AMBIENTE E APPRENDIMENTO
5.6. In psicologia e in percezione visiva
Tra gli psicologi che hanno trattato l’ambiente come sistema, c’è sicuramente Kurt Lewin. Anche lui è stato tra i membri più attivi Gestaltpsychologie, ma differentemente da Koffka, Köhler e Wertheimer, i suoi studi non si caratterizzano attorno alla percezione ma si concentrarono sugli aspetti motivazionali e interpersonali (Galimberti, 1999, p. 600).
Lewin è stato il principale rappresentante della psicologia sociale, cioè di quella branca delle scienze sociali interessate al cambiamento dell’individuo. Secondo la field theory o teoria del
campo il processo di formazione della personalità si basa sull’interazione dinamica dell’Io con lo spazio vitale, secondo la formula C = f(P, A), dove “C” sta per campo, “P” per fattori personali e
“A” per fattori ambientali e le parentesi indicano la loro interazione.
Il campo è la totalità di fenomeni psicologici che agiscono in reciproca interdipendenza: si tratta dei fattori personali e di quelli ambientali che costituiscono lo spazio vitale dell’Io. L’individuo si colloca quindi all’interno al centro di un campo di forze ambientali che lo modificano e grazie a lui si modificano a loro volta.
“Dal rapporto io – ambiente, secondo Lewin, si ha la totalità dell’ambiente che agisce sull’Io e l’Io che reagisce alle sollecitazioni e alle pressioni dell’ambiente, in modo consapevole personale e critico” (Boccia, 2007, p. 35).
Oltre alla tipologia delle dinamiche che il singolo intrattiene col proprio ambiente di appartenenza risulta però necessario secondo Lewin, comprendere quale sia la valenza ossia l’attribuzione di valore che ognuno riconosce alla propria esperienza vissuta. In questo senso l’ambiente va inteso come ambiente psicologico, un campo ideale che rappresenta lo spazio rappresentativo del singolo. De Giuseppe (2012) indica che “l’ambiente è la condizione in cui un individuo raccoglie e cataloga le proprie esperienze, risultanti dall’interazione dinamica tra il soggetto stesso e gli elementi che
compongono l’ambiente (p. 13). Possiamo indicare gli elementi che compongono l’ambiente come
“agenti” e quelli che si trovano in una condizione di apprendimento agenti di apprendimento, mentre la condizione di apprendimento è lo stato in cui esso avviene (Ivi). Nel caso dell’apprendimento in classe, secondo De Giuseppe, gli agenti razionali sono gli studenti e i
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docenti, e l’apprendimento dipende dagli effetti delle interazioni con la totalità degli agenti, cioè degli elementi, presenti nell’ambiente (Annunziato, Liberto & Pannicelli, 2007).
Il termine ottica ecologica alla percezione visiva viene coniato da Gibson nel 1961 e sviluppato nel celebre “The ecological approach to visual perception” (1979/1986). Nella sua teoria Gibson combina l’ottica con l’ecologia e inserisce i problemi legati alla percezione con quelli più complessi del vivere quotidiano. Egli parte dal concetto che ogni attività degli animali e degli individui è legata dalla continua ricerca di soddisfacimento dei propri bisogni e di appagamento personale. L’ambiente ha un ruolo fondamentale perché solo in esso tali necessità primarie si possono soddisfare: l’uomo non potrebbe avere un futuro se non soddisfacesse i suoi bisogni nell’ambiente e anche l’ambiente senza uomo sarebbe una realtà fisica priva di significato. Ogni problematica esistenziale trova allora un riferimento nel rapporto tra uomo-ambiente e in particolare nel ruolo che in questa dialogicità ha la percezione (Farnetti & Grossi, 1995).
Nella prospettiva ecologica, l’organismo come essere che percepisce e agisce, non è considerato separato e indipendente dall’ambiente: “la supposta distinzione tra esperienza e realtà è non esistente” (Reed, 1988, p. 52). Nella relazione uomo-mondo l’organismo per soddisfare i propri bisogni adatta ed evolve sé stesso in un continuo processo attivo e intenzionale di adattamento
ambientale e di comprensione del mondo. In tale continua attività non esiste una dicotomia tra organismo e ambiente ma grazie ad un rapporto dialogico “il percepire e l’agire dell’individuo si
identificano con il conoscere” (Farnetti & Grossi, 1995, p. 84).
