PARTE III
9. RELAZIONI E PROBLEM
9.2. Relazioni tra architettura scolastica e apprendimento
L’aspetto più forte, è riconoscibile probabilmente nel fatto di riuscire, ciascuna nei suoi ambiti, a
dare una forma nuova: l’architettura dà forma nuova alla materia mentre la pedagogia attraverso i
molteplici campi delle scienze della formazione, dà una forma nuova all’apprendimento dell’uomo. Entrambe le discipline hanno quindi un altro impatto formativo sulla vita delle persone.
Nell’architettura scolastica le due discipline dovrebbero dialogare sempre tra loro per costruire un’idea di scuola che persegua una precisa direzione formativa: l’architettura qui, più che altrove, si adopra per “informare il pensiero pedagogico e dargli concretezza” (Weyland & Attia, 2015, p. 58). Le competenze delle due figure professionali - l’architetto e il pedagogista - dovrebbero intrecciarsi per completarsi scambievolmente: “l’architettura della pedagogia e la pedagogia dell’architettura, […] si completano tra loro” (Ivi, pp. 18-19).
L’osmosi tra le due scienze, nel caso della progettazione di una scuola dovrebbe costituire un momento complementare se non quasi-identitario: l’architettura e la pedagogia trovano nel progetto scolastico, più che in altre realizzazioni civili, un dialogo strettissimo.
In questo dialogo esiste una gerarchia, cioè è l’architettura a suggerire modelli pedagogici o viceversa? Qual è l’elemento che stabilisce tale ordine gerarchico?
Vitruvio indica che l’utilitas – l’utilità – “richiede che la costruzione risponda allo scopo e ogni cosa sia messa a suo posto” (Migotto, 1990, p. 123).
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Considerato che “architettura significa sempre un ‘essere al servizio di’, trovarsi sempre nella
finalità” (Masiero, 1999, p. 224) è allora il binomio utilità – funzione che, anche per le architetture
scolastiche, dovrebbe essere al servizio delle intenzioni pedagogiche e formative.
E’ la funzione formativa della scuola ad essere quindi all’origine della gerarchia nel rapporto con l’architettura.
La finalità formativa non dovrebbe mai essere lasciata al caso ma progettata con cura, per arrivare a costituire una sorta di impronta formativa, cioè un profilo formativo da perseguire e rispettare come
linea formativa di quella scuola e che farà da guida negli anni successivi a docenti e dirigenti.
Questo dialogo dovrebbe iniziare già in fase pre-progettuale a partire dallo studiare: - l’utenza a cui si rivolge;
- l’analisi della realtà territoriale; - l’analisi dei bisogni formativi; - la proposta pedagogica;
- l’ipotesi di strategie didattiche.
Nel POF- Piano dell’Offerta Formativa- cioè il documento che la scuola redige ogni anno destinato al territorio, si fa spesso esplicito riferimento all’utenza a cui la scuola si rivolge, ai corsi che attiva, al piano orario e ad altre indicazione tecnico – informative58.
Anche laddove tale profilo formativo sia presente, spesso non riesce a tradursi nella pratica della professione docente di ogni giorno e sia la proposta pedagogica che le eventuali strategie didattiche, rimangono quindi deboli o sterili, perché nella realtà spesso non riescono a tradursi in buone pratiche.
La responsabilità di tale sterilità formativa, non è da attribuirsi esclusivamente ad una serie complessa di fattori rintracciabili nell’azione del docente, in quella del dirigente scolastico e della carenza attuale delle risorse assegnate per ciascun istituto.
E’ invece l’architettura delle scuole che spesso costringe le strategie didattiche all’interno di un pensiero pedagogico generato da quelle architetture stesse.
58 In questi documenti manca però troppo spesso un’idea di formazione chiara e forte, che possa essere stata maturata da
un esperto scientifico, come da un pedagogista. Sono gli insegnanti stessi che si occupano di tale stesura e il POF spesso è il risultato di alcune buone intenzioni o di un elenco disorganico di opportunità che la scuola si prefigge di promuovere.
