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Concluso lo strappo cronologico di Depero, torniamo al nostro gioco di date e balziamo al 1912. Ci spostiamo a nord di New York, già all’epoca main hub consolidato della comunità italo- americana, e raggiungiamo gli Stati di più antica conformazione anglosassone, e in particolare il Winsconsin e il Massachusetts, dove agli inizi del secolo vennero scoperti nuovi giacimenti minerari e centinaia di immigrati italiani furono attratti dai salari delle compagnie di estrazione.

Il sistema americano, all’epoca, non prevedeva alcuna garanzia per i lavoratori. Molto spesso le aziende fissavano degli obiettivi giornalieri da raggiungere e, dopo aver diviso i lavoratori in squadre comandate da un responsabile che conoscesse l’inglese, spedivano tutti a lavorare obbligandoli a turni massacranti. I minatori, i posatori delle ferrovie e i muratori non avevano alcuna assicurazione, potevano addirittura morire sul lavoro senza che nessuno si assumesse le responsabilità dei sinistri o si preoccupasse delle sorti di familiari e coniugi.54

La situazione, all’inizio del Novecento, parve migliorare con la costituzione delle prime associazioni di lavoratori, le quali ben presto si trasformarono in veri e propri sindacati.55 Come

abbiamo già accennato, furono soprattutto i radicali europei (contemporaneamente espulsi dai loro paesi di provenienza) a fare buon uso della loro esperienza nel Vecchio Continente, impiantando una diffusa coscienza sindacale nella classe operaia americana.

Inutile negare che buona parte del radicalismo sindacalista fu di matrice italiana. Abbiamo già visto come, nel 1900, proprio un anarchico italiano tornò al paese d’origine per assassinare

53 Dirà di lui Aldo Palazzeschi: «Marinetti dette uno scossone a tutto il provincialismo e a tutto l’accademismo in una volta. Qualcuno dice che era stupido. Certo, quelle sue poesie che sono tutte un’onomatopeia non possono far pensare bene; l’onomatopeia a perseguirla all’infinito diventa meccanica. Però bisogna dire di lui che fu anzitutto uomo d’azione capitato in mezzo alla letteratura. L’hai mai visto un uomo d’azione che sia pure un letterato? Pensa a che difficoltà ci sono a mettere assieme un movimento di cultura o d’arte in Italia. Marinetti le superò».

54 Bisogna comunque ammettere, come fa saggiamente A. Rolle ne Gli italiani vittoriosi, che questi lavori salariati offrivano comunque buone possibilità di ascesa sociale. Lavorare per le compagnie ferroviarie significava essere pagati, a opera ultimata, con un pezzo di terra rivenduto a prezzo agevolato dalla stessa compagnia. Per molti contadini, questo era il modo più economico di ottenere un appezzamento privato nel Nuovo Mondo.

55 Uno dei più importanti sindacati dell’epoca fu l’Industrial Workers of the World, fondato a Chicago nel 1905 da un gruppo di radicali piuttosto eterogenei (irlandesi, afro-americani e italo-americani). A questo schieramento sindacale appartenevano i Wobblies, ossia i predicatori itineranti che raggiungevano i lavoratori poco qualificati per organizzarli dal punto di vista sindacale e far valere i loro diritti. Dichiaratamente socialista e radicale, la IWW organizzò gli scioperi più importanti degli anni Dieci (tra cui quello di Lawrence, Massachusetts, in cui Arturo Giovannitti venne arrestato).

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Umberto I a colpi di rivoltella; non dobbiamo dunque sorprenderci se leggiamo, nei primi trent’anni del Novecento, moltissimi nomi italiani tra i capi del sindacalismo e del radicalismo americano.56

Gli scioperi e le rivolte operaie si intensificarono tra la fine degli anni Dieci e gli inizi degli anni Venti, quando una crisi economica piuttosto diffusa portò spesso a un ritardo nei pagamenti dei lavoratori e a una brutalizzazione dei rapporti di lavoro. Centinaia di testimonianze descrivono le terribili condizioni degli emigrati, costretti a vivere (anche in pieno inverno) nelle baracche e privi di assistenza medica di ogni sorta.

