica (Damiano, 2013). La ricerca neuro scientifica attribuisce ottimi risultati al one-to-one taching e alle varie forme di feed back
immediato anche attraverso le modalità di tutoring. In questo modo lo studente rafforza e
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avviene spesso grazie all’attività competente di “human mediator” del docente di sostegno (Feuerstein, 2005b).
Se questo tipo di approccio è impraticabile per tutti gli studenti nel caso della gestione “tradizionale” della classe, si ottengono invece ottimi risultati con le tecniche di cooperative
learning, in cui i mediatori dell’apprendimento risultano essere gli studenti stessi.
Una ulteriore soluzione metodologica si può trovare nell’oggetto della disciplina che Umberto Margiotta e Diana Olivieri hanno definito come “pedagogia neurocognitiva” (Olivieri, 2011): alla base della pedagogia neurocognitiva sta il concetto di individuo come integrale antropologico in cui corpo-mente rappresentano un “quell’integrale fluido, dinamico ed evolutivo nei modi e nei
ritmi con cui l’allievo reagisce alle nostre sollecitazioni, fatto di una rete nervosa di interpenetrazioni tra variabili cognitive, dinamiche affettive-emotive, ma anche esperienze corporee e vissuti esistenziali” (Margiotta, 2007, p. 25).
Nella pedagogia neurocognitiva allora si “favorisce il potenziale umano, adattando i metodi di
insegnamento e di apprendimento allo stato mentale degli studenti, invece di allinearli forzatamente
al curricolo” (Olivieri, 2014, p. 15).
4.6. Il co-teaching
Per supportare le nuove prospettive curricolari inclusive, è fondamentale anche saper lavorare in
team (Margiotta,1997, p. 38) – team teaching - o in compresenza con un altro docente, co-teaching.
Il team teaching è una forma di organizzazione dell'insegnamento nella quale un gruppo di docenti si prende carico congiuntamente dell'attività formativa da svolgere a favore di un gruppo di studenti (Tessaro, 2009c).
Il team di docenti esiste quando i docenti che vi fanno parte:
- hanno comuni obiettivi di fondo nella formazione degli alunni;
- danno un contributo significativo, se pur diverso e comunicano l’un l’altro più possibile; - sentono di far parte o di costruire una realtà il cui valore supera quello dei singoli membri
(Ivi, p. 14).
Nelle classi in cui è presente uno studente con disabilità è presente per alcune ore settimanali anche un docente di sostegno. In queste ore il docente della disciplina e quello di sostegno possono lavorare assieme in co-teaching, cioè attraverso uno stile di insegnamento, un atteggiamento di tipo collaborativo, in cui entrambi gli insegnanti condividono l’ambiente classe e lavorano insieme a tutti gli studenti (Thousand & Santamaria, 2004).
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- “two or more professionals delivering substantive instruction to a diverse, or blended, group of students in a single physical space” (Cook & Friend, 1995, p. 2);
- Working together, delivering instruction, parity among collaborators, shared responsibility, planning, preparing, and equity are all embedded in the definitions of co-teaching, collaborative teaching and cooperative teaching” (Dieker & Murawski, 2003; Gately & Gately, 2001);
- partnering of a general and a special education teacher for the purpose of jointly delivering instruction to a diverse group of students, including those with disabilities or other special needs, in a general education setting and in a way that flexibly meets their learning needs (Friend & Cook, 2007).
Il modello di co-teaching per l’educazione inclusiva “è inteso come pratica educativa e didattica articolata in tre dimensioni riferite alla progettazione, all’insegnamento e alle didattiche ” (Ghedin, Aquario & Di Masi, 2013).
L’insegnante curricolare e quello di disciplina co-progettano, co-insegnano e co-valutano per un gruppo eterogeneo di studenti all’interno della medesima aula, nella stessa realtà scolastica, con
differenti approcci (Friend & Cook, 2007; Murawski, 2003, p. 10).
Progettazione, insegnamento e valutazione - e non solo l’apprendimento – possono essere visti in
ottica inclusiva e presuppongono il dialogo tra i due docenti per creare un partenariato partecipativo Bastiani, 1987).
Nella co-progettazione devono essere discussi assieme (Walther-Thomas, 1995): - gli obiettivi;
- i bisogni e le aspirazioni dei docenti; - le tecniche di insegnamento.
A seconda dei ruoli tra il docente curricolare e quello di sostegno, nella pratica del co-insegnamento si possono distinguere sei approcci (Friend & Cook, 2007):
- One teaching/one observing. Uno insegna e l’altro osserva comportamenti e processi apprenditivi;
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- Station teaching. Insegnamento a tappe: gli studenti sono suddivisi in gruppi, i docenti si suddividono delle lezioni in parti che insegnano a rotazione a tutti i gruppi;
- Parallele teaching. Insegnamento in parallelo: la classe viene divisa in due e i docenti insegnano la stessa cosa simultaneamente;
- Alternative teaching. Insegnamento alternato: un docente manda avanti la lezione e l’altro si occupa dell’insegnamento individualizzato;
- Team teaching. Insegnamento in team: i docenti insegnano contemporaneamente;
- One teaching/one drifting. Uno insegna l’altro si sposta nella classe per aiutare gli studenti che necessitano di aiuto o per monitorare i loro comportamenti.
Questi sei approcci di cui sopra possono avere le seguenti collocazioni spaziali (Friend, & Bursuck, 2009, p. 92):
Nella co-valutazione vanno affrontate la multimodalità valutativa, la dinamica collaborativa e
riflessiva, tra docenti, tra studenti e nell’interazione docenti-studenti (Ghedin, Aquario & Di Masi,
2013).
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