L’atto psico-fisiologico del vedere si completa nella comprensione di tutto ciò che l’ambiente gli offre. La mente dell’uomo è in grado di comprendere anche ciò che non è strettamente visibile in quanto grazie alle note costanti vettoriali della visione della Gestalt Theory,23 l’individuo è in grado
di completare la comprensione della realtà attraverso processi di ricostruzione della stessa. In particolare, Wertheimer nell’enunciare il principio di totalità spiega che “le strutture sono dei complessi, o meglio delle totalità, il cui comportamento non viene determinato da quello dei singoli
23 La psicologia della Gestalt (dal tedesco Gestaltpsychologie, psicologia della forma o rappresentazione) è una corrente
psicologica incentrata sui temi della percezione e dell'esperienza che nacque e si sviluppò agli inizi del XX secolo in Germania. Fondatori della psicologia della Gestalt sono di solito considerati Kurt Koffka, Wolfgang Köhler e Max Wertheimer che sono stati certamente i principali promotori e teorizzatori scientifici di questa corrente. Attraverso gli studi della Gestalt e delle sue sette leggi chiamate di “unificazione figurale” sappiamo che ci sono delle “costanti vettoriali della percezione” in quanto tutti gli uomini organizzano il materiale ottico secondo tali schemi psicopercettivi innati (Hachen, 2007, p. 15): si tratta della legge della vicinanza, dell’uguaglianza, della forma chiusa, della curva
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elementi costituenti ma dalla natura intrinseca del processo globale stesso” (Hachen, 2007, p. 27). Quindi nel processo di percezione visiva “la somma vale più delle singole parti” (Ivi), cioè l’immagine non è prodotta dalla semplice somma dei singoli stimoli ma dall’organizzazione della
totalità dei processi scaturiti da questi stimoli.
Nell’ambiente inoltre, gli oggetti in esso contenuti non devono essere solo percepiti e compresi ma devono avere caratteristiche tali da poter sviluppare un certo grado di affordance definita come "an action possibility available in the environment to an individual, independent of the individual's ability to perceive this possibility" (McGrenere and Ho, 2000, pp. 179-186).
Per Gibson (1979/1986, pp. 69-70) l’“affordance” è lo spettro di attività che una persona o un animale può compiere su un oggetto del mondo, è una sorta di invito dell’oggetto e non è né una proprietà solo dell’oggetto né solo dell’individuo ma è la risposta alla relazione tra le proprietà
suggerite dall’oggetto con le capacità dell’individuo. E’ quindi una proprietà non assoluta degli
oggetti ma distribuita in quanto si divide nella relazione che si instaura tra quell’individuo e
quell’ambiente, per cui è più corretto parlare di affordances al plurale, tra un oggetto e l’individuo.
“Un affordance non è ciò che noi chiamiamo una qualità ‘soggettiva’ di una cosa. Ma essa non è nemmeno ciò che noi chiamiamo una proprietà ‘oggettiva’ di una cosa se con ciò noi intendiamo un oggetto fisico senza nessun riferimento ad alcun animale. Un affordance elimina la dicotomia tra soggettivo e oggettivo e ci aiuta a comprendere la sua inadeguatezza” (Gibson, 1977, pp. 69-70).
Una sedia ad esempio, può essere utilizzata per sedersi sia da un bambino che da un adulto mentre può essere lanciata solo da quest’ultimo. Un animale invece non può compiere nessuna di queste attività.
Nel caso di una forbice l’oggetto suggerisce l’utilizzo grazie alla sua forma e alle sue caratteristiche tecnico-costruttive ma il grado di affordance si deve prima combinare con le capacità del singolo individuo e queste possono variare anche di molto. Pensiamo per esempio al caso di uno studente con difficoltà nella motricità fine: qui l’invito visivo di quella forbice non può trovare un giusto
accoppiamento con le abilità di quello studente. Sostituendo la forbice con un'altra maggiormente ergonomica lo studente può essere maggiormente attratto nel prendere l’oggetto e quindi attivarsi
più facilmente nel compito da effettuare, in quanto stavolta la dialogicità con l’oggetto soddisfa il bisogno iniziale, cioè il poter tagliare.
Le affordances non sono quindi proprietà fisse ma sono relazioni tra gli oggetti e chi le usa e sono indipendenti dal fatto di essere tutte conosciute o essere state ancora scoperte (Norman, 2008).
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L’ambiente nella sua totalità sembra qui quasi psicologizzato perché diventa il possibile luogo dei bisogni, delle scelte, delle soddisfazioni dell’individuo (Farnetti & Grossi, 1995, p. 86) o, all’opposto delle sue insoddisfazioni.
Sta alle abilità percettive e cognitive dell’individuo individuare le affordances e utilizzarle per i propri scopi nella quotidianità o allo stesso modo, di escluderne alcune che in quel compito cognitivo risultano inutili, per privilegiarne delle altre.
Quando questa modalità di accoppiamento funzionale riesce, il contatto tra individuo e l’ambiente supera i connotati fisico-percettivi e mentali per diventare funzionale, immediato, ecologico (Ivi).
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6. AMBIENTE E APPRENDIMENTO