In questo clima deteriorato, i radicali italiani si distinsero tanto per l’organizzazione di instancabili picchetti davanti alle fabbriche quanto per la diffusione di giornali rivoluzionari dalla vita effimera ma dalla grande influenza ideologica. Gli emigranti europei trapiantati negli States, infatti, non avevano alcuna forma di organizzazione e furono gli esuli europei a dotare di una voce la classe lavoratrice più sfruttata, includendo molto spesso anche le donne. I primi vent’anni del Novecento furono una dura battaglia ideologica e politica, che però, alla fine, si risolse in un fallimento; i fuoriusciti di sinistra non riuscirono a far attecchire le loro idee negli Stati Uniti e alla fine i movimenti socialisti, anarchici e comunisti divennero delle minoranze, se non addirittura delle sette.

Allo storico Lorenzo Franzina va il merito di aver riconosciuto una vicenda controversa, che si consumò drammaticamente a Lawrence, Massachusetts, nel 1912, la quale ci aiuta a comprendere l’importanza della «colonia» italiana nelle lotte sindacali americane.57

Durante uno dei numerosi scioperi sindacali capeggiati dai radicali nel nord-est dell’Unione, l’italo-americana Anna Lo Pezzo rimase uccisa nei tafferugli con la polizia; nel parapiglia, le forze dell’ordine arrestarono il sindacalista italiano Arturo Giovannitti e lo incarcerarono con la minaccia di una condanna a morte.

Arturo Giovannitti «non lo ricorda quasi più nessuno come poeta, ancor meno come drammaturgo». Martino Marazzi ha ricostruito la sua biografia: nato a Ripabottoni (provincia di Campobasso) nel 1884, divenne ministro della Chiesa Presbiteriana nel 1904 e poco dopo cominciò a predicare tra i minatori della Pennsylvania. Fece parte della Industrial Workers of the World, nel 1912 era una personalità di spicco nella comunità italo-americana, e c’è da pensare che, prima del caso

56 «Un parere riprodotto da Eastman nel 1942 raccogliendo in volume il ritratto di Tresca apre una galleria di dodici grandi personalità. E che personalità: Isidora Duncan, Anatole France, Charlie Chaplin, John Reed, Trotsky, Freud, John Dewey. Per essere un agitatore innocuo e un rivoluzionario inconsistente c’è da ammettere che a Tresca venisse in ogni caso riservata una posizione di assoluto rilievo» (MARAZZI Martino. A occhi aperti. Letteratura dell'emigrazione e mito

americano, cit., p. 251)

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arcinoto di Sacco e Vanzetti, Giovannitti contendesse solo a Carlo Tresca lo scettro di italo- americano meglio conosciuto a livello politico e letterario.

Nel 1912, «che per il ventottenne Giovannitti rappresentò l’annus mirabilis nella vita come nella letteratura», egli scrive freneticamente il suo miglior poema (in inglese), intitolato The Walker,58

che gli valse qualche riconoscimento anche presso il mondo americano WASP, notoriamente restio nei confronti delle produzioni letterarie degli emigrati. Quando fu poi portato davanti alla corte per essere giudicato in merito all’omicidio di Anna Lo Pezzo, si difese senza l’ausilio di un avvocato e la sua orazione (ancora una volta in inglese) fu così straordinaria e accorata da catturare tutta l’aula; la sua grandiosa capacità linguistica gli valse dunque la grazia e gli evitò l’impiccagione.

Arturo Giovannitti fu sicuramente un emigrato anomalo, nel senso che proveniva da un ambiente sociale elevato (la classe media degli Abruzzi) e spese tutta la sua vita perfezionando la propria integrazione sociale, politica e culturale negli Stati Uniti. Secondo Marazzi,

C’è qualcosa di demiurgico, di prometeico nella sfida complessiva di Giovannitti. […] Sfida che non è solo socio-politica ma anche artistico-letteraria, e fortemente segnata dalle sue radici culturali. Prometeica, oltre che per l’altezza delle sue aspirazioni, anche per l’esito fallimentare del suo impegno, evidente nella sconfitta civile ma anche, in fondo, nella crescente marginalità della sua opera.59

Un paragone così nobile non viene usato a casaccio da Marazzi: imbattendosi nei cospicui

cahiers di ricerca che le istituzioni locali di Ripabottoni e Campobasso hanno dedicato al loro poeta

americano, scopriamo una biografia dall’altissimo impegno civile, vissuta al fianco di grandi uomini politici come Fiorello La Guardia e Gaetano Salvemini. Un impegno che, come riporta appunto Marazzi, si concluse con la sconfitta del sindacalismo americano (represso a cavallo tra le due guerre) e con il generale oblio delle sue opere, che meriterebbero invece qualche riconoscimento maggiore.

