• Non ci sono risultati.

AMBIENTE E APPRENDIMENTO

8. AMBIENTI DI APPRENDIMENTO PER LA DISABILITA’ INTELLETTIVA

8.1. Montessori e l’ambiente di apprendimento adatto

“Oltre la maestra, anche l’ambiente scuola deve essere trasformato” (Montessori, 2000, p. 125)

Così scrive la Montessori nel capitolo intitolato “Ambiente” nel testo “L’autoeducazione nelle

scuole elementari”.

“La scuola di tutti e di ciascuno” (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa [INDIRE], 2014) può attuarsi ispirandosi al “profilo pedagogico del bambino Montessoriano (Bertin, 1963)” e all’impianto teorico della Montessori che si fonda sui tre punti essenziali dell'ambiente adatto, del maestro umile del materiale scientifico.

L’ambiente adatto è il “primo atto pratico” (Montessori, 1951) che l’adulto deve progettare e realizzare per permettere al bambino di liberare le proprie potenzialità, raggiungere degli scopi e perfezionare la sua “irrefrenabile attività” (Ivi). Inoltre “uno dei lavori più urgenti nella costruzione della società è la ricostruzione dell’educazione, che si deve fare dando ai bambini l’ambiente adatto alla loro vita” (Montessori, 1955, pp. 97-98).

Il maestro umile orienta lo studente a comprendere l’ambiente e ad utilizzare gli oggetti in esso contenuto per poi lasciarlo autonomo nella la propria libertà di scelta e nel rispondere ai suoi

150

Diversamente da quanto avviene nell’educazione tradizionale44, nell’ambiente montessoriano c’è

un’atmosfera d’insieme che si coglie distintamente: innanzitutto si avverte il rispetto per le

differenze di tutti i bambini intesi come essere unici e irrepetibili - che apprendono in

collaborazione tra loro sfruttando le ricchezze degli spunti individuali nel rispetto delle diversità nei modi e nei tempi di apprendere di tutti; la deduzione delle regole e dei contenuti avviene dall’esperienza diretta con il materiale Montessori; c’è la possibilità di lavorare per gruppi

eterogenei; l’apprendimento è semplice e piacevole.

La Montessori mette in crisi il concetto di normalità e di diversità, affermando che le “differenze tra i soggetti dipendono dalle opportunità di apprendimento che vengono loro offerte” (Loschi, 1991) e intuisce che i metodi per aiutare i bambini svantaggiati potessero essere validi anche per aiutare i bambini normodotati.

Il bambino con qualche difficoltà di human functioning trova proprio nell’ambiente di apprendimento montessoriano un ambiente agentivo (Sen, 2000) cioè in grado di combinare le proprie capacitazioni interne (Margiotta, 2014) con gli stimoli sensoriali degli oggetti in esso presenti: qui il bambino si sente accolto e stimolato a sviluppare i propri linguaggi e il proprio Sé. Mediante lo sviluppo di un atteggiamento enteropatico ovvero del sapersi mettere al posto

dell’altro sia sul piano intellettuale che su quello intersoggettivo (Bertolini, 1996), il bambino già

da piccolo sperimenta i valori della comprensione - considerata da Morin la missione propriamente

spirituale dell’educazione (Morin, 2001) - dell’apprendere assieme, del rispetto delle differenze e delle diversità.

Innanzitutto la Montessori distinse tra ambiente adulto e ambiente del bambino - “l’ambiente

dell’adulto non è ambiente di vita per il bambino” (Montessori, 2014, p. 146) – e quindi, iniziò a costruire un ambiente a “misura di bambino”, in particolare di bambino in difficoltà (Piazza, 2004): si tratta della “casa del bambino, evento aurorale di un pedagogia dell’inclusione” (Baldacci, 2007).

Il bambino deve avere ben chiaro dove trovare cosa nella sua classe: colori, pennarelli, pastelli, carte e cartoncini di ogni tipo, la cancelleria, ma anche le nuove tecnologie come il computer e la stampante devono avere una precisa collocazione, un’identità spaziale propria.

L’estetica per la Montessori costituisce un fattore essenziale per condurre il bambino all’esperienza di auto-apprendimento: è l’attrazione esercitata dalla forma e dai materiali di cui sono costituiti gli oggetti stessi che chiamano il bambino a prenderli e ad apprendere mediante il loro utilizzo.

