DISABILITA’ INTELLETTIVA E INCLUSIONE SCOLASTICA
IV. SALUTE V CONTESTO
4. DIDATTICA INCLUSIVA
4.4. Proposte didattiche inclusive per la secondaria
4.4.2. Didattica laboratoriale
La didattica laboratoriale, intesa come metodologia operativa connessa allo sviluppo di un “saper
fare intelligente e riflessivo” (Tessaro, 2002), può diventare allora una didattica inclusiva se gli
studenti, riuniti in piccolo gruppo, fanno, riflettono, sperimentano nuove soluzioni assieme e con il
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Con il termine laboratorio non si intende qui l’attività rivolta in un ambiente specifico esterno alla classe, bensì uno “spazio mentale attrezzato”, un metodo di insegnamento (Tessaro, 2002, p. 155) che può coincidere o meno con l’”aula madre” (Baldacci, 2006, p. 130): se l’”aula madre” è spesso solamente il luogo dell’ascolto e offre un contesto di ascolto, il laboratorio è strutturato per favorire un contesto di azione (Ivi).
Se dall’organizzazione degli ambienti didattici se ne possono ricostruire le funzioni didattiche implicite (Ivi, p. 131), nel laboratorio è proprio la particolare prossemica – che è il linguaggio dello spazio, delle distanze, degli orientamenti e separazioni – che è organizzata per far agire e far
interagire gli studenti.
Oltre ad essere spazio fisico, il laboratorio si può considerare “spazialità di situazione”, se favorisce un “contesto laboratoriale”, in ragione della qualità dell’attività (Ivi) tra gli studenti.
Il nuovo contesto dell’aula-laboratorio diventa il luogo dell’agire riflessivo, della costruzione della competenza, che connette il problem solving reale con la riflessione (Tessaro, 2011a): nel
laboratorio il sapere è conoscenza in azione (Tessaro, 2009a, p. 3).
Il laboratorio inoltre è il luogo dell’approccio cooperativo in cui si attivano e si consolidano le competenze (Ivi) e permette la ristrutturazione delle conoscenze già possedute attraverso, anche la metacognizione in merito alle modalità del loro utilizzo.
“Nel laboratorio, come con gli altri metodi “coinvolgenti” il soggetto agisce, è attivo. L’essere attivo del soggetto si può esplicitare in molti modi e ai due estremi ritroviamo due tipologie: l’attività riproduttiva e quella produttiva; è attivo l’allievo che copia, che ripercorre la procedura richiesta, che riproduce ciò che ha studiato; è attivo l’allievo che inventa, che ipotizza nuove strategie risolutive, che produce qualcosa ex novo. Nel laboratorio si opera su entrambi i piani: ma lo scopo formativo del laboratorio è quello di produrre pensiero a partire dall’azione e non è mai meramente applicativo (ossia riproduttivo) (Tessaro, 2009a, p. 3)”.
Il laboratorio ha alcune specificità:
- da un lato favorisce “l’esperienza diretta, il fare, il provare e correggere consente di apprendere contenuti che non sarebbero in altri modi trasmissibili” (Frabboni, 2004, p. 136); - dall’altro il laboratorio non è particolarmente efficiente per apprendere contenuti – apprendimento di tipo I14 – perché spesso un film o la lezione del docente risulta essere
migliore.
14 Bateson (1976) definisce tre livelli dell’apprendimento: del livello 0 fa parte l’apprendimento associativo, detto anche
semplice o meccanico, fondato principalmente sulla reazione stimolo – risposta, che dà origine alla formazione di abitudini. Nel livello I Bateson fa specifico riferimento all’apprendimento di tipo istituzionale classico, quello delle funzioni scolastiche. In questo contesto è l’insegnante a stabilire che cosa deve imparare l’allievo ed è lui a definire i ritmi e la qualità dell’insegnamento da erogare. Nel Livello II Bateson si riferisce a funzioni di valutazione complesse e sofisticate, quali, ad esempio, la consapevolezza di esistere il senso dell’esistenza, la capacità di provare sentimenti sui
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Il laboratorio si presta però a sviluppare abiti mentali specifici ad un certo medium- apprendimento di tipo II e III - che consentono di apprendere compiti simili per campi di attività (Baldacci, 2006, p. 134).