Arturo Giovannitti fu infatti un eccelso poeta e un ottimo oratore, caratterizzato da una verbosità straripante tanto in italiano quanto in inglese. Il processo dal quale si difese brillantemente nel 1912 fu l’ultimo caso giudiziario in cui la giuria di un tribunale americano riuscì a farsi sorda e imparziale dinanzi alla vox populi dell’opinione pubblica, che era sempre più xenofoba, calibrando

58The Walker è il racconto frenetico e allucinato della vigilia che Giovannitti passò in carcere prima della sentenza relativa alla sua possibile condanna a morte. Il camminatore era il suo vicino di cella che – condividendo probabilmente il suo stesso destino – continuava a misurare con passi precisi i nove metri quadri della sua cella. Il testo merita una lettura in lingua originale.

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con attenzione le parole dell’imputato; quindici anni più tardi, infatti, agli anarchici Sacco e Vanzetti non sarebbe stata concessa altrettanta fortuna.

Il poeta credette sino in fondo alla giustizia che i socialisti europei cercarono di impiantare in America, e la difese con tutti gli strumenti letterari che aveva a disposizione. Non a caso

L’impegno politico e sociale trova voce attingendo al lessico, ai ritmi, alle figuralità della tradizione italiana, e soprattutto quella post-unitaria, sia essa scapigliata, carducciana, maledetta […] Giovannitti incontra la modernità e ne denuncia i soprusi con un lessico, una cadenza e una imagerie tradizionali.60

Questa ossessiva battaglia per la giustizia sociale, dunque, si fuse a meraviglia con il suo atteggiamento da predicatore (era dopotutto un presbiteriano) e l’infiammata propaganda anarchica, di cui si fece più volte promotore; una carriera coraggiosa che culminò in una serie di guai con la giustizia.

Proprio dal carcere, come il Condannato a morte di Victor Hugo, Giovannitti tira fuori la sua migliore ispirazione poetica. Il poema The Walker, si presenta come una vera e propria elegia del prigioniero, e raccoglie tematiche per nulla scontate, che anzi affiancano il poeta alle correnti più vive dell’inizio del Novecento. Leggiamone la conclusione:

My brother, do not walk any more.

It is wrong to walk on a grave, it is a sacrilege to walk Four steps from the headstone to the foot

and four step from The foot to the headstone.

If you stop walking, my brother, no longer will this be a grave, For you will give me back my mind that is chained to your Feet and the right to think my own thoughts.

I implore you, my brother, for I am weary of the long vigil, Weary of counting your steps, and heavy with sleep. Stop, rest, sleep my brother, for the dawn is well neigh And it is not the key alone that can throw open the gate.

L’inglese di Giovannitti è straordinariamente penetrante. Come hanno sottolineato Marazzi e Fontanella, non ci troviamo di fronte a uno scrittore che ha trasportato le leggi grammaticali e fraseologiche dell’italiano in una lingua straniera, ma a un vero e proprio poeta, che ha fatto propria

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la forma mentis dell’inglese, imparando ad usarla correttamente da vero e proprio bilingue. La naturalezza mostrata da Giovannitti è quasi un unicum nella storia degli emigrati di prima generazione.61

Il poema è tutto incentrato sulla terribile veglia che Giovannitti affrontò in carcere prima del suo processo. The Walker è a tutti gli effetti un «camminatore», un altro condannato che non riesce a dormire, e che coi suoi passi cadenzati e pesanti condanna il poeta ad essere partecipe della sua sofferenza. Giovannitti rivela la propria idea di socialismo, ma anche di umanesimo, attraverso questo delicato poema: si sente fratello del condannato, ma con intento quasi pedagogico lo invita a fermarsi, a non lasciarsi travolgere dalla paura della morte, a godere dell’unica libertà che nessuna sbarra potrà mai togliere: quella del pensiero.