44 “Gli strumenti del metodo”. Disponibile da http://www.scuolamontessorimilano.it/differenze-tra-scuola-montessori-

151

“Sono le cose di vario genere che chiamano i bambini di varie età. Veramente la lucentezza, i colori, la bellezza delle cose gaie e adornate, sono altrettanti «voci» che chiamano a sé l’attenzione del bambino e lo stimolano ad agire. Quegli oggetti hanno un’eloquenza che nessuna maestra potrebbe mai raggiungere: prendimi, dicono; conservami intatto, mettimi nel mio posto. E l’azione compiuta in accordo con l’invito delle cose dà al bambino quella gaia soddisfazione, quel risveglio di energia che lo predispongono ai lavori più difficili dello sviluppo intellettuale (Montessori, 2003, p. 92).

Lo spazio della classe, al cui interno oggi sono presenti molti studenti stranieri, disabili, con Disturbi Specifici di Apprendimento e in genere con Bisogni Educativi Speciali, deve essere organizzato in modo tale da consentire uguale opportunità di apprendimento di tutti i bambini e favorire lo sviluppo dei processi partecipativi di empatia, apertura e generosità (Morin, 2001) che sono sottesi ai principi stessi dell’inclusione.

I bambini con Bisogni Educativi Speciali hanno bisogno, a maggior ragione, di un ambiente che non deve essere casuale ma ordinato, strutturato, diversificato in aree funzionali facilmente riconoscibili: a partire dalla disposizione dei banchi - singoli o riuniti in piccole isole funzionali, di lavoro e dei materiali - si può stabilire un ordine esterno che, soprattutto in questi bambini, si ripercuote nell’ordine interiore (Piazza, 2004).

Il concetto di ordine degli ambienti di apprendimento come omologhi dell’ordine interiore, utile per sviluppare soprattutto i processi di apprendimento, viene anche ripreso da Mauro Laeng come una delle quattro “qualità della mente infantile” (Laeng, 2001), assieme ad esattezza,

concentrazione e amore.

Laeng spiega che in un ambiente montessoriano possono trovare spazio anche gli studenti “subnormali”, incapaci di attenzione protratta a causa delle loro carenze cognitive. Per questi soggetti c’è quindi bisogno di promuovere il protrarsi dell’attenzione “isolando gli stimoli di massima evidenza, evitando ogni confusione e distrazione” (Laeng, 2001, p. 118).

Laeng definisce con “isolamento materiale, il primo passo per l’astrazione” (Ivi): i materiali sensoriali vanno isolati con cura e non confusi o messi alla rinfusa ma suddivisi per tipologia e ordinati, in modo tale per poter essere un utile strumento di auto-apprendimento anche per questi studenti.

L’ambiente adatto deve essere quindi un ambiente altamente strutturato ma al contempo deve poter garantire una certa flessibilità d’uso e consentire autonomamente l’utilizzo dei linguaggi propri di

ciascun bambino. Se il bambino riconosce la collocazione degli strumenti - meglio se di qualità -

che possono servirgli per l’apprendimento e se viene messo nelle condizioni di poter scegliere tra differenti stimoli esterni, le sue capacitazioni interne (Sen, 2010) trovano una possibilità di

152

abbinarsi con gli oggetti dell’ambiente e qui, il proprio linguaggio di apprendimento si sviluppa naturalmente. Il rapporto ambiente-bambino, per questa natura biunivoca, deve poter originare quelle sollecitazioni che daranno luogo in seguito a processi di attivazione delle idee, di intuizioni creative, di insight e che si traducono in libertà di movimento, in possibilità di apprendimento attivo,

di autoapprendimento, per tutti.

Nell’ambiente montessoriano il “bambino laborioso” (Bertin, 1963), può muovere le proprie risorse interne e i funzionamenti che la natura gli ha dato (Montessori, 1952), può risolvere problemi di

problem solving, crescere negli apprendimenti e sviluppare autonomamente i processi cognitivi

ancor prima dell’astrazione cognitiva: “l’ambiente fornisce l’autonomia prima dell’astrazione

cognitiva” (Piazza, 2004).

