Il regime impiegò un paio d’anni a creare una elaborata linea d’azione nei confronti degli Stati Uniti. Dopo un iniziale smarrimento, Mussolini dettò la linea ai suoi esponenti del ministero degli esteri, che fecero il possibile per combattere l’influenza americana senza inimicarsi una delle principali potenze del mondo.
Luconi ha esaminato le sofisticate tecniche di lotta culturale messe in atto dal regime fascista dentro e fuori la democrazia degli Stati Uniti. L’obiettivo era semplice: difendere gli emigrati italiani dal processo di americanizzazione, e diffondere un’immagine positiva del fascismo attraverso una propaganda martellante.
L’autore ha raccolto dati molto diversi tra loro (lettere desegretate del ministero, statistiche dell’epoca, articoli di giornale, pellicole cinematografiche) e ha dimostrato come, dal 1925, l’intero apparato dell’ambasciata italiana a Washington avesse, come compito principale, quello di aumentare la simpatia per il fascismo presso l’opinione pubblica americana. Mussolini nominò ambasciatore un suo uomo di fiducia (Giacomo De Martino, uno dei primi organizzatori del Pnf) e lo incaricò di radunare tutti gli italo-americani aventi diritto al voto sotto l’influenza fascista, in modo da trasformarli in una lobby capace di influenzare il processo democratico americano a favore dell’Italia. Questo gioco d’azzardo diede risultati incoraggianti, perché
gli avvenimenti degli anni 1925-26 forniscono un esempio di come la mobilitazione dei votanti di origine italiana potesse utilmente essere impiegata per difendere gli interessi dell’Italia fascista negli Stati Uniti. L’elettorato italo- americano esercitò infatti un’influenza non trascurabile.9
De Martino coordinò gli sforzi dei fascisti all’estero affinché tutte le associazioni italiane negli Usa si allineassero velocemente al regime. La già menzionata Italy-America Society, fondata nel 1917 da uomini d’affari, fu tra le prime ad appoggiare incondizionatamente il fascismo; simile destino toccò all’Osia,10 di gran lunga l’associazione più potente in America con oltre 300mila
affiliati, e alla Società Dante Alighieri,11 che si occupava della formazione giovanile e fu un ottimo
strumento di propaganda presso i più giovani.
9 Ivi, p. 24.
10 «Diffuso in tutte le maggiori aree di insediamento dell’immigrazione italiana negli Stati Uniti, l’Osia era la più influente associazione etnica italo-americana a livello nazionale […] Non appena Mussolini salì al potere, Di Silvestro si affrettò ad assicurargli la fedeltà dei circa 300mila membri dell’ordine». Ivi, pp. 29-30.
11 «Com’è noto, la Società Dante Alighieri costituiva uno dei principali veicoli della propaganda fascista negli Stati Uniti. De Biasi era stato tra i fondatori del primo fascio degli Stati Uniti, costituito a New York nel maggio 1921. Lo stesso
Carroccio fu nella sostanza un organo di propaganda fascista almeno fino all’espulsione di De Biasi dal Partito Nazionale
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Questa penetrazione culturale del fascismo in America fu la risposta di Mussolini all’Immigration Act. Gli Stati Uniti avevano chiuso le frontiere, temendo dei pericolosi turbamenti nella loro democrazia; per contrappasso, Mussolini organizzava gli oltre tre milioni di italo- americani risiedenti in America e li trasformava in un blocco elettorale capace di alzare la voce e costringere i partiti a scendere a compromessi. Nelle lettere ricuperate da Luconi, un entusiasta De Martino scriveva a Mussolini, nel 1926, che
ho ripetutamente avuto occasione di segnalare a Vostra Eccellenza l’importanza che vanno assumendo le comunità italo-americane attraverso una attiva partecipazione politica in questo paese. Le recenti elezioni hanno confermato la mia opinione. Esse hanno mostrato ancora una volta quanta influenza possano esercitare nel giuoco dei partiti politici le masse di elettori italo-americane e come la loro collaborazione è ricercata e desiderata.12
Il fascismo, complice l’ammirazione americana per Mussolini, trovò larghi consensi presso le «colonie» italiane negli Usa. Nonostante l’omicidio di Matteotti (10 giugno 1924) avesse sconvolto l’opinione pubblica a stelle e strisce, i rapporti tra i due paesi erano tornati velocemente ad un ottimo livello e questo favorì la «diplomazia parallela» voluta dal regime, capace di erodere consensi in America senza infastidire il governo.