I versi di Giovannitti sono fortemente simbolici e molto penetranti. Il poema ha un’andatura cadenzata, ciclica, regolare; i passi del condannato scandiscono le sillabe per tutta la durata del testo, come il basso continuo in un’opera sinfonica. Da ogni strofa emerge l’amarezza e la terribile condizione dei condannati, costretti a marcire in una cella piccola e umida; anche nella traduzione di Federica Giovannitti, discendente di Arturo, riusciamo a conservare le caratteristiche fondamentali del poema:

Fratello mio, non camminare più.

È sbagliato camminare su una tomba, è sacrilegio percorrere quattro Passi dalla lapide verso il fondo e quattro passi

Dal fondo verso la lapide.

Se smetti di camminare, fratello mio, non ancora per molto tempo questa sarà una tomba, perché mi restituirai la mia mente, che è incatenata ai tuoi

piedi, e il giusto pensare ai miei giusti pensieri.

Ti imploro, fratello mio, poiché sono stanco della lunga veglia, stanco di contare i tuoi passi, appesantito dal sonno.

Fermati, riposati, fratello mio, perché l’alba è davvero vicina E non è solo la chiave che può aprire il cancello.

Siamo nel 1912, e Giovannitti, emigrato italiano di prima generazione, fuggito dal Molise all’inizio del Novecento, rappresenta forse il miglior caso di integrazione sociale a quell’altezza cronologica. Non a caso, egli divenne

61 Abbiamo visto il caso di Pasquale (Pascal) D’Angelo, pastorello abruzzese che imparò l’inglese da auto-didatta, ma si trattava di un’evidente eccezione. Anche il nostro Giovannitti può considerarsi un caso straordinario, dal momento che proveniva da una famiglia di estrazione piccolo borghese. Tuttavia, l’apprendimento così capillare di una lingua straniera denota un grado di integrazione sorprendente.

77 più di ogni altra cosa, un personaggio. Fu più personaggio che autore, anche se

era grazie alla sua statura, o al suo status, di poeta che poteva venire acclamato e riconosciuto come leader del lavoro italo-americano. Era un faro, un’icona, la fonte di un carisma apparentemente inesauribile, al di là dei contenuti, delle prese di posizione, dei risultati specifici.62

Giovannitti divenne il simbolo di una comunità che cominciava ad avvicinarsi alla società americana, abbandonando la chiusura (mentale e fisica) che aveva caratterizzato gli insediamenti italiani sin dalla fine dell’Ottocento. Con Giovannitti possiamo prendere una data d’avvio simbolica del processo di americanizzazione degli emigrati italiani, che si concluderà a ridosso della seconda Guerra Mondiale.63

Il nostro poeta incarcerato venne rilasciato alla fine del 1912. Siamo ormai alle soglie della prima Guerra Mondiale; la comunità italo-americana conta nel complesso già più di tre milioni di individui e ci sono intere città, come New York e San Francisco, che vedono modificato il proprio tessuto urbanistico dalla mentalità italiana. Gli emigrati di seconda generazione (John Fante, tanto per citare il più famoso, è nato nel 1909) nascono in un contesto totalmente americano e cominciano a creare una spaccatura coi genitori incapaci di integrarsi; nel frattempo, lo Stato italiano in preda al nazionalismo comincia a ritenere che tutti quei figli della patria dispersi oltreoceano possano essere una splendida risorsa politico-militare, da attivare in funzione dell’interesse nazionale.

Con la Grande Guerra, Italia e Stati Uniti si riscopriranno alleati anche sul piano diplomatico. Siamo ormai negli anni del conflitto, della rivoluzione bolscevica, della reazione antisocialista. Mentre in Russia nasce l’Unione Sovietica, la nostra storia proseguirà fino al 1924, arrestandosi alla soglia del ventennio che andremo ad analizzare con maggiore attenzione.