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Ogni struttura scolastica, per conformità strutturali e conseguenti limiti ambientali, esercita direttamente una serie di vincoli didattico - formativi tutt’altro che irrilevanti e che sono di ostacolo anche alla creazione di nuovi profili formativi.
Questi vincoli didattici sono conseguenza dell’obsolescenza delle attuali strutture scolastiche e di una ridestinazione d’uso delle scuole, differente da quella originaria.
9.2.1. Architettura scolastica metafora di saperi correlati
Oggi l’architetto di fama internazionale Franco Purini59, sottolinea il ruolo formativo che un edificio
scolastico dovrebbe avere già nelle intenzioni del suo progettista, tale da esserne un “modello conoscitivo” (Purini, 2010):
“Nel suo significato più esteso e complesso un edificio scolastico non è soltanto un sistema di spazi destinati ad accogliere nel modo funzionalmente e formalmente più adeguato gli insegnanti e gli allievi. Esso deve configurarsi come un’architettura capace, nel sapiente coordinamento degli spazi e nell’esattezza metrica e nella precisione costruttiva, di porsi come metafora di un mondo di saperi
correlati. In questo senso vivere un edificio scolastico equivarrebbe ad abitare un modello
tridimensionale, tendenzialmente labirintico, di percorsi conoscitivi, circostanza che sembra richiedere a sua volta un’architettura non solo logicamente coerente ma in grado di suggerire sia l’incommensurabile vastità degli ambiti del sapere sia la necessità di ricondurre in ogni modo tali orizzonti plurali a una loro idea unitaria. Se è vero infatti che un’architettura è sempre la riproduzione traslata di una ricerca consapevole e assidua della verità delle cose, allora è anche vero che pensare e costruire scuole implica ricreare analogicamente le mappe misteriose di un viaggio negli spazi senza
fine della conoscenza” (Purini, 2010).
Lo spazio architettonico in questo modo diventa agente formativo se riesce a correlare e a facilitare i processi di apprendimento: la scuola quindi, può passare da mero spazio fisico a spazio per
l’apprendimento.
Considerata la datazione della maggioranza degli edifici scolastici esistenti, rispondenti a modelli educativi del passato, si pone quindi un problema di innovazione pedagogica strettamente correlata all’innovazione architettonica delle scuole.
L’innovazione architettonica nel caso dell’edilizia scolastica più che nel resto di altre tipologie costruttive deve rispondere ad esigenze di attualizzazione pedagogica: le architetture scolastiche non sempre riescono a formare efficacemente delle menti in grado di rispondere alle sollecitazioni
59 Franco Purini (1941), è un architetto, saggista e docente universitario italiano. Ha studiato architettura a Roma con
Ludovico Quaroni laureandosi nel 1971. Dopo un breve periodo di insegnamento a Reggio Calabria e a Roma, è diventato docente presso l'Istituto Universitario di Architettura di Venezia. Dal 2003 insegna presso la Facoltà di Architettura della Sapienza di Roma. Per i meriti conseguiti nell'ambito della sua attività professionale e teorica, è stato eletto Accademico Corrispondente dall'Accademia delle Arti del Disegno di Firenze.
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che il mondo freneticamente richiede. Non si tratta di attualizzare gli strumenti e le nuove tecnologiche ma soprattutto, in termini didattici, di rendere possibili pari opportunità di accesso
all’apprendimento, personalizzazione e multi-modalità di apprendimento (Caldin, 2014).
Invece la gran parte delle attuali scuole sono anacronistiche, cioè favorsicono modelli formativi del passato e non consentono di sviluppare i bisogni formativi attuali e del futuro.
Un esempio dell’evidente discrasia nel rapporto pedagogia/architettura si ritrova nel caso dell’integrazione/inclusione: qui a fronte di modelli educativi e normativi avanzati rispondono gli attuali ambienti di apprendimento che però sono stati pensati su altri paradigmi educati e, quindi, rendono molto difficile l’attuazione di questi principi innovativi in classe.