Questi abiti mentali sono proprio le intelligenze nel senso di “abilità in un medium culturale” (Olson, 1979) e così in relazione ad esse si dovrebbe configurare anche l’attività laboratoriale, in cui il soggetto impara facendo attraverso quel medium specifico.
Come osserva Baldacci (2006, pp. 133-135), ogni laboratorio ha però una propria specificità, volta a
sviluppare una o più specifiche intelligenze attraverso specifici medium. Potrebbe darsi che un
laboratorio che privilegia gli studenti che utilizzano per apprendere prevalentemente i linguaggi visivi ne penalizza altri che privilegiano i linguaggi acustici. Per questo è necessario pensare ad un
sistema di laboratori.
Secondo Frabboni (2004,76), la scuola italiana soffre di una “carenza endemica di spazi”, cioè raramente dispone di spazi oltre a quelli della classe per attuare laboratori disciplinari e interdisciplinari. Data l’impossibilità di creare in tempi brevi strutture nuove in grado di ospitare aule attrezzate per la didattica laboratoriale disciplinare, è indispensabile concentrarsi sulle
potenzialità – e non solo sui vincoli – geometrici, strutturali e di risorse che le attuali classi
possiedono già.
Dati i limiti strutturali, le variabili su cui il docente può agire non sono molte, e riguardano in gran parte il setting dei banchi e la distribuzione ottimale degli arredi.
Tali variabili però, possono costituire un significativo cambiamento nella didattica tradizionale e consentire ugualmente, se ben strutturate, esperienze di apprendimento innovative e inclusive. In un ambiente “pienamente inclusivo” tutte le barriere sono rimosse a favore della partecipazione e dell’apprendimento di ogni alunno (Booth, 2008).
Ci si può avvicinare a questo obiettivo ideale, se il docente crea le condizioni per le quali lo
studente approfitta dei materiali, dei tempi, degli spazi e di altre contingenze per apprendere“
(Damiano, 2013, p. 108) e se, al contempo, sa sviluppare le sue capacità mediali con i compagni, come l’abitudine a saper ascoltare, chiedere l’opinione degli altri, riflettere e interagire costruttivamente (Ianes & Macchia, 2008).
propri sentimenti. Si tratta di una forma di apprendimento continuo e sistematico in cui il soggetto “impara ad imparare”, facendo esperienza e modificando le risposte in relazione alle esigenze del contesto in cui avviene la relazione.
http://www.formazione.unimib.it/DATA/personale/ALBANESE/hotfolder/psi/Materiali%20didattici%20anni%20prece denti/microsoft%20word%20-%20livelli%20di%20apprendimento.pdf [24 agosto 2016].
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Per realizzare un nuovo ambiente e contesto di apprendimento laboratoriale in senso “inclusivo”,
prima dello svolgersi attività laboratoriale, l’insegnante deve aver deciso:
- di includere i medium e i linguaggi (Olson, 1979) strategici degli studenti con Bisogni Educativi Speciali;
- quali processi cognitivi potenziare;
- quali obiettivi raggiungere in termini di conoscenze, capacità e competenze;
- come promuovere l’agency cioè la” libertà sostanziale di scegliere e di agire” (Sen, 1992); - come sviluppare l’imprenditività (Tessaro, 2014a) e la medialità degli studenti;
- come promuovere la creatività nella nuova situazione di apprendimento (Minerva & Vinella, 2012);
- come progettare l’ambiente e il contesto di apprendimento (Bagnariol, 2015) per facilitare lo sviluppo di tutti questi elementi;
- quale setting della classe adottare per la nuova esperienza di apprendimento (Bagnariol, 2014; 2015).