Nell’ambiente montessoriano le variabili tempo e spazio non vanno lasciate alle abitudini e alle pratiche didattiche tradizionali del docente, soprattutto se tali abitudini, come purtroppo spesso avviene nell’insegnamento, non riescono a promuovere il ruolo attivo negli studenti, a rispondere ai complessi bisogni della speciale normalità (Ianes, 2006) e a rendere piacevole il tempo scuola. La dimensione del tempo nell’ambiente montessoriano è unitaria ma non univoca: l’apprendimento avviene innanzitutto seguendo il ritmo personale di ciascuno per estendersi nella dimensione più ampia del tempo dei compagni che vogliono liberamente apprendere assieme.

L’obiettivo di un ambiente così strutturato è che sia “l’ambiente stesso che fa lezione al bambino” (Piazza, 2004, p. 83) mentre il docente fa da osservatore e da mediatore per le richieste dei bambini, diventando anch’egli una componente mediale del processo di apprendimento.

L’osservazione è il punto centrale dell’impianto teorico montessoriano che implica un rovesciamento del rapporto maestro/allievo, per cui è quest’ultimo che insegna e mostra come apprende. Per arrivare a tale rovesciamento, l’insegnante deve coltivare nel tempo una capacità che spesso è imbrigliata dal proprio ruolo culturale e fare dell’osservazione una vera e propria attività

scientifica.

“Il maestro non deve tanto acquisire i risultati delle scienze ma deve farsi scienziato. Scienziato è colui che nell’esperimento ha sentito un mezzo conducente a indagare le profonde verità della vita, a sollevare un qualche velo dei suoi affascinanti segreti. E che in tale indagine ha sentito nascere dentro di sé un amore così passionale pei misteri della natura da dimenticare se stesso. Lo scienziato non è il maneggiatore di strumenti, è il religioso della natura” (Montessori, 2002, p. 25).

L’osservazione inoltre implica un percorso autoriflessivo molto profondo, che non si verifica in astratto ma nella quotidianità implica un amore profondo per il bambino (Falcinelli, 2014).

153

8.2. Feuerstein e l’ambiente di apprendimento modificante

Tutto il pensiero di Reuven Feuerstein trae origine da alcune “teorie della mente” e principi formativi fondamentali:

- la plasticità neuronale, secondo cui il cervello è capace di ricreare sé stesso perché ha un potenziale sconfinato e “cambia le sue strutture e le sue funzioni in risposta alle esperienze esterne, che portano letteralmente alla creazione di nuove connessioni tra i neuroni” (Feuerstein, 2005a, p. 3);

- la Modificabilità Cognitiva Strutturale (Feuerstein, 2006; 2005a; 2005b) secondo cui è possibile ottenere modificazioni significative del funzionamento intellettivo anche di persone con gravi disabilità (Feuerstein, Rand & Hoffmann, 1979; Feuerstein, Rand, Hoffmann & Miller, 1980);

- l’esperienza di apprendimento mediato (EAM) dall’attività esperte dello human mediator; - l’ambiente di apprendimento modificante (Feuerstein, 2006; 2010).

Tutti gli esseri umani sono “sistemi aperti, soggetti a essere significativamente modificati dall’intervento ambientale” (Feuerstein, 2010, p. 19) e perciò “le caratteristiche della personalità, la capacità di pensiero, il livello generale di competenza” (Feuerstein, 2010, p. 22) possono essere modificate anche nei casi di ritardo mentale o di pluridisabilità complessa.

Per ottenere successi nel ritardo mentale “è necessario prevedere una modificabilità del comportamento non solo nel soggetto e nel mediatore, ma anche un cambiamento sostanziale

dell’intero ambiente circostante” (Feuerstein, 2005a, p. 171).

Per Feuerstein molti contesti educativi di gruppo, così come sono strutturati, presentano dei limiti tali da promuovere l’”accettazione passiva” (Feuerstein, 2005b, p. 188) negli studenti, cioè richiedono loro pochissimi cambiamenti significativi. Gli ambienti tradizionali promuovono quindi nel gruppo solo “modificazioni cosmetiche” (Ivi), in cui gli studenti più forti a livello relazionale e intellettivo dominano su tutto il resto del gruppo classe.