Anche i docenti vivono una situazione schizofrenica: da un lato vengono formati per promuovere personalizzazione degli apprendimenti, la didattica per competenze, didattiche attive e inclusive, dall’altro le strutture architettoniche sono così rigide da rendere questo obiettivo molto difficile. La società richiede menti sempre più flessibili e capaci di reagire alla complessità delle richieste attuali e la scuola, soprattutto quella secondaria, promuove invece - de facto- ancora una didattica prevalentemente per contenuti e per programmi.
In riposta ai bisogni formativi del domani, le nuove architetture scolastiche dovranno quindi essere pensate per rispondere alla formazione degli studenti in un mondo in rapido cambiamento e possibilmente per un arco temporale molto ampio.
La flessibilità come categoria pedagogica (Giunta, 2013) è invece ormai un obiettivo imprescindibile per la formazione che si rivolge alla multiculturalità, alle differenze/diversità di apprendimento, ai temi complessi dell’integrazione e dei Bisogni Educativi Speciali.
La flessibilità degli ambienti scolastici potrebbe costituire la prima soluzione per mettere nelle condizioni i docenti di attuare didattiche quanto più flessibili e integrate, che promuovono la
correlazione di quei saperi e lo sviluppo di quelle competenze realmente aderenti ai bisogni formativi del cittadino del domani.
9.2.2. Variabili ambientali per l’apprendimento scolastico
In una recente ricerca (Cheryan, Ziegler, Plaut & Meltzoff, 2014) condotta negli Stati Uniti gli autori individuano due variabili che determinano il miglioramento causato dall’ambiente
architettonico nell’apprendimento: le facilitazioni strutturali e l’importanza delle caratteristiche simboliche. La metà delle scuole oggetto dello studio non presentava caratteristiche strutturali tali
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dell’aria salubre. Altre caratteristiche, definite “simboliche”, come il colore adeguato ad una o più
pareti o la presenza di un setting degli arredi maggiormente funzionale, sono state individuate come caratteristiche ambientali che possono influenzare l’apprendimento degli studenti: la mancanza di attenzione a questi fattori ha peggiorato significativamente il livello degli apprendimenti scolastici degli studenti.
A partire anche da questi studi recenti, il tema dell’estetica degli ambienti scolastici, può essere suddiviso sostanzialmente in tre livelli estetici, che dialogano tra loro:
- l’architettura scolastica nel suo complesso; - la singola classe;
- il design degli arredi e degli oggetti per l’apprendimento.
Un buon architetto, assieme all’aiuto e alla collaborazione di un pedagogista, dovrebbe progettare sempre questi tre livelli assieme, sia che si tratti di una nuova scuola, di una ristrutturazione o di una nuova destinazione d’uso. Comunque sia, la progettazione estetica degli ambienti di apprendimento scolastici dovrà comprendere:
- libertà di movimento; - l’attività degli studenti;
- flessibilità didattica e di apprendimento; - favorire gli stili cognitivi di tutti gli studenti;
- favorire l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità;
- favorire l’inclusione scolastica di tutti gli studenti con Bisogni Educativi Speciali.
Con particolare riferimento alla categoria degli studenti con Bisogni Educativi Speciali, nella ricerca di Cheryan et alias (Ivi) si è evidenziato che negli Stai Uniti è proprio la categoria dei
vulnerables students, tra cui possiamo includere gli studenti con Bisogni Educativi Speciali quali i
disabili o gli studenti con disagio socio-economico e culturale e a basso reddito, che finiscono nelle scuole in cui sono carenti sia le facilitazioni strutturali che quelle simboliche.
Paradossalmente invece, proprio questi studenti dovrebbero godere a pieno di tutte le facilitazioni ambientali, didattiche ed estetico-percettive per migliorare le loro di difficoltà di apprendimento.
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