L’ammirazione per la dittatura di Mussolini era pressoché unanime anche presso gli italo- americani. Pochi di loro, infatti, riuscirono a resistere alla strabiliante propaganda del regime, che si proponeva al mondo come soluzione di tutti i mali dell’Italia e forza rinnovatrice capace di portare la modernità nella penisola. Gli italo-americani, da sempre ghettizzati e segregati a livello urbano e razziale, videro nei trionfi del fascismo una possibilità di riscatto personale, che culminava nella grande personalità di Mussolini, l’italiano nuovo che tanto piaceva in America con il suo pragmatismo e la sua mentalità da businessman. Come scrisse Diggins,
whatever the reputation of Mussolini is today, from the March on Rome to the beginning of the Ethiopian War he was an esteemed figure. Americans saw in Mussolini certain enduring qualities which enabled him to qualify as a «great man» not only of his time but of the ages.
[…] Mussolini’s dominant image was, of course, that of the redeemer. He and his men represented all that was healthy and redemptive in Italian life. Mussolini readily applied to anxious Americans as a new leader who affirmed the old solid values and virtues: duty, obedience, loyalty, patriotism. In the American mind,
101 Mussolini was nothing less than a self-made man. Benito Mussolini was «the son
of a blacksmith».
Still another image was that of the pragmatic statesman. Il Duce was the practical leader who rejected the unusable democratic dogmas of the past and the unwork- able moral principles of the present.
In an age hungry for heroes, Mussolini was also written un as a hero of sport. Because of his daring feats and bold adventures he could gratify the vicarious need for excitement, and journalists did not hesitate to place him besides aviators, actors and athletes.13
Once Mussolini was in power, businessmen congratulated for establishing law and order, reviving the economy, negotiating the war debt questions, restoring efficient management to various industries, ending strikes and disciplining la- bour, espousing patriotism and the doctrine of hard work, and, above all, stabi- lising the lira.14
Insomma, nel primo biennio parve che la «diplomazia parallela» fosse conveniente per tutti; il fascismo poteva farsi ottima pubblicità oltreoceano, ottenendo un trattamento di favore dal Congresso; gli italo-americani recuperavano il proprio orgoglio nazionale e rallentavano il processo di americanizzazione, da molti percepito come una grossa minaccia; gli Stati Uniti, infine, si mostravano felici di accogliere una minoranza di milioni di persone che, per partecipare alle elezioni democratiche, dovevano far richiesta della cittadinanza e dunque mostrare un chiaro interesse all’integrazione.
Il risultato migliore di questo biennio felice fu la ratifica del patto Mellon-Volpi (1926), attraverso il quale l’Italia riuscì a rinegoziare (e di fatto ad annullare) i debiti di guerra contratti con gli Stati Uniti nel ’15-’18. Il patto Mellon-Volpi fu sicuramente una vittoria di Mussolini, e difficilmente il Duce sarebbe riuscito ad ottenere di nuovo risultati così straordinari lavorando all’interno della democrazia americana. Secondo Luconi, infatti, la mobilitazione successiva della
Italian lobby fu molto ridotto e con la crisi economica del 1929 perse quasi tutta la sua efficacia.