Il modello stesso della “classe integrata” (Feuerstein, 2005, p. 171), in cui studenti con e senza disabilità partecipano a situazioni di apprendimento comune, pur con livelli di funzionamento intellettivo differente, viene paragonato da Feuerstein alla situazione in cui si trova “un turista quando atterra in un paese straniero”: come il turista risulta inserito nel nuovo contesto, lo studente con disabilità, qui, si confronta con la norma della classe, per cui è corretto parlare di “inserimento” (Nocera, n.d.) più che di “integrazione”.

154

Un approccio per la corretta integrazione - primo passo verso l’inclusione - si ha invece quando lo studente, anche con disabilità grave, si trova in un “ambiente benevolo e sostenitore” (Diamond & Hopson, 1998) tale da promuovere il cambiamento strutturale e chimico delle connessioni neurali (Feuerstein, 2005a; Diamond & Hopson, 1998) e, in questo modo, riuscire a garantire a tutti pari opportunità di sviluppo cognitivo.

Un ambiente di apprendimento è potenzialmente modificante – come quello della classe comune - se persegue i seguenti obiettivi: (Feuerstein, 2005, pp. 171-177): fornisce l’occasione di essere

esposti a stimoli reali; aumenta la capacità di imitazione; crea una pressione positiva da parte dell’ambiente; accelera il processo di cambiamento facendo proprie le pressioni dell’ambiente;

cambia le condizioni dello studente da individuo sempre protetto ad uno studente responsabile. Nella classe comune la c’è la possibilità di fornire agli studenti con disabilità una quantità e qualità di stimoli sicuramente maggiori e diversificati rispetto all’istruzione separata: proprio a causa della loro lentezza nell’apprendere questi studenti hanno bisogno infatti di essere esposti a stimoli intensi e ripetuti ma anche nuovi. I processi di imitazione si sviluppano solo in un ambiente eterogeneo come quello della classe comune, per cui il prendere appunti, il giocare, l’uso di una nuova tecnologia vengono appresi per emulazione con gli altri compagni senza difficoltà di apprendimento.

L’ambiente della classe comune inoltre è aperto alle dinamiche e alle sollecitazioni reali sia dei compagni che dei docenti: questo è un fatto positivo, perché abitua gradualmente lo studente con disabilità a modificare una serie di pressioni che troverà nella vita reale. In questo modo le sollecitazioni vengono interiorizzate e lo studente può prepararsi in futuro a gestire sempre meglio le proprie reazioni.

Nella classe speciale invece, l’alto livello di protezione se da un lato abbassa lo stress cognitivo ed emotivo, dall’altro allontana lo studente con disabilità dalla realtà che dovrà fronteggiare una volta che sarà uscito dalla scuola. Questi studenti non potranno essere abbandonati ai pericoli della società reale ma saranno condannati a vivere in luoghi protetti anche dopo il percorso scolastico. Per realizzare gli obiettivi descritti sopra, l’ambiente modificante (Feuerstein, 2010, pp. 267-290) deve avere le seguenti caratteristiche:

- avere un alto grado di apertura e mancanza di pregiudizi per garantire anche allo studente con ritardo pari opportunità di apprendimento;

- poter creare la tensione positiva verso il nuovo e permettere quindi l’adattamento ad una vasta gamma di situazioni;

155

- organizza situazioni ottimali di apprendimento controllate e programmate tra ciò che è conosciuto e il nuovo apprendimento nella zona di sviluppo prossimale (Vygotskij, 1990); - poter permettere l’intervento individualizzato e la mediazione per tutti gli studenti con

difficoltà di apprendimento, utilizzando tecniche, metodologie ed obiettivi diversificati.

Nell’ambiente modificante inoltre, l’attenzione più che essere incentrata su un ambiente o su un setting, si focalizza sul quell’ambiente di apprendimento, su quel contesto di apprendimento e sui

quegli studenti.

Inoltre lo stesso Feuerstein fornisce un punto di partenza, che ha delle ripercussioni pratico- operative per la progettazione e costruzione di un ambiente modificante: “l’ambiente modificante

parte dai bisogni evolutivi dell’individuo e dagli interventi necessari, e vi costruisce intorno la sua struttura ecologica” (Ivi, p. 196).