Al di là dei risultati politici, la «diplomazia parallela» ebbe un ruolo non secondario nel mantenimento di quei legami che andavano dissolvendosi dopo la ratifica dell’Immigration Act. Fu proprio grazie alla continua e martellante propaganda fascista negli Stati Uniti che lo spirito nazionale italiano poté resistere nelle «colonie» fino agli anni Quaranta senza cedere più di tanto al contatto con la cultura americana:
13 DIGGINS John Patrick. Mussolini and fascism: The view from America, cit., p. 59-61. 14 Ivi, p. 146.
102 il saggista Constantine Panunzio, per spiegare l’attrattiva esercitata dal regime di
Mussolini sugli italo-americani, ricorse alla motivazione che il fascismo avrebbe causato la riscoperta dell’orgoglio nazionale negli emigrati italiani e nei loro discendenti.
Lo stesso governo Mussolini contribuì ad alimentare l’orgoglio degli italo- americani per la propria terra d’origine e il loro senso di identificazione in essa. Fu anche da tali sentimenti che derivò la fedeltà degli italo-americani al regime fascista e quindi la conseguente disponibilità a sostenerne le iniziative politiche nel paese d’adozione.15
Nonostante i collegamenti tra il porto di New York e quelli di Genova, Palermo e Napoli non fossero più fluidi come un tempo, i due paesi continuarono i loro scambi culturali grazie soprattutto alle nuove tecniche di propaganda inaugurate dal regime. Luconi ha colto nel segno spiegando come, in pochi anni, il ministero degli esteri fascista riuscì ad attrarre nella propria orbita tutte le fonti di informazione della colonia italiana, offrendo loro condizioni vantaggiose per la pubblicazione di notizie provenienti dall’Italia: l’Agenzia Stefani, in particolare, si legò alla cordata editoriale di Generoso Pope, un uomo d’affari che aveva monopolizzato il mercato dell’informazione della costa orientale con il Progresso Italo-Americano, di gran lunga il giornale più letto dagli italiani in America. La forza del fascismo negli Usa era così forte che anche il più irriducibile nemico della dittatura, l’esule Gaetano Salvemini, dové riconoscere che
una leggenda è stata creata: fascismo e Italia sono la stessa cosa. Gli italo- americani devono esternare il loro affetto per il paese dal quale sono venuti, mostrare simpatia per il fascismo, soltanto gli anti-italiani criticano la politica del fascismo. Per questa leggenda, molti italo-americani sentono il conflitto più intensamente della loro lealtà verso la nazione di cui son diventati cittadini e di quella d’origine.16
Insomma, gli emigrati, lasciati per troppo tempo alla deriva e molto spesso ignorati dalla cultura ufficiale, vengono posti al centro di un preciso piano strategico volto al recupero della predominanza italiana nel mondo. Se ai tempi di De Amicis i possidenti terrieri e i politici potevano accusare gli espatriati di tradire la nazione, quarant’anni più tardi il vento è cambiato: come sostengono Tirabassi e Audenino
15 LUCONI Stefano, La diplomazia parallela: il regime fascista e la mobilitazione politica degli italo-americani, cit., p. 78-79. 16 Allegato numero 1 del bollettino del “Mazzini News” del 3 ottobre 1939, pag. 23.
103 dopo la marcia su Roma il fascismo si adoperò per riprendere il controllo sugli
italiani all’estero abbracciando la tesi del nazionalismo che vedeva, nelle colonie prodotte dall’emigrazione, una sorta di imperialismo pacifico. Gli emigranti vennero quindi intesi come arma di conquista e di espansione dell’influenza italiana nel mondo. Ciò presupponeva il rafforzamento di sentimenti di italianità e di appartenenza nazionale, facendo coincidere l’italianità con il fascismo.17
Tutta la «diplomazia parallela» individuata da Luconi aveva dunque uno scopo principale: riportare l’identità nazionale italiana al centro della vita dell’emigrante, sfruttando poi il suo attaccamento patriottico per ottenere condizioni di vantaggio per l’Italia negli Usa. Dal 1925 il mito americano venne attaccato dalla potente narrazione fascista, che mirava a fare dell’Italia rinnovata e ringiovanita l’unica vera aspirazione degli italiani, squalificando tutti gli altri desideri d’evasione. Il primo quarto di secolo, dunque, si conclude con un progressivo indebolimento del sogno americano, che alla fine degli anni Venti avrebbe affrontato il momento più duro della sua storia.